L'irriducibile crisi della democrazia repubblicana

AutoreVentura L.
Pagine569-587
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Luigi Ventura
L’IRRIDUCIBILE CRISI DELLA DEMOCRAZIA REPUBBLICANA
1. Sin da quando ho iniziato ad occuparmi dei temi relativi alla democrazia italia-
na ho compreso che si trattava di una democrazia malata, se studi politologici di alto
livello, tra Columbia University e Pavia (G. Sani), paragonavano, nelle classifiche in-
ternazionali ed in ragione del controllo clientelare del voto (era il tempo della preferen-
za multipla), lItalia alla Tanzania.
Oggi che siamo alla fine, quasi di unesperienza, i dati di Istituti della cui serietà
non si dubita ci collocano al settantesimo posto, insieme alla Guyana e ad Hong Kong
e dopo la Namibia, in ragione dei dubbi sulla libertà di informazione (su cui, diffusa-
mente, dal 1967 ad oggi, A. Loiodice), data linfluenza sulla stessa dei partiti e del pro-
prietario del più grande gruppo industriale al riguardo, avendo guadagnato un punto in
classifica a mo tivo che questi non è più P residente del Consiglio , anche se lo stesso
Istituto ne teme il ritorno (fonte: F reedom House, La Stampa, 1 maggio 2012). A dare
dimostrazione della serietà della classifica, vi è la posizione, ai primi tre posti, di Sve-
zia, Norvegia e Danimarca, circostanza indiscutibile. Dalla stessa fonte si apprende
che, nel rapporto del 1 gennaio 2012, lItalia, pur democratica, non poteva essere ai
vertici della graduatoria, oltre che per la possibilità di un ritorno al recente passato,
perché il governo Monti non era stato eletto.
Ora, fermo restando che sulla libertà ed il pluralismo dellinformazione si potreb-
be a lungo disquisire a sostegno delle opinioni più fortemente critiche, il secondo moti-
vo, per la verità non riscontrato nel testo in inglese di Fr eedom House, merita qualche
riflessione. Cè sicuramente un fondo di verità nella valutazione che è sempre preferi-
bile un governo che nasca da libere elezioni. Tuttavia non si tratta, nellemergenza, del
primo Governo del Presidente nella storia della Repubblica e poi bisogna necessa-
riamente che ci si renda conto che nel nostro Paese, nella nostra Costituzione è previsto
il Governo parlamentare, la cui legittimazione nasce dalla fiducia delle Camere ovvero
della maggioranza nelle stesse e che è mistificante possa esistere, r ebus sic stantibus,
un Governo (rectius: il Presidente del Consiglio) eletto dal popolo. Altrimenti non si
discuterebbe da quasi trentanni di una riforma costituzionale orientata in tal senso. Ma
tantè. (Pertinenti, tuttavia, ed equilibrate sono, sulla vicenda-Monti, le osservazioni di
A. Ruggeri).
Se poi ci fosse qualcuno disposto a dire che il vecchio K. Marx aveva ragione
quando affermava che lEconomia è il motore della Storia, e quindi della Politica, sa-
remmo di fronte ad un esercizio di onestà intellettuale. E lUnione europea nasce e ri-
mane prevalentemente come Unione economica e monetaria, senza , senza i po-
teri tipici di un Sovrano, ma con ventisette Sovrani (e ventisette Banche centrali) che
vanno a diversissime velocità economiche, senza politiche sociali comuni e quindi sen-
za un comune welfare, con conseguente politica del lavoro. Essa impone, nella contin-
genza, tagli alla spesa, politiche fiscali e predica la necessità di crescita e sviluppo, af-
fidata, in assoluta prevalenza, alle politiche dei singoli membri dellUnione. Il che cor-
risponde, una volta tanto, al rapporto tra doveri, immediati, e diritti, a futura memoria.
Ciò vale quanto dire che si coinvolge il rapporto autorità-libertà e quindi, nello specifi-
co, la nostra forma di Stato-Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Fermo restando che il Governo Monti, al di là del giudizio sulle scelte politico-
economiche, che possono essere legittimamente controverse, ma che sicuramente sono
condizionate da una maggioranza parlamentare non omogenea, ha ripristinato nel mon-
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do la credibilità del nostro Paese (basti ricordare il vertice europeo di Bruxelles del 28
giugno 2012) ed, allinterno di questo, il senso delletica repubblicana. Perché è di go-
vernanti seri, misurati e competenti che lItalia ha necessità.
