L'appello

AutoreStefano Ambrogio
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L’appello è un mezzo ordinario di impugnazione, con cui la parte interessata chiede la rimozione di un vizio - di merito o di legittimità - della sentenza del giudice di primo grado.

Il giudice d’appello può confermare o modificare la sentenza impugnata, ma può anche annullare la sentenza invalida e restituire gli atti al giudice di primo grado.

La dottrina distingue tra azione di annullamento e mezzi di gravame, osservando che la prima mira alla rescissione totale o parziale della sentenza impugnata, mentre con l’impugnazione si devolve la causa ad un giudice nuovo che procederà a una seconda valutazione, con gli stessi poteri del primo giudice (Danesi, Guarino). Sono azioni di annullamento il ricorso per Cassazione e la revisione, mentre tipico mezzo di gravame è l’appello.

L’appello attua il cd. principio del doppio grado di giurisdizione anche se quest’ultimo non è espressamente previsto dalla nostra Costituzione: l’art. 111 Cost. sancisce solo che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge, prevedendo dunque solo un controllo di legittimità e non anche di merito.
È stato ricordato (Riccio) che nell’Assemblea costituente il principio del doppio grado di giurisdizione era stato proposto per le sole sentenze penali, ma non fu inserito per evitare di condizionare il legislatore nella valutazione dell’appellabilità delle sentenze della Corte d’assise; d’altra parte, la Corte costituzionale ha più volte escluso la rilevanza costituzionale del diritto all’appello, ma al tempo stesso ha sottolineato che l’abrogazione del doppio grado di giurisdizione comporterebbe conseguenze negative per l’effettivo esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti e, in tale ottica, ha dichiarato l’illegittimità delle norme che escludevano l’appello, sia pure al solo fine di rendere effettiva la parità delle parti a tutela dell’uguaglianza e del diritto alla difesa.

La dottrina, invece, ha ravvisato il fondamento costituzionale del doppio grado di giurisdizione nel merito nel 6° comma dell’art. 111

l’aPPello

Il doppio grado di giurisdizione

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diritto
di appello nella costituzione

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Parte vII | le impugnazioni

Cost. (tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati), osservando che, se l’obbligo di motivazione è imposto in funzione di controllo, esso implica necessariamente - altrimenti sarebbe inoperante - la previsione di un meccanismo di verifica del merito del provvedimento.

Giudice competente a decidere sull’appello è:
per l’appello contro le sentenze del tribunale, comprese quelle pronunciate in sede di giudizio abbreviato, la Corte d’appello;
per l’appello contro le sentenze della Corte d’assise, comprese quelle pronunciate in sede di giudizio abbreviato, la Corte d’assise d’appello (art. 596 c.p.p.);
per l’appello contro le sentenze del giudice di pace, il tribunale in composizione monocratica (art. 39 D.Lgs. n. 274/2000).

sentenze appellabili

Ai sensi dell’art. 593 c.p.p. è sempre ammesso l’appello avverso le sentenze di condanna o di proscioglimento, da parte di colui che ha interesse ad ottenere una pronuncia diversa.

Sono però previsti alcuni casi specifici di inappellabilità (inappellabilità che non preclude il ricorso per cassazione ex art. 111, co. 7, Cost.):
l’imputato non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento emesse in sede di giudizio abbreviato (ad eccezione delle sentenze di assoluzione per vizio totale di mente, che, in seguito alla sent. della Corte costituzionale 29-10-2009, n. 274 che ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 443 c.p.p., sono invece appellabili dall’imputato). Il p.m. non può, invece, proporre appello contro le sentenze di condanna emesse in sede di giudizio abbreviato, per contestare la determinazione della pena (art. 443 c.p.p.);

Nella formulazione originaria dell’art. 443 c.p.p., così come modificato dalla l. 20-2-2006,
n. 46 (cd. legge Pecorella), non solo l’imputato ma neanche il p.m. poteva proporre appello contro le sentenze di proscioglimento emesse in sede di giudizio abbreviato. La Corte costituzionale con sentenza n. 320 del 2007 ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, riammettendo quindi l’appello del p.m. avverso le sentenze di proscioglimento all’esito di questo rito speciale.

- le sentenze di patteggiamento sono inappellabili. Solo il p.m. che abbia espresso il proprio dissenso al patteggiamento può presentare impugnazione mediante appello (art. 448 c.p.p.);

Giudice d’appello

sentenze inappellabili

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capitolo 27 | l’appello

- le sentenze di proscioglimento pronunciate nella fase preliminare al dibattimento sono inappellabili (art. 469 c.p.p.);
anche le sentenze di non luogo a procedere emesse durante l’udienza preliminare (art. 428 c.p.p.) sono inappellabili;
sono inappellabili (per l’imputato e il p.m.) le sentenze di condanna relative ai reati per i quali sia stata applicata la sola pena pecuniaria (dell’ammenda) e le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa (art. 593, comma 3°, c.p.p.).

Ai sensi dell’art. 593 c.p.p. così come modificato dalla legge n. 46/2006, le sentenze di proscioglimento in primo grado non potevano essere appellate, né dall’imputato né dal p.m., in assenza di nuove prove; il legislatore richiedeva quindi che la revisione nel merito di una pronuncia favorevole all’imputato presupponesse la rinnovazione dell’istruttoria da parte della Corte di appello. Tale disposizione è venuta meno in seguito all’intervento della Corte costituzionale.

La disciplina che limitava l’appello del p.m. è, infatti, stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 26 del 2007, in quanto seppure la parità delle parti del processo non corrisponde ad una eguale distribuzione di poteri e facoltà, in questo caso la disparità tra difesa (che può appellare sempre le sentenze di condanna) e accusa (che non poteva appellare le sentenze di proscioglimento), appariva evidentemente contraria al canone della ragionevolezza, oltre che contraddittoria (il p.m. poteva appellare le sentenze di condanna dell’imputato ma non quelle di prosciogli-mento). Attualmente quindi il p.m. conserva il potere di appellare avverso le sentenze di proscioglimento in primo grado.

Ai sensi dell’art. 593, comma 2°, c.p.p. nemmeno l’imputato poteva proporre appello contro le sentenze di proscioglimento con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, per...

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