Investigazioni difensive, giudizio abbreviato e motivazione della sentenza penale

AutoreLeonardo Suraci
Pagine123-126

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Con la L. 7 dicembre 2000, n. 397 il codice di procedura penale ha vissuto la tappa fondamentale del percorso di attuazione di un modello processuale accusatorio, un modello che «non può non accogliere nella sua struttura - ossia nell'astrattezza delle norme che lo compongono - e nella fisiologia del suo funzionamento - ossia nell'effettività degli istituti che le norme stesse compendiano - un ampio potere investigativo delle parti diverse dal pubblico ministero» (L. SURACI, Prova dichiarativa e investigazioni difensive, Reggio Calabria 2004, p. 24).

Un sistema processuale in cui il pubblico ministero è protagonista assoluto della scena investigativa, una strana «parte imparziale» titolare esclusiva della facoltà di svolgere «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» è un sistema decisamente amorfo.

Un sistema che la Suprema Corte aveva contribuito a creare attraverso la deformazione del dovere di pluridirezionalità investigativa sancito dall'art. 358 c.p.p.: «il P.M.» - si legge nella massima della sentenza 18 agosto 1992 - «è deputato al ruolo di titolare esclusivo delle indagini preliminari per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, comprese le indagini su fatti e circostanze a favore della persona indagata (art. 358 c.p.p.). In detta fase il P.M. non è parte, non essendo ancora insorto alcun conflitto tra l'ordinamento ed un determinato soggetto privato, bensì l'unico organo preposto, nell'interesse generale, alla raccolta ed al vaglio dei dati positivi e negativi afferenti a fatti di possibile rilevanza penale».

Un approdo che trascurava di considerare la funzione autentica che l'art. 358 c.p.p. assolve in un modello ispirato al principio di separazione delle fasi: esso contiene una specificazione dell'art. 326 c.p.p., e dunque la sua osservanza è esclusivamente connessa alla correttezza e compiutezza delle determinazioni del pubblico ministero inerenti all'esercizio dell'azione penale, senza nulla implicare sul diverso piano dei poteri investigativi delle parti private del procedimento penale.

Così delimitata la funzione della norma avrebbe acquisito un minimo di coerenza la precisazione, contenuta in un amassima del 21 maggio 1997, secondo cui «la disposizione di cui all'art. 358 c.p.p., secondo la quale il P.M. "svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini", non si traduce in un obbligo processualmente sanzionato e non toglie il carattere eminentemente discrezionale alle scelte investigative».

Contaminata da un improbabile profilo garantistico, la norma si traduceva invece in un insostenibile impedimento rispetto all'esercizio di un'attività essenziale sul piano della completezza informativa e, per ciò, funzionale alla realizzazione dei fini del processo penale: «il giudizio che si fonda su quanto ricercato, reperito ed offerto esclusivamente dal pubblico accusatore è, nonostante l'esplicarsi di una attività di verifica in contraddittorio sul prodotto di tale ricerca unilaterale, pur sempre un giudizio su elementi indotti da una parte, ricercati ed elaborati in funzione della verifica di una ipotesi di lavoro predefinita» (L. SURACI, cit., p. 16).

La disciplina organica di effettive facoltà investigative riveste una portata che va ben oltre la garanzia del regolare funzionamento del modello processuale accusatorio, segnando una svolta nella direzione del pluralismo probatorio in qualsiasi frangente decisorio del procedimento penale.

In questa veste essa costituisce la premessa funzionale di un giudizio abbreviato configurato quale modalità processuale rimessa interamente alla disponibilità dell'imputato.

Come è noto, la riforma del giudizio abbreviato, attuata con la legge 16 dicembre 1999, n. 479 è stata imposta in primo luogo dall'esigenza - più volte sottolineata dalla Corte costituzionale fino al chiaro monito contenuto nella sent. 23 dicembre 1994, n. 442 - di rimuovere la distonia dell'istituto con i principi costituzionali.

La riforma era altresì necessaria per assicurare la tenuta complessiva del sistema: occorreva infatti ristrutturare un istituto che, almeno nelle aspettative del legislatore della codificazione accusatoria, avrebbe dovuto captare gran parte delle imputazioni pervenute alla trattazione processuale.

L'acquisita consapevolezza che «difficilmente dalle...

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