Inadempimento dell'intermediario e vizi genetici dei contratti di investimento
Autore | Aurelio Gentili |
Pagine | 23-45 |
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1. C'è un solo modo di dire la verità. Ce ne sono invece molti di non dirla. Ed uno, particolarmente sottile, è non dirla tutta.
Ê quanto mi pare sia successo in materia di intermediazione finanziaria alla giurisprudenza. Che con le ultime pronunce sembra convinta di aver "chiuso il caso", ed invece ha omesso di considerare molti suoi aspetti che la indurrebbero, per altra via, a ricredersi.
Da anni giurisprudenza pratica e teorica si chiedono se la violazione da parte dell'intermediario delle norme imperative delle leggi speciali sui suoi doveri di comportamento, determini anche la nullità dei contratti di investimento. A questa domanda le Sezioni Unite due anni fa hanno dato una globale risposta negativa1.
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Non ci si è chiesti invece con altrettanta attenzione se i contratti di investimento conclusi dal cliente in casi in cui sussistono carenze dell'informazione, dell'appropriatezza, dell'adeguatezza, o conflitti d'interesse, non siano nulli o annullabili in base alle ordinarie regole del codice civile2 per altre ragioni.
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Investire in modo disinformato, inappropriato, inadeguato, conflittuale, potrebbe infatti rendere l'atto invalido. E ciò non per la violazione in sé da parte dell'intermediario delle norme imperative sul suo comportamento, ed in dipendenza invece della mancanza o del vizio di elementi essenziali del contratto occasionati da una scelta negoziale dell'investitore pregiudicata dal comportamento dell'intermediario. Vizi dunque genetici del contratto di investimento, e soprattutto vizi strutturali, e non funzionali come la contrarietà a speciali norme imperative. Vizi che si ipotizza siano occorsi nella formazione del contratto, e che sarebbero capaci, se sussistessero, di travolgerne la validità, aprendo alle conseguenti azioni restitutorie.
Ê ragionevole questa ipotesi?
Ovviamente, nulla esclude che anche un contratto di investimento possa essere nullo per mancanza di volontà o annullabile per incapacità, errore violenza o dolo3. Ma si tratta di sapere se a queste fattispecie astratte si riconducano i casi concreti della disinformazione, dell'inappropriatezza, dell'inadeguatezza, quando siano opponibili all'intermediario perché a lui imputabili.
Anche questi, come tutti i vizi genetici di un contratto, attengono alla sua struttura o alla sua formazione. Una risposta alla domanda del paragrafo precedente passa perciò necessariamente per la ricognizione della struttura del contratto di investimento e del suo modo di formazione. E a questi fini la normativa speciale (dalla quale si vuol invece qui ormai prescindere quanto all'effetto, e cioè quanto alla già discussa questione se la violazione di doveri di comportamento dell'intermediario generi nullità per violazione di norme imperative, considerando su tal punto definitiva la giurisprudenza di legittimità), riprende pieno rilievo quanto alla fattispecie. Essa infatti regola il modo della contrattazione e la struttura contrattuale che ne risulta.
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Li regola però solo indirettamente. La legislazione speciale sull'intermediazione finanziaria è conformata infatti come disciplina di servizi45. Le leggi guardano soprattutto all'attività: i suoi soggetti (intermediari e utenti), i suoi oggetti (prodotti e servizi), le sue modalità (diritti e doveri delle parti). E vi provvedono dettando all'intermediario una pluralità di regole di condotta. Si occupano invece assai meno del regolamento negoziale del singolo rapporto di intermediazione finanziaria.
Indirettamente, però, sulla formazione del contratto di investimento la normativa speciale è alquanto esplicita. Essa infatti, imponendo all'intermediario precise norme di condotta, in concreto viene a disciplinare proprio la formazione del contratto di investimento. E poiché quelle regole di formazione caratterizzano mediatamente i contenuti rispetto ai quali si forma l'accordo, per tal via la normativa viene a disciplinare, più ampiamente che non sembri a prima vista, anche struttura e contenuto del contratto, ossia la sua fattispecie legale.
Diremo dunque anzitutto della formazione. Diremo poi della fattispecie che ne risulta. Da questa ricognizione preliminare risulteranno gli elementi per una risposta al quesito cui il saggio è dedicato.
2. Ê sufficiente una lettura delle disposizioni per constatare che la legislazione sull'intermediazione impone uno specifico apporto dell'impresa di investimento alla formazione del contratto. Un apporto variabile da caso a caso. Ma la necessaria presenza in tutti i casi di almeno un livello minimo di apporto, è resa inequivoca dalle disposizioni sulla trasparenza e correttezza dei servizi6.
