L'illegittimità costituzionale dell'equiparazione tra droghe «leggere» e «pesanti» ai fini sanzionatori

AutoreUbaldo Nazzaro
Pagine868-874
868
dott
10/2014 Rivista penale
DOTTRINA
l’IllegIttImItà
costItuzIonale
dell’equIparazIone
tra droghe «leggere»
e «pesantI» aI fInI
sanzIonatorI
di Ubaldo Nazzaro
SOMMARIO
1. Premessa introduttiva. 2. Le problematiche riaperte dal-
l’intervento del legislatore del 2006: gli artt. 4-bis e 4-vicies
ter della L. 21 febbraio 2006, n. 49. 3. La pronuncia della
Consulta. 4. Rif‌lessioni conclusive: l’attuale disciplina del-
l’art. 73 D.P.R. n. 309/1990.
1. Premessa introduttiva
A otto anni di distanza dalla sua conversione nella L.
21 febbraio 2006, n. 49 (c.d. «Fini-Giovanardi»), il D.L.
30 dicembre 2005, n. 272, è stato, relativamente agli artt.
4-bis e 4-vicies ter, oggetto di giudizio della Consulta, che
ne ha dichiarato l’illegittimità.
Ragioni tecnico-formali, di censura degli emendamenti
estranei all’oggetto e alle f‌inalità del decreto-legge, sono
poste a fondamento della sentenza del 25 febbraio 2014, n.
32. L’inserimento, in un testo recante, nella sua originaria
formulazione, misure urgenti per garantire la sicurezza e i
f‌inanziamenti per le Olimpiadi invernali del 2006 e la fun-
zionalità dell’Amministrazione dell’interno, del contenuto
del D.D.L. C.D.M. 13 novembre 2003 (avente, per l’appunto,
a oggetto le modif‌iche alla disciplina degli stupefacenti),
è apparso, infatti, ai giudici della Corte Costituzionale in
contrasto con il comma 2, art. 77 Cost.
Perplessità avevano, in effetti, accompagnato, sin dalla
loro genesi, le misure contenute nelle norme bocciate dal-
la Consulta, sia per la summenzionata subdola operazione
del legislatore, sia, soprattutto, per le opzioni repressive
tendenti alla rinnovata criminalizzazione del consumato-
re.
Obiettivo della L. n. 49/2006 è il ripristino di una di-
sciplina analoga a quella vigente anteriormente al refe-
rendum del 1993, allorquando la volontà popolare si era
pronunciata a favore della non punibilità penale del mero
uso di sostanza stupefacente.
La f‌igura del consumatore, accanto a quella del tossi-
codipendente, rappresenta, da sempre, oggetto di scontro
culturale e ideologico. Il concetto di «dose media giorna-
liera» aveva sintetizzato appieno le istanze proibizioniste
che si erano andate affermando alla f‌ine degli anni ottanta
del secolo trascorso.
Attorno all’idea di un quantum di droga, def‌inito alla
luce di rigidi parametri ministeriali e ritenuto necessario
al fabbisogno personale del tossicodipendente, al di là del
quale le condotte di detenzione e destinazione a terzi di
stupefacente vengono, ai f‌ini giuridici, equiparate, era sta-
to eretto l’impianto della nuova disciplina, contenuta nella
L. 26 giugno 1990, n. 162 (1), e conf‌luita, poi, nel D.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 (2) (attuale Testo Unico in materia).
Compito del legislatore del 1990 è quello di tradurre
in dettato normativo il “divieto di drogarsi”, principio
cardine della campagna di criminalizzazione f‌inanche dei
consumatori, inaugurata qualche anno prima dall’allora
Presidente del Consiglio Bettino Craxi.
A tal uopo giovava, innanzitutto, l’originario art. 72
D.P.R. n. 309/1990, che vietava l’uso personale di sostanze
stupefacenti o psicotrope indicate nelle tabelle previste
dal precedente art. 14 e, in ogni caso, non autorizzate ai
sensi del Testo Unico (3).
Le opzioni legislative proibizioniste avrebbero trova-
to concretizzazione attraverso la predisposizione di un
ampio ventaglio di soluzioni punitive, riconducibili a un
doppio livello di responsabilità, amministrativa e penale:
il concetto di «dose media giornaliera» rappresentò il
criterio per stabilire il passaggio dall’uno all’altro tipo di
illecito (4).
Il superamento della soglia del penalmente lecito,
avente indistintamente a oggetto droghe «pesanti» o
«leggere», integrava le ipotesi delittuose di cui all’art. 73
D.P.R. n. 309/1990. La sanzione amministrativa, irrogata
dal prefetto del luogo ove il fatto veniva commesso, era
contemplata ai sensi del successivo art. 75. Ulteriori prov-
vedimenti, nei confronti del soggetto che avesse rif‌iutato
o interrotto il programma terapeutico e socio-riabilitativo,
erano adottati dall’autorità giudiziaria, come disposto
dall’art. 76.
La rigidità di tale impianto normativo, che prevedeva,
originariamente, la presunzione di cessione di stupefacen-
te in caso di detenzione, a prescindere dal tipo, di sostanza
superiore a un quantum ancorato a parametri ministeriali,
risulterà attenuato a seguito dell’intervento del legislatore
del 1993.
Il D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, recepirà, infatti, l’esito
referendario del 18 e 19 aprile 1993, che sancisce l’affer-
mazione di istanze maggiormente permissive nei confronti
dell’uso personale di sostanza psicotropa.
La “depenalizzazione” del consumo di stupefacente,
indipendentemente dal quantum detenuto, avviene at-
traverso l’abrogazione parziale, innanzitutto, dell’art. 72
D.P.R. n. 309/1990, che pone il divieto generale di qualun-
que impiego non autorizzato di droga, nonché degli artt.
75, in relazione all’adozione di un rigido discrimen quan-
titativo per stabilire il conf‌ine tra illecito amministrativo
e penale, e 78, nella parte nella quale venivano indicati i
parametri oggettivi e i limiti massimi di principio attivo
relativi alla soglia di punibilità (5).

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