Legittimità

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Corte di cassazione penale sez. Iii, 24 marzo 2011, n. 11958 (Ud. 22 Dicembre 2010)

Pres. Teresi – est. Fiale – p.m. Passacantando (conf.) – ric. X.

Violenza sessuale y elemento oggettivo y atto sessuale y nozione y abuso delle condizioni di inferiorità y minore di anni quattordici y violenza effettuata tramite telefonate erotiche y configurabilità del reato.

In tema di violenza sessuale, atteso il principio secondo cui ai fini della definizione di “atto sessuale” non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto tra soggetto attivo e soggetto passivo, deve ritenersi sussistente il reato di cui agli artt. 609 bis, comma secondo, n. 1, e 609 ter, comma primo, n. 1, c.p., anche nel caso in cui il soggetto attivo, nel corso di una conversazione telefonica induca una persona minore degli anni 14, abusando delle sue condizioni di inferiorità psichica, a compiere nel medesimo contesto atti di autoerotismo dai quali egli stesso tragga quindi soddisfazione. (c.p., art. 609 bis; c.p., art. 609 ter) (1)

(1) In aggiunta ai numerosi precedenti citati in motivazione si veda Cass. pen., sez. III, 25 marzo 2009, Brizio, in questa Rivista 2010, 190, secondo cui, ai fini della configurabilità del tentativo di atti sessuali con minorenne nel caso in cui il contatto tra il reo ed il minore avvenga mediante comunicazione a distanza, è necessario accertare, da un lato, l’univoca intenzione dell’agente di soddisfare la propria concupiscenza e, dall’altro, l’oggettiva idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Torino, con sentenza dell’1 ottobre 2009, in parziale riforma della sentenza 18 febbraio 2009 del G.i.p. del Tribunale di quella città, pronunziata in esito a giudizio celebrato con le forme del rito abbreviato:

  1. ha ribadito l’affermazione della responsabilità penale di X. in ordine ai reati di cui:

    - agli artt. 81 cpv., 609 bis, comma 2, n. 1, 609 ter, comma 1, n. 1, c.p. [perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità fisio-psichica della minore infraquattordicenne Y. (in relazione all’elevato divario di età ed allo stato di soggezione psicologica), nel corso di due conversazioni telefoniche con quest’ultima (precedentemente conosciuta attraverso comunicazioni su una chat-line), la induceva a compiere su se stessa atti sessuali di autoerotismo culminati nel conseguimento di piacere sessuale tanto da parte sua quanto da parte della minore - in Torino, il 23 maggio ed il 6 giugno 2008];

    - agli artt. 81 cpv., 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. [perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, induceva la minore infrasedicenne Z. (precedentemente conosciuta attraverso comunicazioni su una chat-line) ad avere con lui vari rapporti sessuali anali ed orali, abusando delle condizioni di inferiorità fisio-psichica della minore determinate dall’elevato divario di età e dalla presentazione di se stesso quale terapeuta psicanalista in grado di curare le difficoltà relazionali e le timidezze di lei - in Torino, in date imprecisate dal febbraio 2005 al dicembre 2006];

    - agli artt. 81 cpv., 600 quater e 600 quater 1 c.p. (perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, deteneva presso la sua abitazione, all’interno degli hard-disk a lui in uso, materiale pedopornografico scaricato dalla rete internet avente ad oggetto immagini reali e virtuali di minori degli anni 18 ritratti nel corso di rapporti sessuali tra loro e con adulti - in Torino, fino al giugno 2008);

  2. e con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., determinava la pena principale in complessivi anni quattro di reclusione e confermava le pene accessorie.

    Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del X. il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione ha eccepito:

  3. la insussistenza del reato contestato in danno della infraquattordicenne Y. perché non sarebbero riconducibili alla nozione di “atti sessuali”, posta dall’art. 609 bis c.p., i rapporti intercorsi tra l’imputato e la ragazza, stante la totale assenza di un qualsiasi contatto corporeo tra loro, e non avrebbe subìto “significative menomazioni o compressioni ad opera dell’imputato” la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, in quanto era stata proprio la giovane a cercare e chiamare ripetutamente il maturo amico ... senza necessità di particolari opere di convincimento da parte dell’uomo”;

  4. la insussistenza del reato contestato in danno della infrasedicenne Z. la quale non avrebbe subìto “forzature nel concedersi intimamente al suo maturo amante” ed avrebbe liberamente e coscientemente prestato il proprio consenso agli atti sessuali, senza che la volontà di lei sia stata “in alcun modo coartata con subdolo soggiogamento psicologico né con atti di violenza”;

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  5. l’erronea esclusione della ravvisabilità della circostanza attenuante prevista dal comma 3 dell’art. 609 bis c.p. nei “casi di minore gravità”.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Il ricorso deve essere rigettato, perché tutte le doglianze in esso svolte sono infondate.

