L'esigenza di tipizzazione del divieto di avvicinamento anti-stalking in armonia con l'ordine di protezione europeo

AutoreCarmelo Minnella
Pagine69-76
467
giur
Rivista penale 5/2016
LEGITTIMITÀ
L’ESIGENZA DI TIPIZZAZIONE
DEL DIVIETO DI AVVICINAMENTO
ANTI-STALKING IN ARMONIA
CON L’ORDINE DI PROTEZIONE
EUROPEO
di Carmelo Minnella
SOMMARIO
1. Il contrasto all’interno delle Sezioni della Suprema Cor-
te sul contenuto del divieto di avvicinamento. 2. Contenuto
“f‌lessibile” del divieto di avvicinamento. 3. Il solo divieto di
avvicinamento alla “vittima”. 4. Il solo divieto di avvicinamen-
to ai “luoghi” frequentati dalla vittima. 5. Cumulo del divieto
di avvicinamento “personale” e “locale”. 6. L’orientamento
seguito dalla VI Sezione. 7. Orientamento ancora più rigoroso
e rispettoso della legalità: divieto di cumulo di avvicinamen-
to “personale” e “locale”. 8. Recuperare il def‌icit di legalità
cautelare, non aggravando le carenze di determinatezza del
reato di stalking. 9. Interpretazione conforme all’ordine di
protezione europeo.
1. Il contrasto all’interno delle Sezioni della Suprema
Corte sul contenuto del divieto di avvicinamento
Per la sentenza n. 28666/15, deliberata dalla Sesta se-
zione penale della Suprema Corte il 23 giugno 2015 (le cui
motivazioni sono state depositate il 6 luglio 2015), l’ela-
sticità del contenuto della misura cautelare del divieto di
avvicinamento ex articolo 282-ter c.p.p., pur consentendo
al giudice di adeguare l’intervento cautelare alle esigen-
ze del caso concreto, deve perimetrare specif‌icamente
gli spazi di libertà personale limitati dalla misura, anche
laddove il provvedimento restrittivo preveda, in aggiunta,
al divieto di avvicinamento “personale”, quello di inibire
l’accesso ai luoghi di frequentazione della persona offesa.
Ciò in aperto contrasto con l’orientamento seguito dalla
Quinta sezione di legittimità (1) per il quale se la con-
dotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati
della persistente ed invasiva ricerca di contatto della vit-
tima in qualsiasi luogo dove essa si trovi (ed è la situazio-
ne ricorrente descritta nel delitto di atti persecutori ex
articolo 612-bis c.p.), diviene irrilevante l’individuazione
dei luoghi di abituale frequentazione della persona offesa.
2. Contenuto “f‌lessibile” del divieto di avvicinamento
L’art. 282-ter c.p.p., nel porre il divieto all’imputato di
avvicinarsi ai luoghi determinati frequentati abitualmente
dalla persona offesa, ovvero di mantenere una determina-
ta distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, consente
di calibrare e temperare la misura alla situazione di fatto
che si vuole tutelare in via cautelare (2).
La misura cautelare, coniata dal legislatore proprio in
relazione al delitto di atti persecutori (anche se non è da
escludere che la stessa possa avere un’applicazione gene-
ralizzata (3), soprattutto con riferimento alla vicina f‌igura
delittuosa dei maltrattamenti in famiglia (4)), costituisce
un argine alla reiterazione delle condotte moleste e mi-
nacciose e/o un freno al rischio di attentati alla genuinità
della prova, per lo meno “in prima battuta”, salva l’applica-
zione di una misura più aff‌littiva qualora si dovesse aggra-
vare il quadro cautelare o l’indagato di stalking prosegua
nel compimento delle sue incursioni persecutorie (5).
Siamo all’interno di quel «microsistema cautelare
orientato alla tutela della vittima» (6) (o misure cautelari
“a tutela dell’offeso” (7) che presenta peculiari caratte-
ristiche in quanto la misura cautelare prevista dall’art.
282-ter c.p.p. è caratterizzata «per essere normativa-
mente “temperata” sulla situazione che si vuole tutelare
in via cautelare» (8). Infatti, mentre il giudice penale è
abituato a maneggiare misure cautelari “interamente
predeterminate”, che generalmente non necessitano di
integrazioni prescrittive e quando vi sono, sono di minima
entità, invece, sia l’allontanamento dalla casa familiare,
che il divieto di avvicinamento - misure entrambe ispirate
all’esperienza comparata dell’order of protection della le-
gislazione di common law - si connotano perché aff‌idano
al giudice della cautela il compito, oltre che di verif‌icare
i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di
quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo
cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura
stessa (9).
Proprio la f‌lessibilità e la scarna descrizione normativa
dei contenuti del divieto di avvicinamento, ampliando gli
spazi di discrezionalità normalmente riconosciuti al giudice
(alquanto esigui in materia di provvedimenti de libertate,
caratterizzata da un elevato tasso di legalità, per la mas-
sima salvaguardia della libertà personale dell’imputato),
viene considerata «al limite della compatibilità con l’art.
13 Cost., che ammette restrizioni per mano dell’autorità
giudiziaria “nei soli […] modi previsti dalla legge”» (10).
3. Il solo divieto di avvicinamento alla “vittima”
Per applicare il divieto di avvicinamento, appare neces-
saria la completa comprensione delle dinamiche che sono
alla base dell’illecito, nel senso che il giudice deve mo-
dellare la misura in relazione alla situazione di fatto. Ciò
comporta che il pubblico ministero nella sua richiesta (e
ancor prima la polizia giudiziaria) dovrà ben rappresentare
al giudice, oltre agli elementi essenziali per l’applicazione
della misura, anche aspetti apparentemente di contorno,
che invece possono assumere una importanza fondamenta-
le ai f‌ini dei provvedimenti di allontanamento o di divieto
di avvicinamento, che possono risultare utili per dare il mi-
gliore contenuto al provvedimento cautelare (11).

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