2. Sempre sul versante della mancanza di libertà di stampa che ostacola la demo-
crazia, in una ricerca dellUniversità di Zurigo e del Social Science Research Center di
Berlino, relativa agli anni dal 1995 al 2005 (fonte: www.corriere.it dell11.02.2011),
nella classifica guidata dalla Danimarca e dalla Finlandia, lItalia, tra i Paesi più avan-
zati, è terzultima, ma precede la Francia (a causa, ivi, del numero limitato di Partiti in
Parlamento, dellincremento della violenza della polizia nei confronti dei cittadini,
nonché di una certa limitazione della libertà di culto); mentre lInghilterra è penalizzata
dal sistema elettorale che potrebbe alterare il risultato espresso dalla volontà dei citta-
dini e dal sistema mediatico legato ad interessi privati.
Di tanti di questi mali, per la verità, soffre anche lItalia. Lelenco sarebbe lungo e,
forse, puntuale, compresa la mancanza della almeno tendenziale parità di genere nella
rappresentanza istituzionale che, al contrario, premia in quella classifica la Germania,
assieme alla effettiva separazione tra i poteri dello Stato. Due pregi che lItalia non può
certo vantare.
Ma nel nostro Paese la democrazia ha altri mali, meno di maniera, seppure gra-
vi, nonostante i Padri costituenti disegnarono una sistema democratico quasi ideale. In
un incipit di norme, forse utopiche, eppure poetiche, che andrebbero declinate in me-
trica, come dico ai miei studenti.
Difatti dal principio della sovranità popolare discendono limiti di carattere forma-
le, dati dalla tavola dei principi, dallinsieme delle procedure, degli sta ndard degli atti,
dei principi ordinamentali che sono la precondizione stessa della democrazia, e limiti
sostanziali, dati dalla tavola di valori e principi fondamentali cui non solo lo stesso le-
gislatore ordinario deve attenersi (limite negativo) e ai quali deve dare attuazione (limi-
te positivo), ma anche il legislatore costituzionale, in quanto si tratta di norme e princi-
pi immodificabili (se non, forse, per la loro estensione) con procedimenti legali, pena il
venir meno della continuità dellordinamento costituzionale.
Se da un lato si definisce una delle forme di democrazia acquisite dalla Costitu-
zione, quella rappresentativa, che è da coniugare con quella pluralista (di cui allart. 2 e
3, I e II comma) e con la tutela dei diritti di libertà in quanto o la democrazia è tutto
questo insieme o prende altre denominazioni, e non la si può ridurre a mero rito eletti-
vo cui, ad esempio, si ricorreva persino in Iraq durante la dittatura si afferma, per altri
versi indiscutibilmente, come sia connaturato allassetto democratico il rispetto delle
procedure e come sia incompatibile con la democrazia costituzionale qualsiasi forma di
plebiscitarismo o di cesarismo e come piuttosto tali istanze populiste costituiscano
spesso lanticamera di un regime autoritario e del passaggio dallo status di cittadini a
quello di sudditi.
Né trova alcun fondamento lidea che la politica possa tutto, per cui basta vincere
le elezioni per detenere un potere svincolato da limiti.
Oltretutto una maggioranza legale e legittima (e tuttavia non sempre numerica in
ragione dei meccanismi elettorali) viene esaltata dal principio maggioritario e dalla sua
interpretazione.
È allora più indispensabile che mai il pluralismo politico di cui è permeata la Co-
stituzione repubblicana e che trova il suo fondamento nellart. 2, poiché il pluralismo
dà voce a soggetti ed istituzioni che non lavrebbero in forza del principio maggiorita-
rio, determinando autonomia politica e policentrismo democratico.
È soprattutto il principio lavorista, cioè il fondamento dello Stato sul lavoro, non
solo come diritto sociale ma come strumento di partecipazione politica (e quindi di par-

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