Legislazione in materia di danno biologico

AutoreEdgardo Colombini
Pagine3-10

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L'intervento legislativo in materia di danno biologico realizzatosi con l'art. 5 commi 2, 3 e 4 della L. 57 del 5 marzo 2001 recante disposizioni su apertura e regolazione dei mercati ci suggerisce l'opportunità di ritornare sull'argomento di cui ci eravano occupati dopo il naufragio parlamentare di un precedente tentativo in proposito contenuto nel contesto del D.L. n. 70 dell'8 marzo 2000 concernente «Misure contro l'inflazione» (vedi: Intervento legislativo sul danno biologico, in Arch. giur. circ. 2001, pagg. 91-100).

Vedremo così subito che - nella tendenza ad utilizzare talvolta spezzoni di precedenti provvedimenti alla apparenza pacifici e suscettibili quindi di più facile approvazione in sede parlamentare (complice, oltre tutto, in questo caso, la fretta imposta dalla imminente conclusione della legislatura) - è rimasta, nel testo entrato in vigore, l'incongrua collocazione della definizione del danno biologico dopo le disposizioni che ne regolano la liquidazione.

Chiarezza sistematica suggerisce invero di descrivere o definire un istituto giuridico prima della sua regolamentazione.

Fortunamente si è peraltro evitato di ricadere nell'equivoco rilevato nel testo del D.L. n. 70 dell'8 marzo 2000 (non convertito in legge nella parte riguardante la tematica di cui ci stiamo occupando) quando, disponendosi che il risarcimento dei danni alla persona di lieve entità è riconosciuto a titolo di danno biologico permanente, a titolo di danno biologico temporaneo nonché a titolo di danno morale secondo i criteri che erano stati indicati nel comma precedente, si prospettava in concreto la possibilità di sostenere che il danno economico, nell'ambito di quelle lesioni, non era più individuabile e non era quindi più risarcibile dal momento che i danni alla persona di lieve entità dovevano essere risarciti solo a titolo delle tre ipotesi summenzionate.

Questa volta, pur collocando al comma 3 la definizione del danno biologico, si premette, nel comma precedente in cui si fissano i criteri della liquidazione dei relativi risarcimenti, che «in attesa di una disciplina organica sul danno biologico», la liquidazione dei danni alla persona di lieve entità è effettuato secondo i criteri e le misure che seguono.

Anche il GUSSONI ha rilevato l'anomalia della collocazione della definizione del concetto di danno biologico al n. 3 dell'art. 5 della L. 57/2001 « dopo (e non prima) rispetto alla indicazione dei criteri per la liquidazione dei postumi dall'1% al 9% che è data al n. 2 (Danno biologico e micropermanenti: ambiguità dell'art. 5 della L. 5 marzo 2001 n. 57 e difficoltà applicative: prime considerazioni, in Arch. giur. circ. 2001, pag. 357).

Si stabilisce comunque chiaramente che le disposizioni contenute nel testo di legge riguardano il danno biologico di lieve entità e non che il danno di lieve entità è risarcito esclusivamente a titolo di danno biologico (permanente o temporaneo) e morale.

Altra importante modifica rispetto al testo precedente è rappresentata dalla chiara indicazione che la normativa promulgata riguarda i danni derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, mentre il silenzio mantenuto al riguardo dall'art. 3 del D.L. n. 70 dell'8 marzo 2000 (e cioè nella parte fortunatamente non convertita in legge) portava alla possibilità di applicare la disposizione a qualsiasi sinistro conseguente a qualsiasi attività: né poteva soccorrere il contesto normativo che riguardava tutta una serie di misure contro l'inflazione e che non raggruppava, almeno sotto un titolo a sè stante, tutta la normativa in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ma infilava una dopo l'altra disposizioni affatto collegabili fra di loro (l'art. 4, ad esempio, trattava di tariffe di trasporto ferroviario).

Corretta appare comunque, come già avevamo rilevato per il secondo comma dell'art. 3 del D.L. 70/2000, la enunciazione legislativa del concetto di danno biologico, enunciazione che dovrebbe por fine a tante discussioni in proposito e alla stessa commistione che si è in passato registrata fra danno biologico e danno economico, come ricordato dal GUSSONI (Il problema del danno biologico, in Arch. giur. circ. 1998, pagg. 417 e 418).

Scriveva infatti questo Autore che l'orientamento ad un certo momento emerso era stato quello di arrivare a considerare «il danno biologico come danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. per superare lo scoglio dell'art. 2059 c.c.. Paradossalmente la figura del danno biologico, sorta con lo scopo di evitare le finzioni giurisprudenziali dominanti fino agli anni 70, era stata in tal modo avvolta in nuove ma non per questo meno soffocanti finzioni».

La Cassazione civile, con una serie ormai numerosa di sentenze emesse tra il 1993 e il 1998 (vedansi le sentenze 13 gennaio 1993 n. 357; 18 febbraio 1993 n. 2008; 18 febbraio 1993 n. 2009; 15 settembre 1995 n. 9725; 15 aprile 1996 n. 3539; 12 aprile 1996 n. 3727; 24 settembre 1996 n. 8443; 11 agosto 1997 n. 7459; 7 gennaio 1998 n. 61) - come possiamo ricavare dalla accurata e veloce cronistoria che ci offre il GUSSONI (ibid.) - ha ora decisamente «escluso con un coraggioso revirement la natura patrimoniale del danno biologico e l'ha definito un danno non patrimoniale».

