Il Diritto Sociale del Lavoro, i giuristi e il neocostituzionalismo

AutoreVincenzo Bavaro
Pagine11-27
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Il Diritto Sociale del Lavoro,
i giuristi e il neo-costituzionalismo
1. Il diritto “impresariale” del lavoro d’inizio secolo
nuovo
Per cominciare un riflessione sul diritto del lavo-
ro che dicasi «sociale» e sul suo presente e futuro
occorre dare per acquisita la ingente mole di lette-
ratura scientifica sul destino del diritto del lavoro,
individuale e collettivo, partendo dall’affresco im-
prescindibile che quattro Maestri hanno offerto alla
comunità scientifica per stimolare una organica e
sistematica riflessione sul diritto del lavoro all’al-
ba del XXI secolo (Aidlass 2002). A questo sfondo
vorrei aggiungere qualche disordinata pennellata.
Il diritto del lavoro, per certi versi teso a trasfor-
marsi da sistema normativo di tutele nel rapporto a
sistema normativo di tutele nel mercato, sta provo-
cando una progressiva attenuazione del regime di
tutele nel rapporto, fondato sul principio della nor-
ma generale inderogabile, senza peraltro predisporre
una efficace (se non effettiva) tutela dei lavoratori nel
mercato. In questa prospettiva il diritto del lavoro ten-
de ad abdicare alla funzione di governo dell’organiz-
zazione del lavoro che ha connotato il giuslavorismo
post-costituzionale rispetto alla legislazione corpora-
tiva e – soprattutto – a quella c.d. sociale che risale
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al diritto del lavoro delle origini. Uno dei pilastri di
questa corrente di pensiero influente sull’evoluzione
recente del diritto del lavoro è quello di spostare il
diritto del lavoro dalla disciplina dell’organizzazione
del lavoro alla disciplina degli ammortizzatori degli
effetti collaterali socialmente negativi, risolvendo la
questione del governo dell’organizzazione mediante
la riduzione delle forme di controllo collettivo.
A me pare che la recente dichiarata volontà politi-
ca di modificare l’art. 41 Cost. – al di là della validità
scientifica degli argomenti addotti – sia il riflesso di
una concezione politico-culturale che manifesta un
mutamento della concezione del Potere nell’organiz-
zazione del lavoro e che, pertanto si colloca su un
piano meta-giuridico; cioè un piano politico-cultu-
rale che coinvolge il Diritto. In coerenza con questa
tendenza culturale, possiamo registrare non solo un
allentamento dei vincoli all’esercizio del potere di
direzione, organizzazione e controllo del lavoro, ma
anche una pulsione a neutralizzare la più caratteristi-
ca forma giuridica di riequilibrio dei poteri nell’orga-
nizzazione, qual è l’autonomia collettiva sindacale.
Pensiamo al dibattito rinnovatosi di recente sullo
Statuto dei lavoratori e leggiamo la dottrina che lo
reputa un testo normativo bisognoso di aggiornamen-
to e ammodernamento. Al di là dell’ovvia considera-
zione che ogni norma subisce i colpi del tempo, oc-
corre prestare attenzione anche (o meglio, soprattutto)
al non-detto che si nasconde dietro l’insofferenza per
questa legge e che mi sembra riguardi due specifici
aspetti: la tutela reale e i diritti sindacali. Si tratta di
due istituti (direi, i soli) che attribuiscono ai rispettivi

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