L'imputabilità dei minori

AutorePaola Bisceglia
Pagine937-940

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@1. I minori degli anni quattordici.

Il codice Rocco 1 fissa la soglia dell'imputabilità al quattordicesimo anno di età, stabilendo all'articolo 97 che «non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni». La disposizione in commento esclude, quindi, in maniera assoluta, la responsabilità penale del minore di anni quattordici per difetto di imputabilità.

Gli accertamenti sull'età 2 possono essere effettuati tramite ricerche anagrafiche o documentali, indagini collegate al possesso di stato utilizzabili anche a fini civili, nonché sulla base di criteri della scienza auxologica 3.

In caso di incertezza sull'età dell'imputato minore, l'autorità giudiziaria è tenuta ex articolo 67 c.p.p., a trasmettere gli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni; il dubbio, infatti, si risolve a favore dell'imputato 4.

A confronto, il codice Zanardelli prevedeva un limite di età molto più basso riconoscendo la presunzione assoluta di non imputabilità solo ai minori di nove anni 5. Tale limite non era sorretto da riferimenti a discipline psicologiche ma era ispirato a mere esigenze di difesa sociale mortificando, così, la giustizia minorile a un puro e semplice affare di polizia.

Non che siano mancate recentemente proposte dirette a modifiare il limite dei quattordici anni: a ben vedere, però, la riduzione della soglia a dodici anni non corrisponderebbe, né all'esperienza reale, né alla realtà giudiziaria, da cui si evince l'immaturità di un minore quattordicenne. La spiegazione di tali iniziative, allora, non è da ricercare in esigenze psicologiche o pedagogiche, bensì in istanze di dubbia valenza politico-criminale; essendo, peraltro, tutto da dimostrare che all'abbattimento della soglia dei quattordici anni corrisponda una reale possibilità di contenimento della criminalità minorile. Tuttavia, anche ammettendo una qualche efficacia nella prevenzione dei reati, l'abbassamento dell'età imputabile si porrebbe in aperto contrasto con le norme della Costituzione dirette a tutelare la condizione del minore (in particolare, il riferimento è all'art. 31).

@2. I minori ultraquattordicenni.

Il periodo preso in esame dall'articolo 98 c.p. fa riferimento a quella fase d'età, chiamata adolescenza, caratterizzata dal passaggio dallo status sociale infantile allo status adulto, pertanto fortemente influenzato da fattori storici e socio-ambientali.

Tradizionalmente, l'adolescenza è considerata un'età di crisi, conflitti, ribellioni verso la famiglia e la società, nella quale si apre uno scarto generazionale fra giovani e adulti con ruoli educativi e fra giovani e società 6.

Se non considerata come un periodo di scosse importanti, l'adolescenza è vista come un evento psicologico e sociale. Infatti se risaliamo molto indietro nel tempo, riscontriamo come nei popoli primitivi non esisteva un'età giovanile nel senso attuale del termine: il passaggio dalla fanciullezza alla maturità avveniva repentinamente, attraverso un breve noviziato o una cerimonia di iniziazione.

Fino al XVII secolo, almeno a livello delle culture europee, non si riscontrano termini specifici per distinguere la fase infantile da quella adolescenziale (per esempio il termine puer e adolescens erano intercambiabili). Nel Medioevo e nell'epoca pre-industriale il periodo considerato giovanile durava all'incirca dai 7/8 ai 25/30 anni e si situava tra l'infanzia e l'indipendenza dell'età adulta, caratterizzata da eventi come il matrimonio e dall'eredità.

Ai nostri giorni, il periodo adolescenziale è sempre più esteso, da una parte in ragione dello sviluppo fisico anticipato, dall'altra per il protrarsi della condizione adolescenziale verso età considerate adulte per ragioni socio-culturali (allungamento del periodo di permanenza a scuola, spostamento in avanti dell'inizio dell'attività lavorativa, della formazione di una nuova famiglia, dell'autonomia abitativa, dell'autonomia economica...). Inoltre, soprattutto nel nostro Paese, sembra che il notevole decremento della natalità contribuisca a mantenere più a lungo i giovani in condizioni di figli o di eterni adolescenti. Si parla, così, di adolescenza interminabile 7.

@@2.1. Lo sviluppo intellettuale.

Il periodo in esame comincia, secondo PIAGET 8, a partire dagli 11-12 anni, momento in cui il bambino inizia a sviluppare la dialettica che tende, però, nelle prime fasi, ad esprimersi in modo rigido anche a causa dell'interferenza dell'egocentrismo adolescenziale. Conseguono tipicamente da parte dell'adolescente atteggiamenti di contrapposizione legata all'insofferenza per convinzioni, principi e regole trasmessi dagli adulti e al desiderio di elaborare convinzioni personali e l'affermazione del sè.

