L’effettività del diritto di difesa nei confronti dello straniero irreperibile, contumace, o espulso nella cedu e nella giurisprudenza delle corti superiori

AutoreGiuseppe Pavich

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1. Premessa

Con il presente scritto ci interroghiamo sull’esigenza di verificare l’effettività delle garanzie processuali che devono essere assicurate allo straniero sottoposto a processo penale in Italia, con particolare riferimento al recupero delle dichiarazioni dei cittadini extracomunitari divenuti irreperibili (art. 512 c.p.p. in rapporto all’art. 526, comma 1, bis c.p.p. ed all’art. 6 CEDU), al processo svolto nella contumacia dell’imputato irreperibile - e alla connessa facoltà di restituzione in termini ex art. 175 c. 2 c.p.p. - ed al diritto dell’imputato già espulso a partecipare al processo (diritto di difesa ex art. 17 D.L.vo 286/98).

Occorre muovere dall’art. 6 CEDU, che stabilisce fra l’altro che ogni accusato ha diritto a essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; nonché a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa, a difendersi da sé o avere l’assistenza di un difensore di propria scelta, a interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.1

Sappiamo bene che l’ordinamento penale italiano fa onere all’imputato di partecipare al processo, consentendogli - se lo vuole - di non partecipare e di essere quindi giudicato in contumacia. Ed è noto che la dichiarazione di contumacia presuppone che, alle condizioni di legge, l’imputato venga avvisato dell’accusa che gli si muove prima che si apra il giudizio a suo carico. Si deve a tal fine presumere che egli abbia avuto conoscenza del procedimento nei suoi confronti e che non vi siano impedimenti legittimi alla sua comparizione in giudizio. Se egli, a fronte di ciò, sceglie di non partecipare, viene dichiarato contumace.

Viene dichiarato tale anche l’imputato irreperibile, ossia colui il quale non viene trovato, e quindi raggiunto dagli avvisi relativi all’accusa e al processo, in esito alle ricerche previste dal subprocedimento di cui all’art. 159 c.p.p.; in questo caso le notifiche destinate all’imputato vengono eseguite presso il suo difensore; la mancata comparizione al giudizio, a fronte della notifica del decreto che lo dispone secondo dette forme, determina una presunzione di conoscenza del procedimento, e quindi le condizioni per la declaratoria di contumacia.

Viene altresì dichiarato tale l’imputato latitante, essendo la latitanza una forma di irreperibilità qualificata dall’essersi il soggetto volontariamente sottratto a un provvedimento coercitivo2; la dichiarazione di latitanza dell’imputato o indagato consegue alle vane ricerche di P.G. nei suoi confronti, quando queste siano ritenute esaurienti dal giudice e questi ritenga, previo apprezzamento in fatto, che l’allontanamento del soggetto sia animato dalla volontà di sottrarsi al provvedimento coercitivo. Anche in quel caso le notifiche a lui destinate sono eseguite presso il difensore, a norma dell’art. 165 c.p.p.; e anche in questo caso la mancata comparizione al giudizio, a fronte della notifica del decreto che lo dispone secondo dette forme, determina una presunzione di conoscenza del procedimento, e quindi le condizioni per la declaratoria di contumacia.

In tutti questi casi, la tutela del contumace nel nostro ordinamento è considerata come soddisfatta dalla presenza del difensore, di fiducia o d’ufficio.

Va aggiunto a questo quadro preliminare che l’ordinamento italiano è l’unico a considerare irrevocabile ed esecutiva la sentenza di condanna in contumacia, senza assicurare all’imputato la celebrazione di un nuovo giudizio in cui egli possa essere ascoltato, fatta salva - come si vedrà - la possibilità della restituzione in termini.

Orbene, tali previsioni hanno determinato una serie di condanne nei confronti dello Stato italiano da parte della Corte europea di Strasburgo, poiché il nostro sistema in materia di contumacia è accusato di violare l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Come si vedrà nei capitoli che seguono, le implicazioni delle censure al nostro sistema vanno ben al di là degli specifici aspetti interessati dalle condanne della Corte europea, ed anche al di là delle specifiche questioni riguardanti il soggetto di nazionalità straniera - specie se clandestino - e investono la nozione stessa di contumacia per come accolta dal nostro ordinamento, ponendo al legislatore italiano l’esigenza di riflettere in ordine alla compatibilità del nostro sistema con i principi della CEDU.

2. Lo straniero contumace, irreperibile o latitante

Si è fatto cenno alla nozione di contumacia, anche con riferimento alla irreperibilità e alla latitanza.

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Sebbene la dichiarazione di contumacia non sia acquisita dal latitante e dall’irreperibile in quanto tali, tuttavia le formalità di citazione a giudizio del latitante e dell’irreperibile comportano una presunzione di conoscenza dell’accusa e del giudizio che viene soddisfatta con modalità indicate dalla legge, ma che non implicano di per sé la conoscenza effettiva dell’accusa e del giudizio.