    1. Il Collegio rileva anzitutto che - ai fini della definizione di “atti sessuali” di cui all’art. 609 bis c.p. - non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l’atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato ed idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell’individuo nella prospettiva dell’agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale.

      Trattasi di principio già enunciato da questa Sezione con la sentenza 15 novembre 1996, n. 1040, ove è stato pure affermato che l’antigiuridicità della condotta vietata dall’art. 609 bis c.p. “resta connotata da un requisito soggettivo (la finalizzazione all’insorgenza o all’appagamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale) che si innesta sul requisito oggettivo della concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e ad eccitare o sfogare l’istinto sessuale del soggetto attivo”.

      Lo stesso principio ed analoghe argomentazioni sono stati poi ribaditi da Cass., sez. III, 10 ottobre 2000, n. 12446; 22 aprile 2004, n. 18847; 12 ottobre 2006, n. 34128 e, in particolare, con la sentenza 1 aprile 2004, n. 15464, questa Sezione ha specificamente affermato che vanno ricondotti alla nozione di “atti sessuali”, di cui all’art. 609 bis c.p., gli atti di autoerotismo che un adulto, al fine di soddisfare le sue brame sessuali, mediante telefonate, induce bambini in tenera età a compiere sul loro corpo.

    2. La fattispecie prevista dal comma 2, n. 1, dell’art. 609 bis c.p. è caratterizzata dall’elemento della induzione verso il soggetto passivo e da quello dell’abuso “delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona al momento del fatto”.

      La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che: per “induzione” deve intendersi un comportamento positivo mediante il quale, con un’opera di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto; l’“abuso” è integrato, a sua volta, dallo sfruttamento doloso della condizione di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l’obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento degli impulsi sessuali [vedi Cass., sez. III, 11 dicembre 2003, n. 47453, Ungaro; sez. III, 27 gennaio 2004, n. 2646, Laffy; sez. IV, 3 ottobre 2008, n. 40795, Cecere].

      L’induzione punibile, attuata mediante l’abuso, non si configura come attività di persuasione, ma come “vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima, la quale non è in grado di aderire perché convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie” (così Cass., sez. III, 13 maggio 1997, n. 4426, Masu].

      L’abuso, quindi, si verifica quando le condizioni di inferiorità vengono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della sessualità della persona offesa, che, a causa della sua vulnerabilità connessa all’inferiorità psichica, viene ad essere utilizzata quale mezzo per soddisfare le voglie sessuali dell’autore del comportamento di induzione e tale comportamento risulta tipico proprio in quanto si lega con l’abuso. Attraverso detta strumentalizzazione l’autore della condotta delittuosa trasforma la relazione sessuale - che di norma intercorre tra due persone in grado di autodeterminarsi nell’esplicazione della propria libertà sessuale - in mera fruizione del corpo della persona che si trovi in condizioni di vulnerabilità soggettiva, la quale, per effetto del comportamento abusante, da soggetto di una relazione sessuale, viene ridotta al rango di “oggetto” dell’atto sessuale.

      La condizione di inferiorità psichica non deve essere necessariamente integrata da una vera e propria patologia mentale, essendo sufficiente che la persona offesa versi in una situazione psicologica che la renda incapace di resistere alla volontà del soggetto attivo [vedi Cass., sez. III, 17 ottobre 2007, n. 38261, Fronteddu]: il soggetto passivo, in sostanza, presta il suo consenso all’atto sessuale ma tale consenso è giuridicamente irrilevante, perché viziato in considerazione del differenziale di maturità sessuale rispetto al soggetto attivo [vedi Cass., sez. III, 19 gennaio 2006, n. 2215, Cannatella]. In questa materia, pertanto, non ha efficacia giuridica la causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto di cui all’art. 50 c.p., la cui efficacia scriminante è limitata dal legislatore al solo caso in cui il consenso sia espresso da un soggetto che può validamente...

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