Difesa legittima putativa, errore e vizio parziale di mente

AutoreFranco Tandura/Daniela Tonion
Pagine1127-1129

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La sentenza de quo, riconoscendo il vizio parziale di mente, ha condannato l'imputato alla pena di anni sedici di reclusione per omicidio volontario, escludendo la possibilità di invocare l'esimente della legittima difesa putativa.

Il tema della legittima difesa putativa è stato ampiamente approfondito, ma senza riuscire a collocarlo nella sua corretta dimensione: la Corte d'assise di Belluno ha omesso di considerare la fondamentale circostanza che il caso in esame individua un'ipotesi peculiarissima di errore sul fatto commesso da persona con una capacità di intendere e di volere grandemente scemata.

Proprio la considerazione di quest'abnorme qualità psichica dell'imputato, impone alcune sottili distinzioni e importanti valutazioni giuridiche che non possono essere trascurate nel momento in cui si tratta di procedere alla concreta applicazione della legge penale.

È importante sottolineare preliminarmente che, secondo l'ormai univoca posizione della giurisprudenza, la legittima difesa putativa deve presentare tutti gli estremi di quella reale differenziandosi, però, per il fatto che la situazione di pericolo che spinge ad agire non deve essere effettivamente esistente, ma solo erroneamente supposta dall'agente 1.

Colui che agisce, quindi, cade in una falsa rappresentazione della realtà che lo spinge a ritenere necessaria un'azione difensiva in relazione ad uno stato pericoloso che in concreto non è positivamente riscontrabile.

Secondo l'ormai prevalente giurisprudenza, l'applicazione dell'art. 59, quarto comma, c.p., presuppone sempre una situazione di fatto obiettiva che sia in grado di sorreggere e giustificare la falsa rappresentazione della realtà che ha determinato l'agente all'azione, in modo tale che la causa di giustificazione putativa non venga ridotta ad una dimensione esclusivamente soggettiva, ad uno stato d'animo individuale, ma abbia un presupposto fattuale capace di favorire l'individuazione del suo corretto ambito applicativo 2.

Nella sentenza de quo, la Corte d'assise di Belluno ritiene di dover negare l'applicazione dell'indicata esimente proprio per l'asserita mancanza di un minimum fattuale in grado di far ritenere condivisibile l'errore dell'imputato: si afferma che egli non può aver reagito violentemente per il timore di venir accoltellato dal padre e ciò perché è risultato che il coltello che la vittima avrebbe voluto brandire non si è mai mosso dal tavolo dove si trovava e non è mai stato da essa effettivamente impugnato. Ora, tali affermazioni sembrano richiedere, per l'operare della legittima difesa, l'esistenza di un'offesa concreta in atto, quando è ormai universalmente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza che è sufficiente, per integrare la fattispecie dell'art. 52 c.p., non solo un'emergenza attuale o un'offesa imminente, ma anche l'esistenza di una situazione da ritenersi pericolosa, sempre che essa sia tuttora in corso al momento della reazione.

Invero, il periodo utile per l'esercizio della difesa si estende per tutto l'arco temporale in cui è in atto il pericolo, senza che sia necessario l'inizio dell'offesa, o la sua concretizzazione in un atto materiale univocamente orientato.

Dal momento che quanto ai presupposti generali - e quindi anche con riguardo alla situazione di emergenza che fa scaturire l'azione - non vi debbono essere significative divergenze tra la legittima difesa reale e quella putativa, anche in quest'ultima ipotesi può avere rilevanza la mera attuale e concreta possibilità di una futura offesa, qui ovviamente solo supposta 3: ciò porta a concludere che, anche nel caso di specie, non era necessaria l'effettiva utilizzazione dell'arma per far ritenere esistente quel pericolo poi erroneamente percepito dall'imputato, visto che il mero gesto della vittima diretto a brandire il coltello può aver dato origine ad una situazione pericolosa dotata di una propria autonoma rilevanza penale.

Trattandosi poi di legittima difesa solo putativa, si presuppone già in partenza l'esistenza di un errore di valutazione, ma per dare ad esso la giusta rilevanza, non si può davvero chiedere un dato fattuale che dimostri la concreta utilizzazione dell'arma: non solo...

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