Ma se corretta è l'enunciazione del danno biologico contenuta nel terzo comma dell'art. 5 della L. 57/2001, il comma successivo lascia semplicemente perplessi per la sua illogicità e incoerenza con quanto poco prima indicato, a meno che non si sia trattato del solito svarione causato dalla fretta e del cui peso - dirompente rispetto alla precisa descrizione edittale di questa tipologia di danno - non ci si è forse resi conto: ma sta di fatto che - svarione o no, disposizione meditata o meno - si è finito col rimettere tutto in discussione.

Incongruenza, in pratica, rilevata anche dal GUSSONI (Danno biologico e micropermanenti: ambiguità dell'art. 5 della L. 5 marzo 2001 n. 57 e difficoltà applicative: prime considerazioni, in Arch. giur. circ. 2001, pag. 357), il quale la considera una grossolanità che sembra voler «risolvere l'ambiguità della definizione di cui al n. 2 proprio nel sensoPage 4 che il danno biologico vi sarebbe inteso come "lesione in sè" e che le conseguenze di esso sulla vita del leso sono valutate a parte e liquidate con una somma aggiuntiva».

Secondo il GUSSONI, infatti, la definizione del danno biologico fornita dalla L. 57/2001 riecheggerebbe la concezione del medesimo come danno coincidente con la «lesione in sè», concezione da ritenere superata, soprattutto dopo la sentenza della Corte Costituzionale 372/94, la quale ha chiarito che il danno biologico è un "danno conseguenza", una perdita, che in tanto è accertabile e valutabile in quanto risulti provato un peggioramento delle condizioni di vita del soggetto, anzi del "concreto" soggetto leso»: concetto che il GUSSONI aveva anticipato fin dal 1987 (Il danno biologico come danno conseguenza, in Arch. giur. circ. 1987, pagg. 661 e segg.).

Il danno biologico è, invece, e non può non essere che un danno conseguenza, anzi il danno conseguenza di base. Non si realizza, quindi, per il semplice fatto del verificarsi dell'evento dannoso, ma in quanto e nella misura in cui concretamente e negativamente esso danno incide nella sfera extralavorativa (in ogni suo aspetto) del singolo soggetto leso.

Il danno biologico o alla salute (secondo l'improprio uso indiscriminatamente promiscuo che si fa dei termini in questione) è un danno conseguenza: il primo e fondamentale danno conseguenza, al quale può accompagnarsi l'altro danno conseguenza che è il danno economico (oltre che il danno morale): ciò che è risarcibile «non può essere che la conseguenza - la si chiami danno biologico o danno alla salute - sulla vita dell'uomo di una menomazione fisica o psichica in sè» (GUSSONI, L'elaborazione del concetto di salute nella giurisprudenza costituzionale, in Arch. giur. circ. 1987, pag. 12).

Ma se il danno biologico rappresenta la conseguenza di una menomazione fisica o psichica di un fatto illecito viene a questo punto da chiedersi, allo scopo di raffigurarci un quadro completo di questa tipologia di danno, quale sia il bene che viene colpito e che la legge considera meritevole di risarcimento.

In sede storica si ricorderà il riferimento al bene della salute tutelato dall'art. 32 della Costituzione e considerato come un vero e proprio diritto soggettivo primario ed assoluto, pienamente operante nei rapporti interprivati, previo riferimento all'art. 2043 c.c. da leggere giustappunto quale integrato, nella situazione di specie, con la norma costituzionale ridetta.

L'art. 32 della Costituzione riconoscerebbe cioè il diritto alla salute integrando nel contempo l'art. 2043 c.c. - visto come norma in bianco - di cui completa il precetto, in tal modo superando le obiezioni di chi ritiene l'art. 2043 c.c. afferente solo ai danni patrimoniali.

Con questa operazione ermeneutica la Corte Costituzionale avrebbe a suo tempo (sentenza n. 184 del 1986) autorevolmente utilizzato - secondo il GUSSONI (L'elaborazione del concetto di salute nella giurisprudenza costituzionale, in Arch. giur. circ. 1987, pag. 10) - l'ampiezza indeterminata dell'art. 2043 c.c. per una specificazione attenta alla evoluzione della coscienza sociale.

Ragionamento che approda praticamente intatto ai nostri giorni, come possiamo rilevare dalla sentenza n. 4677 della sez. III della Corte Suprema dell'8 giugno 1998 (in Arch. giur. circ. 1998, pag. 760) ove si legge che «la giurisprudenza, in considerazione dei principi elaborati in particolare dalla Corte Costituzionale n. 184 del 1986 e 372 del 1994, ha individuato la figura del danno biologico come danno correlato alla lesione della persona ed inteso come menomazione arrecata alla integrità fisiopsichica del soggetto in violazione dell'art. 32 Cost.. Il danno biologico trova la sua fonte di...

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