L'Apertura Di Vedute Nel Muro Comune Costituisce Modificazione O Innovazione?
Autore | Antonio Fontana |
Pagine | 652-654 |
652
giur
6/2018 Arch. loc. cond. e imm.
LEGITTIMITÀ
L’APERTURA DI VEDUTE
NEL MURO COMUNE
COSTITUISCE MODIFICAZIONE
O INNOVAZIONE?
di Antonio Fontana
1. - Schematizzando, il caso che la Suprema Corte è
stata chiamata a decidere può così riassumersi. Tizio aveva
aperto tre ampie vedute (“finestroni” leggiamo in narrativa)
nel muro perimetrale del caseggiato, per mettere il proprio
appartamento in comunicazione diretta con il cortile con-
dominiale. Poteva farlo senza il consenso degli altri condo-
mini, riuniti in assemblea? Alcuni di loro si erano espressi
negativamente: da ciò la controversia. Il dibattito si è svolto
secondo uno schema che ben può dirsi classico: quello del
conflitto apparente di norme coesistenti, nel quale l’ap-
plicabilità di una di esse esclude automaticamente quella
dell’altra. Nella specie, l’art. 903, secondo comma (in cui si
richiede, per l’appunto, il “consenso” del comproprietario)
contro l’art. 1102, che esordisce affermando: “Ciascun par-
tecipante può servirsi della cosa comune” purché rispetti le
condizioni indicate subito dopo. E la Cassazione lo ha risolto
applicando un criterio altrettanto classico, l’unico, anzi, se-
condo autorevoli studiosi, che, in materia, sia dotato di un
valido fondamento logico. Quello di specialità, già noto ai
giuristi romani, che insegnavano: in toto iure generi per spe-
ciem derogatur. Ciò spiega come l’argomentazione non sia
particolarmente diffusa: dopo aver dato atto che ci troviamo
di fronte ad un orientamento ormai da tempo incontrastato,
la Suprema Corte lo ribadisce, richiamando a tal fine anche
vari precedenti. Di questi, il più prossimo reca la data del 19
dicembre 2017, e lo si deve alla penna di uno fra i più esperti
conoscitori del diritto immobiliare: il Consigliere Antonio
Scarpa. (1). Mi sembra quindi opportuno trascriverne alme-
no il passo più saliente. In esso leggiamo: “…le norme sulle
distanze sono applicabili anche tra i condomini….soltanto
se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose
comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia
in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto la preva-
lenza della norma speciale in materia di condominio deter-
mina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distan-
ze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo
condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione
rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispet-
to dei limiti di cui all’art. 1102, deve ritenersi legittima l’ope-
ra realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per
regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga
rispettata la struttura dell’edificio condominiale”.
2. - Una pronunzia sobria, dunque, che si mantiene nel
solco della tradizione. Tuttavia, a chi la consideri senza
essere vincolato, come il giudice, dalle strette maglie del
processo, la vicenda che essa conclude offre anche altri
spunti di riflessione. Cercherò di accennarne qualcuno.
3. - In limine, si può osservare che se l’art. 903 non è una
disposizione specifica dettata per il condominio, non lo è
neppure l’art. 1102. Esso è collocato, infatti, nel Capo con-
cernente la disciplina della “comunione in generale” (artt.
1100-1116) e può trovare applicazione anche al condominio
solo grazie al raccordo stabilito, fra l’una e l’altro, dall’art.
1139. La frequenza con cui vi si attinge pur nella nostra
materia dipende da una anomalia del dettato legislativo,
che la dottrina non ha mancato di porre in rilievo (2). Nel
Capo dedicato ex professo al condominio (artt. 1117-1139)
non si trova neppure una disposizione che regoli l’uso delle
parti comuni dell’edificio, di cui ci è pur fornito un ampio
elenco, che la riforma (intervenuta con la legge 11 dicem-
bre 2012 n. 220) ha ulteriormente arricchito. Spetta perciò
all’interprete il non facile compito di coordinare l’art. 1102
con altre disposizioni, dettate, queste sì, specificamente
per il condominio, quali, soprattutto, gli artt. 1120 e 1121.
4. - Dichiarando legittima l’apertura delle vedute da par-
te del condomino che ho chiamato e continuerò a chiamare
Tizio, il Supremo Collegio, pur senza dirlo, l’ha ricondotta
entro la categoria che la dottrina definisce delle “modifi-
cazioni”, facendo proprio un termine che ricorre, appunto,
nell’art. 1102. Si tratta delle opere che, grazie a quell’ag-
gettivo indefinito (“ciascuno”) che già abbiamo incontrato
proprio all’inizio della norma appena citata, chiunque, pur-
ché, s’intende, rivesta la qualità di condomino, può compie-
re sulla cosa comune (rectius, trattandosi di condominio,
sulle parti comuni dell’edificio) senza l’autorizzazione di
alcuno, semplicemente sostenendone la spesa, il che costi-
tuisce, già di per sé, un’efficace remora ad iniziative avven-
tate. Siccome il “partecipante” (rectius, nel nostro caso, il
condomino) ne è comproprietario, pro quota, il diritto che
egli esercita non è uno ius in re aliena, bensì un diritto di
proprietà, sia pure compresso dal concorso degli altri dirit-
ti, della stessa natura, spettanti agli altri condomini.
A tale categoria si suole contrapporre quella delle “inno-
vazioni”, facendo uso, anche qui, di un termine che si ritrova
nel testo della legge: cfr., oltre ai già citati artt. 1120 e 1121,
quelli immediatamente successivi, fino all’art. 1123, alcuni
ampiamente rielaborati, altri aggiunti in toto dalla riforma.
Neppure questa, però, ce ne ha fornito una definizione, sic-
ché, ancor oggi, il più importante contributo per orientarsi
in proposito resta la casistica fornita dalla giurisprudenza,
alla quale tutti, ormai, riconoscono dignità di fonte del di-
ritto. A mio parere emerge, anche qui, una dicotomia che
permea di sé tutto il sistema: quella fra interesse indivi-
duale e interesse collettivo. Nelle modificazioni prevale il
primo, nelle innovazioni il secondo. Se un professionista
affigge al muro comune la propria targhetta d’ottone, con
nome, qualifica ed orario di ricevimento, gli organi condo-
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