È poi anche possibile che il soggetto nei cui confronti si procede indichi, ai fini delle notificazioni, un domicilio (con l’onere di comunicare ogni variazione dello stesso), e però successivamente la domiciliazione si riveli inidonea o impossibile: in tal caso, analogamente a quanto avviene per il soggetto irreperibile (o per il latitante), le notificazioni vengono eseguite presso il difensore (art. 161, comma 4, c.p.p.).

Orbene, è di tutta evidenza che in questi casi, dove opera la presunzione di conoscenza dell’accusa e del giudizio, l’imputato straniero, specie se non in regola ai fini della permanenza sul territorio italiano, si troverà in una condizione spesso poco compatibile con una conoscenza effettiva dell’accusa che gli si muove e del fatto che si procede contro di lui.

È notoriamente frequentissimo il caso degli stranieri clandestini senza fissa dimora, o comunque con dimora precaria: persone che vivono in alloggi di fortuna, oppure ospiti provvisori di connazionali, o che si appoggiano su pensioni o locande (è il caso di molte prostitute e transessuali).

In questi casi, quando cioè si procede nei confronti di queste persone, non essendovi una residenza o un domicilio stabile, spesso non si potrà procedere alle notifiche nelle forme ordinarie, ossia con consegna a mano o a mezzo del servizio postale dell’atto da notificare.

In questi casi, se - com’è probabile - le ricerche nei luoghi indicati dall’art. 159 c.p.p. daranno esito negativo (il che di solito avviene se l’interessato non è ristretto in carcere e non risulta quindi come detenuto attraverso la consueta inquiry agli archivi informatizzati del D.A.P.), egli verrà dichiarato irreperibile, e le notifiche saranno fatte al difensore.

Potrà succedere che essi siano soggetti a ordinanza di custodia cautelare, e che l’impossibilità di eseguire la stessa a seguito delle vane ricerche di cui all’art. 295 c.p.p. venga valutata dal giudice - sperabilmente assieme ad altre condizioni - come sintomatica dell’intento di sottrarsi al provvedimento coercitivo, con conseguente dichiarazione di latitanza; anche in tal caso le notifiche saranno fatte al difensore.

Senza contare i possibili problemi di identificazione della persona, di regola, ma non sempre, superabili attraverso il fotosegnalamento, i rilievi dattiloscopici e i riscontri AFIS.

E che dire del caso, frequentissimo, dello straniero senza fissa dimora che in sede di identificazione ad opera della P.G. elegge domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio, rimettendo così all’autorità non solo la nomina di quest’ultimo, ma anche il luogo di esecuzione delle notificazioni?

In tutti questi casi, il difensore (di fiducia o, molto più spesso, d’ufficio) diventa il centro d’imputazione della conoscenza dell’accusa e del processo. Ma, molto spesso, il difensore non ha nessun modo di mettersi in contatto con il suo assistito, che nemmeno la polizia giudiziaria riesce a trovare.

Ecco allora che la presunzione di conoscenza dell’accusa e del processo da parte dello straniero clandestino mostra tutti i suoi limiti.

3. Il problema della restituzione in termini

Accade spesso che lo straniero condannato in contumacia, a causa delle disposizioni che si sono ricordate, venga a sapere della definizione del giudizio, dello spirare dei termini per impugnare e quindi del passaggio in giudicato della condanna: o perché è rientrato nel nostro Paese dopo essersene allontanato o esserne stato espulso, o perché nel tempo ha regolarizzato la sua posizione, o perché le ricerche non erano state ben eseguite, o ancora perché durante il giudizio è stato sottoposto a misura cautelare per altra causa ignota all’organo procedente e anche al suo difensore.

È proprio su queste ipotesi che sono intervenute le principali decisioni della Corte europea di Giustizia, cheribadendo i principi di cui all’art. 6 della CEDU - ha sottolineato l’inadeguatezza del nostro sistema della contumacia alla possibilità, per l’imputato, di esercitare pienamente la sua difesa.

In particolare con le successive decisioni adottate nel caso Sejdovic (sentenze della Prima sezione in data 10 novembre 2004 e della Grande Camera in data 1 marzo 2006 - ricorso n. 56581/00), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva deliberato la violazione dell’art. 6 della Convenzione, rilevando nell’allora vigente formulazione dell’art. 175 c.p.p. la mancanza di un meccanismo effettivo teso ad assicurare il diritto delle persone condannate in absentia a ottenere che una giurisdizione si pronunci di nuovo circa il fondamento dell’accusa allorchè queste persone, non informate in maniera effettiva dei procedimenti a loro carico, non avevano rinunciato in maniera in equivoca al diritto a comparire nel procedimento.3

Durante il periodo intercorrente fra la sentenza della Prima...

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