Brevi riflessioni intorno alla giurisprudenza del tribunale ecclesiastico regionale pugliese sull'esclusione del bonum coniugum

AutorePaolo Stefanì
Pagine143-155

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@1. Introduzione

Uno dei nodi più problematici ed allo stesso tempo ancora irrisolti della disciplina delle nullità matrimoniali canoniche è quello che concerne la simulazione parziale relativa al bene dei coniugi (bonum coniugum), che in base alla norma di cui al can. 1055 del codice di diritto canonico del 1983 è riconosciuto quale fine del matrimonio canonico, in aggiunta al bonum prolis, che rappresentava, nel vigore del precedente codice del 1917, il "fine primario" del matrimonio della Chiesa1.

Il senso di queste brevi riflessioni sta nel fatto che, l'assenza sull'argomento di una esauriente giurisprudenza rotale - che non è riuscita ancora a pervenire ad una chiara enucleazione di un concetto giuridico di simulazione relativa al bonum coniugum, distinto da altre figure di simula- zione parziale e dalla stessa simulazione totale - 2, ha reso protagonista la giurisprudenza dei Tribunali regionali, che Page 144 assumono, in questo ambito specifico, il ruolo di giurisprudenza "pilota"3. La Rota romana ha evidenziato la preoccupazione di accostare il bonum coniugum all'amore coniugale. Ciò perché questa operazione avrebbe potuto comportare il pericolo di soggettivizzare le decisioni di nullità, finendo per "erodere il principio di indissolubilità del matrimonio"4

@2. Il bonum coniugum e il Codice del post-concilio

La difficoltà principale che, sia la dottrina sia la giurisprudenza, incontrano nella costruzione di un "concetto giuridico" di bonum coniugum va sicuramente individuata nello stretto legame che esiste tra questo e l'ecclesiologia conciliare5. Ê stato sottolineato che, l'inserimento del bene dei coniugi nel can. 1055 del "codice del postconcilio6, è stato teso all'affermazione di una nuova visione del matrimonio, meno dommatico-giuridica e più pastorale7. Il codice del 1983, cioè, "ha voluto rompere con la forse sbrigativa, ma prevalente lettura della previgente disciplina matrimoniale da parte della dottrina contemporanea, che rimproverava al discorso giuridico di aver messo da parte l'idea che il matrimonio è un incontro di persone prima che uno scambio di diritti, di essersi interessata più della validità che dell'autenticità"8. Page 145

Si coglie in queste parole la svolta epocale determinata dal Concilio Vaticano II, non soltanto in relazione alla disciplina matrimoniale, ma, in senso più ampio, come momento di antitesi al fenomeno del giuridismo9.

Ciò spiega la reticenza della Rota romana nei confronti del rapporto tra simulazione e bonum coniugum. Un concetto che presenta degli aspetti metagiuridici talmente rilevanti che riesce difficile "separarlo" dal matrimonio, inteso quale comunità di vita e di amore, attraverso la quale i coniugi "avanzano incessantemente verso la loro perfezione come anche la mutua santificazione"(GAUDIUM ET SPES, n. 48)10.

@3. Bonum coniugum e dottrina canonistica

Da queste brevi premesse un dato emerge con evidenza: la qualificazione giuridico formale del bonum coniugum è quella di essere fine del "nuovo diritto matrimoniale canonico"11. Da ciò consegue che, nell'accostarsi alla celebrazione delle nozze, Page 146 i coniugi devono ordinare il proprio consenso matrimoniale al "bene delle persone". La deordinazione a tale bene costituisce, quindi, ipotesi di simulazione parziale del consenso prestato, che, in base al disposto di cui al can. 1101 par. 2 del codice rende nullo il matrimonio.

Ê, dunque, l'ordinatio ad bonum coniugum12 che deve essere presente nella volontà dei nubenti nel momento in cui questi si accostano alla celebrazione delle nozze, nel momento, cioè, del matrimonio in fieri.

