Introduzione

AutoreAntonio Uricchio
Pagine7-22
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INTRODUZIONE
Da quando sono stati introdotti i parametri di convergenza co-
munitari e successivamente i patti di stabilità (europeo e interno), il
debito pubblico lordo del nostro Paese, lungi dal rientrare nei limiti
posti (il rapporto tra il debito pubblico lordo e il PIL non dovrebbe
superare il 60% alla fine dell’ultimo esercizio di bilancio concluso),
è continuamente cresciuto.
Secondo il rapporto della Bank of America dedicato
all’economia italiana, il debito pubblico italiano è aumentato del
2,3 per cento nel 2003, del 2,9 per cento nel 2004, del 3 per cento
nel 2005 e nel 2006 e poi del 2,5 per cento fino al 2011. Nonostante
politiche di pesanti tagli alle spese pubbliche e di inasprimento della
pressione fiscale, a fine 2011 il debito pubblico ha toccato il tetto di
quasi 2.000 miliardi di euro, pari al 122% del Pil realizzato nel 2010
(contro i 1.707,410 di febbraio 2011; dati tratti dal supplemento al
Bollettino statistico della Banca d’Italia, sull’andamento della fi-
nanza pubblica). Dalla fine degli ‘90 (quando aveva toccato i due
milioni di miliardi di lire) ad oggi il debito pubblico si è raddoppia-
to.
Come è possibile che il debito cresca, se si riduce la spesa per
servizi sociali, se si tagliano gli investimenti nella cultura e per
l’Università, se aumenta in modo insopportabile la pressione fiscale
(che ha toccato la vetta del 45 %)? Sembra un mistero ma lo è fino
ad un certo punto. Da un lato, la spesa per interessi è in costante
crescita per effetto dell’elevato livello dei tassi e della sfiducia de-
gli investitori internazionali nei confronti dell’affidabilità del debi-
to sovrano (come dimostra il declassamento da parte delle agenzie
di rating o lo spread btp italiani e bund tedeschi salito pesantemente
negli ultimi dieci anni sino a superare la soglia dei 500 punti);
dall’altro, il livello delle entrate, nonostante la stretta fiscale (intro-
duzione di nuovi tributi e allargamento delle basi imponibili), non è
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aumentato anche per effetto della scarsa crescita (meno di un punto
di PIL) e del calo dei consumi, oltre che per il perdurare di una lar-
ga evasione fiscale1.
A tutto ciò va aggiunto che i conti pubblici risentono ancora di
sprechi e di comportamenti illeciti i quali non solo non sono dimi-
nuiti (nonostante “mani pulite” e le ricorrenti indagini giudiziarie)
ma si espandono in modo incontrollabile (secondo le stime il peso
della corruzione sul bilancio dello stato ammonterebbe a circa 70
miliardi di euro). Secondo l’ultima relazione sull’andamento della
finanza pubblica della Corte dei Conti, oltre al settore delle infra-
strutture pubbliche e delle grandi società a partecipazione pubblica,
“è l’ampio segmento della finanza decentrata – con particolare rife-
rimento ai suoi attori principali (Regioni, Province e Comuni) – che
è andata assumendo una sempre maggiore rilevanza, sia per la sua
vasta dimensione nei diversificati ruoli che svolge, sia per i notevo-
1 Secondo le stime dell’agenzia delle entrate riferite all’anno 2011, l’eva-
sione fiscale ammonterebbe a 120 miliardi di euro, pari al 17% del prodotto interno
lordo. Le aree ove maggiormente si annida l’evasione sono 5: l’economia sommersa,
l’economia criminale, l’evasione delle società di capitali, l’evasione delle big com-
pany e quella dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese.
La prima (economia sommersa e lavoro nero) ha un’evasione d’imposta pari
a 34,3 MLD di euro. La seconda è l’economia criminale realizzata dalle grandi
organizzazioni mafiose italiane e straniere. Si stima un’evasione d’imposta pari a
oltre 50 MLD di euro l’anno. La terza area è quella composta dalle società di ca-
pitali con un’evasione fiscale attorno ai 22,4 MLD di euro l’anno. La quarta
area è quella composta dalle big company (una su tre ha chiuso il bilancio in
perdita mentre il 94% abusa del “transfer pricing”, sottraendo al fisco italiano
37,8 MLD di euro all’anno). Infine c’è l’evasione dei lavoratori autonomi e delle
piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fattu-
re fiscali che sottrae all’erario circa 8,2 miliardi di euro l’anno.
In testa nel 2011, tra le regioni, dove sono aumentati numericamente gli
evasori fiscali, risulta la Lombardia, con +15,3%. Secondo e terzo posto spettano
rispettivamente al Veneto con + 14,9% e la Valle d’Aosta con +13,6%. A seguire
la Liguria con +13,5%, il Piemonte con 13,4%, il Trentino con 13,1%, il Lazio
con +12,9%, l’Emilia Romagna con +12,8%, la Toscana con +12,6%, le Marche
con +11,3%, la Puglia con +10,6%, alla Campania +8,0 %, la Sicilia con +7,6%
e l’Umbria con +7,1%. La Lombardia, anche in valore assoluto, ha fatto registra-
re il maggior aumento dell’evasione fiscale. In percentuale, il dato lombardo au-
menta, nel 2011, di circa il 15,9%.

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