Legittimità

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. VI, 22 OTTOBRE 2010, N. 37775 (UD. 7 OTTOBRE 2010)

Pres. De roberto – est. Lanza – p.m. (Conf.) – ric. P.m. In proc. Vecchi

Pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, esercente un servizio di pubblica necessità y Incaricato di un pubblico servizio y Dipendente di Poste Italiane s.p.a. addetto al C.P.O. y È tale y Invio di corrispondenza priva di affrancatura y Configurabilità dell’abuso d’ufficio.

L’impiegato dell’ente Poste Italiane s.p.a., addetto alla struttura di accettazione qualificata come Centro Postale operativo (C.P.O.), è da qualificarsi come incaricato di pubblico servizio, con la conseguenza che il medesimo commette reato di abuso d’ufficio qualora invii indebitamente alla rete pubblica di distribuzione, in violazione di quanto disposto dal D.L.vo 22 luglio 1999, n. 261, corrispondenza priva della richiesta affrancatura. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 323; c.p., art. 358; d.l.vo 22 giugno 1999, n. 261) (1)

(1) In precedenza era già stata riconosciuta la qualità di incaricato di pubblico servizio dell’impiegato postale addetto alla selezione e allo smistamento della corrispondenza in arrivo o in partenza. Si veda Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 1998, Volpi, in questa Rivista 1999, 219. Si veda anche Cass. pen., sez. VI, 18 dicembre 2001, Nicita, ivi 2002, 215.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Procuratore generale di Campobasso ricorre avverso la sentenza 18 febbraio 2010 di non luogo a procedere del Tribunale di Isernia nei confronti di Vecchi Giuseppe, prosciolto dal reato ex art. 323 comma 1 cod. pen. perchè il fatto non sussiste, sul presupposto della verificata assenza di violazioni di legge o di regolamento netta condotta accertata.

1) l’accusa e la sentenza di non luogo a procedere ex art .425 c.p.p..

Il Vecchi è accusato del reato p. e p. dall’art. 323 primo comma c.p., per avere, in qualità di addetto dell’ufficio Centro Postale Operativo delle Poste Italiane S.p.A. di Isernia e, quindi di incaricato Mod.3/SG. in servizio pubblico, fatto recapitare, tramite i portalettere, a ex dipendenti e precari, corrispondenza del sindacato “C.P.O. U.G.L.”, di cui era rappresentante, priva di affrancatura, e ciò, in violazione degli artt. 24 e 27 del punto 2-2 della Delibera del Ministero delle Comunicazioni del 9 novembre 2001, con ciò procurando intenzionalmente, un ingiusto vantaggio patrimoniale al sindacato medesimo. In Isernia, ottobrenovembre 2005.

Il G.U.P. ha ritenuto che le norme richiamate nella contestazione e cioè gli artt. 24 e 27 del punto 2-2 della Delibera del Ministero delle Comunicazioni del 9 novembre 2001 non configurino violazioni suscettibili di rilievo penale.

  1. ) il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Campobasso e la decisione di annullamento con rinvio della Corte.

    Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente parte pubblica deduce violazione di legge, rilevando che la deliberazione 9 novembre 2001 del Ministero delle Comunicazioni richiama espressamente l’art. 2, comma I decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, norma “che designa quale autorità di regolamentazione del servizio postale il Ministero delle comunicazioni”.

    Ne consegue, ad avviso del ricorrente, che la deliberazione in questione, essendo stata emessa dal Ministro delle comunicazioni, in qualità di autorità di regolamentazione del settore postale e quale soggetto a ciò espressamente designato, mediante un decreto legislativo, a regolamentare il settore postale (che era e rimane un servizio pubblico), con espressa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, deve essere considerato quale “atto regolamentare” e, in quanto tale, rientrante a pieno titolo nell’ambito delle violazioni tipizzate dal 323 c.p., nel testo introdotto dalla legge 16 luglio 1997, n. 234.

    Il motivo è fondato.

    Innanzitutto va ribadito che la qualità di incaricato di pubblico servizio, nella specie, dipendente di Poste italiane s.p.a. addetto a strutture di accettazione (come il C.P.O.), va accertata esclusivamente sulla base della disciplina della attività oggettivamente considerata ed indipendentemente dal fatto che il suo esercizio sia stato affidato allo Stato o ad altri soggetti pubblici o privati.

    Inoltre va precisato, in linea con la pacifica giurisprudenza della Corte, che la trasformazione delle poste, da Amministrazione dello Stato a società per azioni, non ha affatto cancellato le connotazioni proprie della originaria natura pubblicistica dell’ente.

    Va pertanto qualificato come incaricato di pubblico servizio l’Impiegato dell’ente Poste Italiane s.p.a., addetto alla struttura di accettazione qualificata come Centro Postale operativo (C.P.O.), trattandosi di attività connotata da condotte di natura non meramente applicativa od esecutiva, ma al contrario contraddistinte da gradi apprezzabili di autonomia e discrezionalità, tipiche delle mansioni di concetto.