Ma, la particolarità del bonum coniugum sta nel fatto che questo è fine delle persone e non del matrimonio13, che esso si realizza in maniera più specifica rispetto al bonum prolis nel matrimonio-rapporto (in facto esse). Esso va considerato come finis operantis più che come finis operis14, Page 147 per questo motivo la sua esclusione difficilmente la si potrà rinvenire in un atto positivo di volontà esplicito ed informato, antecedente al matrimonio. Piuttosto, si dovrà volgere l'attenzione al contenuto stesso della "vita matrimoniale"15per percepire, dai concreti comportamenti dei coniugi, se questi abbiano o meno escluso il bonum coniugum, dal consenso prestato. Ê importante sottolineare, però, che "non sono puramente e semplicemente i singoli comportamenti esclusi a rendere valido o meno il matrimonio - ma - il fatto che tali comportamenti siano stati negati al nubente in funzione del bonum coniugum, cioè del suo benessere e perfezionamento"16.

Non è dunque la qualificazione formale il problema, ma la sua concettualizzazione sostanziale. Ed in particolare, emerge la difficoltà di affermare la distinzione tra bonum coniugum e matrimonio, inteso in senso globale17.

Per esigenze della presente trattazione possiamo soltanto passare rapidamente in rassegna quelle che sono state le diverse posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza in tema di esclusione del bonum coniugum. Queste lo hanno inizialmente considerato quale sinonimo dello ius ad vitae communionem o del consortium totius vitae18, ma, sul presupposto che in questi termini non lo si potesse distinguere dal matrimonium ipsum, altri hanno cercato soluzioni che potessero garantire al nuovo fine personalista l'autonomia dai due concetti su menzionati. Ci si è rivolti a considerare Page 148 questo bene quale sinonimo dell'amore coniugale, distinguendo l'amore-sentimento, che non può assumere una configurazione giuridica perché sottratto all'impero della volontà, dall'amore inteso come impegno nella costituzione della comunione di vita19. Ma anche questa soluzione è apparsa insoddisfacente, perché si è detto che l'amore è elemento portante anche del bonum prolis, quindi non vi può essere identificazione tra amore coniugale e bene dei coniugi20.

Vi è stato chi ha considerato il bonum coniugum come la trasposizione, nella nuova codificazione canonica, dei due fini secondari del matrimonio contratto, così come disciplinato nel vigore del codice del 1917. Questi verrebbero riletti alla luce della nuova dottrina personalista, significanti la scomparsa della "vecchia" gradazione dei fini matrimoniali21. Una soluzione che, se da un punto di vista formale appare certamente condivisibile, avrebbe il difetto di opera- re una sorta di deminutio del senso più propriamente fisiologico del bene personale. Questo ci sembra essere di più rispetto al mutuo aiuto ed alla soddisfazione dell'istinto sessuale, è simbolo dell'impegno che i due coniugi hanno il dovere di profondere per fare della famiglia un'autentica "Chiesa domestica", luogo di maturazione e di crescita umana ma, soprattutto, cristiana.

Si è così guardato all'esclusione del bonum coniugum in riferimento agli elementi essenziali di cui al can. 1101 par. 2, considerati unitariamente. Che quindi l'esclusione del bonum coniugum si avrebbe quando questi siano esclusi tutti ed in modo indistinto. Ma in questo caso non si considera Page 149 che in quegli elementi è ricompreso anche il bonum coniugum, rendendo questa una pura soluzione tautologica; ed inoltre, che in ogni caso una simile ricostruzione non distaccherebbe il bonum coniugum dalla simulazione totale22.

Da ultimo, autorevole dottrina23 ha evidenziato la necessità di distinguere una concezione più ampia del bonum coniugum, da un'accezione più strettamente dommaticogiuridica. L'esclusione del bene dei coniugi si verificherebbe nelle seguenti tre ipotesi: quella di chi escluda un impegno anche minimale all'aiuto ed alla collaborazione verso l'altro coniuge ed al bene di questi; quella di chi impedisca all'altro coniuge il godimento di diritti fondamentali, tutelati dall'ordinamento canonico (ad es. il diritto di libertà religiosa o della dignità della persona); infine, quella di chi sposi una persona con il fine di allontanarla dalla fede cattolica, dalla morale cattolica, inducendola ad una vita peccaminosa.

Una teoria...

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