Il nuovo art. 21 TUF per la verità reca solo una formula generica. Essa impone all'intermediario di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio" (questa l'innovazione successiva alla c.d. Direttiva mifid) "l'interesse dei Page 27 clienti e per l'integrità dei mercati"7. Il nuovo regolamento intermediari è invece molto dettagliato. Ê però anche molto articolato, sicché non si può fare qui un discorso unitario. L'apporto dell'impresa varia, infatti, secondo la qualità del cliente. Ed è significativo che certe disposizioni sull'apporto ausiliare dell'impresa alla formazione del contratto non concernano anche i rapporti con controparti qualificate8; e che nei confronti dei clienti professionali l'obbligo informativo preventivo si restringa alla sola salvaguardia degli strumenti finanziari e delle somme di denaro9. Diverso è il caso per i clienti al dettaglio. A questi soprattutto perciò si riferiscono le considerazioni che seguono.
Rispetto a questo caso, la normativa impone un triplice apporto dell'impresa di investimento: informativo, propositivo, valutativo.
Il regolamento conferma anzitutto il ruolo informativo dell'intermediario. Le sue regole sottolineano l'obbligo di fornire ai clienti "in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole"10, e di fornire "una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari trattati, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o cliente professionale... [che] illustra le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri di tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente Page 28 di adottare decisioni di investimento informate"11. Si tratta di ruolo inderogabile, cui gli intermediari non possono sottrarsi.
Nel disegno del regolamento il ruolo dell'intermediario non è però solo obbligatoriamente informativo, ma anche sempre specificamente propositivo: vi si parla infatti di "strategie di investimento proposte", di "opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli investimenti"12, di raffronti fra strumenti finanziari13, facendo ragionevolmente ritenere che la singola concreta scelta degli strumenti di investimento, dati gli obiettivi generali del cliente, e ferma la necessità del suo libero consenso, nasca dall'adesione a suggerimenti dell'impresa.
Questo però è solo un livello basilare. Il discorso relativo a un maggiore apporto dell'intermediario va invece graduato14.
Anzitutto, come già accennato, esso dipende dalla tipologia del cliente. Ê maggiore nei confronti dei clienti al dettaglio, e minore nei confronti dei clienti professionali, e più ancora dei clienti che siano controparti qualificate. Ê pur vero che la normativa consente ai clienti maggiormente in grado di conoscere e valutare gli investimenti di chiedere di essere trattati come clienti di minore competenza.
Inoltre esso dipende dal tipo di strumento prescelto, complesso o non complesso, e dal fatto che relativamente a quest'ultimo tipo l'intermediario scelga di sottrarsi alla valutazione di appropriatezza di cui ora si dirà.
Infine e soprattutto dipende dal tipo di contratto stipulato. I contratti relativi a servizi di investimento o a gestione di portafogli, infatti, secondo il regolamento15, possono caso per caso stabilire se, e con quali modalità e contenuti, l'intermediario presti, in connessione con il servizio di investimento, attività di consulenza in materia di investimenti16.
In conseguenza di ciò al ruolo informativo e propositivo, propri sempre dei compiti dell'intermediario, per certi contratti il regolamento aggiunge la possibilità di un ruolo valutativo. Si tratta di un ruolo solo eventuale, che può essere, caso per caso, più o meno intenso. Lo si comprende inequivocamente da due indici.
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Anzitutto dalle disposizioni sulla "appropriatezza" delle operazioni17. Quantunque qui la tecnica normativa usata sia piuttosto scadente, è infatti normalmente compito ulteriore dell'intermediario acquisire informazione sulla capacità del cliente di comprendere i rischi dello strumento, e di avvertire della sua inappropriatezza agli obiettivi di investimento, ovviamente dopo averla valutata. Ma questo ruolo è derogabile relativamente a rapporti di intermediazione concernenti strumenti finanziari non complessi richiesti dal cliente, purché questi sia previamente avvisato che non beneficerà della valutazione di appropriatezza.
E poi dalle disposizioni sulla "adeguatezza" degli strumenti18, conseguenti alla promessa di prestazioni di consulenza. In questo caso è tra i compiti dell'intermediario anche quello, previa informazione sull'esperienza e sugli obiettivi dell'investitore, di "raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente"19, di valutare che "la specifica operazione consigliata ... corrisponda agli obiettivi di investimento...", di accertarsi che il cliente possa sopportare finanziariamente il rischio20.
Avremo dunque, secondo i casi, rapporti...
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