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    Quanto al thema decidendum, va chiarito in punto di diritto che la cd “francatura delle corrispondenze” (giusta dizione del d.p.r. 156/1973) che, laddove non eseguita, impone a sensi dell’art.27 della Deliberazione 9 novembre 2001 del Ministro delle comunicazioni, il mancato recapito della posta inviata e la sua restituzione al mittente (dietro pagamento dell’importo dovuto), trova originario fondamento nell’art. 44 del Codice postale e delle comunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973 n. 156.

    Tale norma risulta abrogata dall’art. 16 del decreto legislativo 22 luglio 1999 n. 261, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 97/67 (concernente le regole comuni per lo sviluppo dei mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio) il quale peraltro:

    1. al primo comma, ha ribadito la regola che gli “invii postali rientranti nel servizio universale ... per essere avviati alla rete pubblica sono debitamente affrancati”;

    2. al terzo comma, ha disposto l’abrogazione di tutte le forme di franchigia, di esenzione e riduzione dei diritti postali, salvo quanto specificamente previsto dalla Convenzione postale universale e dagli accordi internazionali, riaffermando la validità delle sole disposizioni relative alle agevolazioni per le spedizioni postali finalizzate alla propaganda connessa alle consultazioni elettorali.

    Si tratta quindi di fonti impositive di obblighi la cui violazione integra il reato di abuso d’ufficio, posto che nella specie il dipendente, addetto all’Ufficio C.P.O. - struttura di accettazione della filiale delle Poste italiane s.p.a. di Isernia, ha illecitamente “avviato alla rete pubblica invii postali privi di corrispondente affrancatura” ed inoltre non dotati del timbro dell’ufficio di provenienza, con ulteriore violazione anche delle regole interne di organizzazione del servizio, considerate le modalità in concreto adottate per l’immissione della posta del sindacato nella rete di spedizione (consegna diretta al singolo portalettere, o mediante deposito della posta medesima sul banco di lavoro del portalettere).

    Da ciò la sussistenza della “violazione delle norme” prevista nello schema dogmatico dell’art. 323 cod. pen., con conseguente annullamento della sentenza impugnata e rinvio al Tribunale di Isernia per nuova deliberazione che tenga conto degli anzidetti principi di diritto. (Omissis)

    CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. VI, 19 OTTOBRE 2010, N. 37473 (UD. 13 OTTOBRE 2010)

    Pres. Di virginio – est. Agrò – p.m. Stabile (diff.) – ric. Padoan

    Resistenza a pubblico ufficiale y Elemento oggettivo y Violenza o minaccia y Reazione alle prescrizioni di un medico del S.S.N. y Configurabilità del reato y Esclusione y Ragioni.

    Atteso il principio per cui il pubblico servizio medico non comporta alcun atto autoritativo volto a sottoporre l’utente al controllo preventivo delle condizioni di salute ed all’osservanza di quanto prescritto, deve escludersi che possa costituire resistenza a pubblico ufficiale (ferma restando la configurabilità di altri e diversi reati) la condotta costituita dall’impiego di violenza o minaccia nei confronti di un medico del servizio sanitario nazionale per opporsi all’attuazione di quanto da lui prescritto (principio affermato, nella specie, con riguardo ad un caso in cui la violenza e la minaccia erano state poste in essere da un soggetto il quale, condotto in stato di ubriachezza in un posto di pronto soccorso, non aveva voluto aderire alla prescrizione di restare in barella per essere sottoposto ad ulteriori accertamenti e di chiamare un familiare prima di allontanarsi). (Mass. Redaz.) (c.p., art. 337) (1)

    (1) Nulla in termini.

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Venezia, a conferma della decisione del Tribunale di Belluno, riteneva Fanny Padoan responsabile di resistenza a pubblico ufficiale perché, al fine di opporsi all’operato della dr.ssa Maria Grazia Ruggieri, intervenuta per prestarle assistenza nella sua qualità di medico addetto al pronto soccorso dell’Ospedale, usava violenza e minaccia.

  3. Ricorre la Padoan che in questa Sede rinnova la censura di violazione dell’art. 649 c.p.p., in quanto per la stessa condotta la Padoan era già stata ritenuta responsabile di resistenza a pubblico ufficiale in danno di due Carabinieri e in quanto doveva ritenersi frutto di mero errore materiale il fatto che nel precedente procedimento non fosse stato inserito il nome della dr.ssa Ruggieri.

  4. Ripete poi che nella specie manca l’elemento oggettivo del reato di resistenza, perché la Ruggieri non svolgeva alcun atto di ufficio o di servizio e l’imputata non era sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio. L’intervento della dottoressa, che aveva ingiunto all’imputata in stato di ubriachezza di restare in barella e di chiamare un qualche familiare prima di allontanarsi, non configurava un aspetto del pubblico servizio ed esorbitava dalle specifiche mansioni mediche. E in tal modo la persona...

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