Parallelamente e gradualmente si sviluppano, tuttavia, una migliore consapevolezza dei processi psichici dell'altro, una migliore comprensione delle norme morali e l'abilità di autocritica. In tale fase viene in evidenza una forte criticità in relazione al ruolo educativo dell'adulto. In particolare, l'eccesso di consenso o l'indifferenza impedisce la fisiologica necessità di esercizio di contrapposizione che contribuisce all'affinamento delle capacità di ragionamento. Al contrario, un atteggiamento di rigidità da parte dell'adulto tende a portare allo scontro e, nel lungo periodo, all'impossibilità di comunicare.

Tutti gli Autori che hanno affrontato il tema dello sviluppo intellettuale, comunque, concordano nel ritenere che lo sviluppo cognitivo innanzitutto non è universale, ma variabile a seconda di fattori quali l'ambiente sociale e la scolarizzazione e che, in secondo luogo, non riguardi solo il periodo dell'adolescenza ma che si svolga lungo tutto l'arco della vita. Il raggiungimento dell'identità dell'individuo, implicante la definizione dei propri orientamenti di fondo nell'ambito sessuale, professionale, sociale, troverà dunque diversi assestamenti nelle diverse fasi della vita.

@@2.2. Incidenza dei fattori socio-ambientali sullo sviluppo cognitivo e sulla maturità del minore.

Il concetto d'età non deve essere inteso unicamente in senso biologico e cronologico, ma devono tenersi presenti anche le strette corre-Page 938lazioni con fattori socio-culturali. Infatti, se è possibile delineare uno stereotipo d'età sotto il profilo antropometrico e biologico, è sempre più difficile delineare uno stereotipo d'età sotto il profilo psicologico ed è pressoché impossibile delinearne uno sotto il profilo del comportamento.

Un'importante indagine condotta alla fine degli anni '70 su un campione di 55 mila diciottenni svedesi ha messo in risalto come fattori quali l'ambiente e la classe sociale d'appartenenza influenzino in maniera importante i processi evolutivi del carattere del giovane 9. La ricerca ha dimostrato la presenza di capacità intellettive nettamente più elevate nell'ambiente cittadino rispetto a quello rurale e una migliore capacità sociale, energia psichica e stabilità emotiva nel primo rispetto al secondo. Ad un'attenta analisi, però, tale primato è solo apparente se ci si sposta dall'analisi dei valori medi a quella dei singoli fattori in base ai quali è stata valutata la stabilità emotiva: compaiono nell'ambiente urbano frequenze più elevate d'insonnia, depressione, irritabilità, onicofagia dovuti soprattutto ad alti livelli di competizione e alla molteplicità degli stimoli che richiedono una grande flessione di risposta. Nell'ambiente urbano si aggiunge anche una maggiore frequenza di sintomi psichiatrici per cui il prototipo del giovane cittadino è solo in apparenza emotivamente più stabile e psichicamente più capace del suo corrispettivo rurale: esso appare avvantaggiato solo in linea statistica, ma in realtà più vulnerabile essendo il frutto di un campione molto poco omogeneo. Ricerche sul rendimento scolastico, inoltre, hanno evidenziato come lo scolaro proveniente dalle aree rurali risulti più stabilizzato e perseverante, da ciò se ne deduce un maggiore equilibrio della personalità rispetto ai coetanei cittadini. L'ambiente di sviluppo del giovane, dunque, incide in maniera importante sulla capacità psichica del soggetto e sulla sua igiene mentale.

In rapporto alla casse sociale di provenienza, l'inchiesta svedese ha dimostrato come i giovani appartenenti alle classi più agiate siano più dotati dal punto di vista intellettivo, per capacità sociale e stabilità emotiva. Tali dati cambiano se si passa da una situazione statica a una situazione dinamica: la forte mobilità sociale implica continue modificazioni socio-culturali che impongono all'individuo un adeguamento continuo e permanente ed è probabile che sempre meno siano i soggetti capaci di tanto, risultando sempre più numerosi quelli suscettibili di entrare in scompenso adattivo.

Da queste premesse, si deve ritenere che lo stereotipo di giovane a cui fa riferimento l'articolo 98 del codice penale, non deve essere applicato tecnicamente ma deve tenere conto delle problematiche socio-culturali in relazione all'individuo. In sostanza, il concetto di maturità o immaturità non dipende esclusivamente da caratteristiche evolutive endogene ma è fortemente influenzato da fattori psicosociali che determinano notevoli modificazioni nel ritmo maturativo. Il soggetto giudicato maturo in seno a un ambiente rurale potrebbe essere giudicato immaturo in seno all'ambiente della grande metropoli. Da tali premesse sarebbe più opportuno parlare di adeguatezza piuttosto che di maturità, intendendo per soggetto adeguato colui che ha la capacità di adattarsi alle situazioni senza lasciarsi condizionare e conservando autonomia di scelta decisionale 10. In sostanza, parlare di adeguatezza vuol dire collegare l'individuo alla realtà in cui vive e opera.

@3. La disciplina del codice.

La posizione dell'adolescente, proprio perché caratterizzata da uno sviluppo psicofisico incompleto e fortemente influenzato da diversi fattori, richiede un trattamento giuridico speciale. A tale proposito...

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