Un'ipotesi ricostruttiva
Autore | Antonio Perrone |
Pagine | 337-374 |
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CAPITOLO QUARTO
UN’IPOTESI RICOSTRUTTIVA
SOMMARIO: 1. Il quadro disegnato conduce inevitabilmente l’indagine sul piano
della tutela dei diritti. - 2. Il problema della tutela del dir itto del contribuen-
te alla prova dell’”effettiva” imposta evasa in ambito penalistico. L’art. 53
Cost. come criter io di legittimazione dell’illecito fiscale e, al contempo,
come criterio di tutela del diritto alla prova rigorosa del superamento della
sogli di punibilità. - 3. La possibile soluzione alle due problematiche p oste
dall’illecito fiscale. - 4. Una possibile ricostruzione. - 5. La di mensione co-
stituzionale del diritto penale-tributario fra “costituzionalismo forte” e “ne-
ocostituzionalismo giurisprudenziale”. - 6. Il problema della sanzionabilità
penale dell’elusione. Un’ulteriore conferma del ruolo “creativo” della giu-
risprudenza della Suprema Corte.
1. Il quadro disegnato conduce inevitabilmente l’indagine sul
piano della tutela dei diritti
Le riflessioni che abbiamo sviluppato nei primi tre capitoli di
questo scritto ci consentono di delineare un quadro ben preciso che
attiene ai rapporti fra la violazione fiscale e l’illecito tributario e
che attiene altresì ai criteri di accertamento del fatto fiscale in am-
bito penale.
Sembra ormai chiaro che ciò che influenza i parallelismi e le
convergenze dei criteri di accertamento del fatto (nei due riti fisca-
le e penale) non è la norma processuale che regola i rapporti fra i
riti, ma è la norma di definizione della fattispecie. Per quanto infat-
ti si possa sostenere che i due processi (penale e tributario) debba-
no svilupparsi parallelamente – e per quanto ciò possa essere af-
fermato a livello di principio nel quadro normativo – i “condizio-
namenti” fra i due riti (che abbiamo chiamato “convergenze”),
come abbiamo visto soprattutto nel primo capitolo analizzando
sinteticamente lo sviluppo storico del diritto penale tributario, sono
inevitabili quando la struttura della fattispecie illecita ingloba
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l’aspetto del quantum imponibile. La “soglia di punibilità” (come
la si voglia considerare: condizione obiettiva di punibilità o ele-
mento costitutivo dell’illecito), infatti, comporta l’ingerenza del
giudice penale in campi di accertamento propriamente “fiscali”.
Un primo punto fermo, dunque, sembra essere il seguente: se
effettivamente si vuole ammantare di “sostanza” il principio del
“doppio binario” (e non predicarlo nella sola “forma”) – e cioè se
si vuole riconoscere che esso comporta l’effettiva “indipendenza”
dei modelli di accertamento, e non solo l’effetto di evitare la so-
spensione di un giudizio in presenza dell’altro1 – la struttura delle
fattispecie illecite deve rispondere a tale principio.
Ma quando il giudice penale è chiamato a quantificare
l’imposta “evasa”, in quanto tale aspetto diventa imprescindibile
per la pronuncia di condanna o di assoluzione, ciò non appare pra-
ticabile, perché – come pure si è visto – i fatti fiscali sono fatti che
nascono dal “diritto”, sono cioè “normativamente tecnici” e ciò
comporta che essi possono essere accertati solo con “metodologie”
fiscali. Assai spesso, però, le “metodologie” fiscali non consentono
l’accertamento dell’effettivo, ma del “probabile”, quando non addi-
rittura del “verosimile”.
Ecco allora che inevitabilmente si pone il problema se
l’accertamento attuabile in campo fiscale sia anche idoneo in am-
bito penalistico, dove, come si è visto il “probabile” non si dilegua
nel “verosimile”, ma deve tendere al “certo”.
Tutto ciò sembra individuare un chiaro profilo di “inconcilia-
bilità” che si può esplicitare nel modo seguente: quando il giudice
penale deve accertare un fatto fiscale che assume rilevanza penale
oltre una certa “soglia” di imposta evasa, non dovrebbe potersi av-
valere dei criteri (rectius: molti dei criteri) dell’accertamento fisca-
1 Il che peraltro consentirebbe di giustificare come il giudice penale ed il
giudice tributario possano ricostruire il medesimo fatto in modo diverso. In altri
termini, la possibilità di giustificare razionalmente la diversa decisione (del giu-
dice penale e di quello tributario) sul medesimo fatto esiste soltanto se si am-
mette che i due giudici seguono modelli probatori differenti. Se, invece, si è
costretti ad ammettere che in entrambi i giudizi il modello probatorio adottato è
quello tipicamente “fiscale”, viene memo ogni possibilità d i giustificare (ripeto:
a livello teorico e concettuale e senza tenere conto delle ineliminabili diversità
del “giudice-uomo”) la differente soluzione cui può giungere un processo rispet-
to all’altro.
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le, perché la soglia di certezza richiesta al giudice penale è più alta
della soglia di certezza richiesta al giudice tributario. Lo studio
condotto nel capito terzo sui limiti di applicabilità – in ambito pe-
nale – delle presunzioni cd. “affievolite” è un palpabile esempio di
tale “inconciliabilità”.
Domandiamoci allora: l’evidenziato profilo di “inconciliabili-
tà” è irrisolvibile o vi sono rimedi?
Il primo rimedio che mi viene in mente è che il diritto penale
tributario dovrebbe essere limitato soltanto a quelle fattispecie de-
littuose che possono essere accertate, con il dovuto grado di cer-
tezza, dal giudice penale con il suo ricco armamentario epistemico,
e cioè le ipotesi di “frode” fiscale. L’emissione o l’utilizzo di fattu-
re per operazioni inesistenti, l’alterazione o la falsificazione dei
documenti contabili, le interposizioni fraudolente, ecc., mantengo-
no inalterato il “parallelismo” fra i criteri di accertamento del fatto
fiscale e di quello penale, perché il giudice penale, in tutti questi
casi non ha l’obbligo di ricostruire un imponibile “probabile” o
“parametrato”, ma deve accertare gli elementi peculiari della “fro-
de fiscale” e le ipotesi di “frode” (seppur diversa) rientrano piena-
mente nel campo di cognizione di questo giudice e sono compati-
bili con l’arsenale epistemico di cui dispone.
Ritorniamo, però, così all’interrogativo che ci eravamo posti
nel primo capitolo: è possibile pensare ad un diritto penale tributa-
rio confinato alle fattispecie “fraudolente”? O, altrimenti detto, è
possibile rinunciare all’arma della pena, e ripiegare sulla sola san-
zione amministrativa, per tutte le ipotesi in cui, pur in assenza di
frode, vi sia evasione d’imposta (anche quantitativamente signifi-
cativa)?
Non penso. Anche una visione estremamente “soft” dell’ob-
bligo fiscale non può giungere a tanto. L’arma della pena è stru-
mento troppo prezioso per rinunciarvi totalmente nella lotta
all’evasione.
E, allora, come risolvere quel profilo di inconciliabilità sopra
evidenziato?
Abbiamo visto come lo ha risolto la Corte di Cassazione.
Primo aspetto: il giudice penale, al pari del giudice fiscale,
quando deve ricostruire l’imposta (e quindi l’imponibile), e tale
ricostruzione si presenta difficoltosa per l’esistenza di un quadro
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