La centralità dell'interesse del minore nelle dinamiche dei rapporti familiari

AutoreRoberta Santoro
Pagine63-88

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@1. Premessa

Dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 si è sviluppata in Italia, grazie anche ai cambiamenti verificatisi nei consessi europei1, una nuova attenzione nei riguardi della condizione minorile, in particolare modo delle sue condizioni di vita, dei suoi bisogni e delle sue esigenze educative.

L'ordinamento giuridico italiano ha incominciato a rico- noscere che il "minore" non poteva essere solo destinatario di norme giuridiche di protezione, ma doveva essere riconosciuto come titolare di diritti e che questi dovevano essere garantiti.

La nostra stessa Costituzione, infatti, riconosce al minore i diritti inviolabili dell'uomo "sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", impegnandosi a rimuovere gli ostacoli che "impediscono il pieno sviluppo della persona umana" (artt. 2 e 3, comma 2, Cost.). I temi della famiglia, Page 64 dei figli e della loro educazione trovano posizione nell'intero titolo II della Carta Costituzionale. L'ordinamento riconosce il singolo minore, sia come individuo che nella società in cui opera, e si impegna a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità.

In tale prospettiva, ciò che la Costituzione evidenzia non è un principio generico di tutela di un soggetto in posizione d'inferiorità, ma la condizione del minore in quanto persona, tutelandone i diritti della personalità2. Tra i diritti della persona, così come sono riconosciuti negli atti costitutivi delle Convenzioni e negli atti internazionali3, assume particolare rilevanza il diritto all'educazione.

Com'è stato opportunamente osservato, il diritto all'educazione è sinonimo di diritto "alla maturazione di una personalità autonoma capace di determinarsi liberamente nella vita"4.

In realtà, il minore non è pienamente capace di poter percepire concretamente quali sono i suoi diritti, e di poterne pretendere la loro attuazione. Anche per questa circostanza appare necessario che l'ordinamento li garantisca e li promuova.

Il primo organismo che dovrebbe adempiere a tale funzione è il nucleo familiare. La realtà odierna ci propone però casi in cui i genitori non sono in grado di valorizzare il minore Page 65 come titolare di autonomi diritti, ma essa stessa ha bisogno di essere supportata a ricoprire tale funzione5. Esempi tipici sono rappresentati dalle crisi familiari che mettono a rischio la crescita equilibrata dei soggetti indifesi.

In tali casi d'insufficienza, vi è l'obbligo d'intervenire sia in sede giudiziaria, sia in sede amministrativa; luoghi in cui l'interesse del minore deve trovare piena tutela ed attuazione risolvendo le problematiche con soluzioni adeguate ed improntate, principalmente, all'interesse del minore6.

La decisione di interessarmi alla tematica qui discussa, nasce dalla considerazione che si tratta di una vera e propria emergenza sociale ed è palese un'urgenza di iniziative per poter comprendere meglio la natura del fenomeno e per poter cercare di delineare una linea culturale e politica di comportamento da parte di tutta la società, dalle autorità di governo fino ai comuni cittadini.

@2. La maturità del minore tra soggettività e capacità

La posizione del minore nell'ordinamento è caratterizzata da uno stretto collegamento tra l'età e la corrispondente capacità. In tal senso, incide in modo rilevante il rapporto tra genitori e figli, nella prospettiva dell'art. 30, com. 1, della Cost. il quale stabilisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli7. Page 66

Dottrina e giurisprudenza sono sempre più attente e sensibili a considerare il minore un soggetto di diritto, titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi ed azionabili, membro a tutti gli effetti della comunità sociale, colto nel suo progressivo inserimento in essa. Ciò determina un processo di rivalutazione del minore nella sua qualità di persona.

Su tali presupposti, si delinea un quadro generale di protezione dell'infanzia e della condizione minorile che assume dimensioni ampie e complesse estendendosi al di là del rapporto genitori e figli, coinvolgendo ogni settore della società, in cui opera il minore, dalla scuola al lavoro, dall'assistenza alla giustizia8.

Il minore è posto al centro di un procedimento acquisitivo di capacità e posizioni proprie di ogni cittadino (dallo svolgimento di un'attività lavorativa alla formazione culturale, dall'avviamento ad un'iniziativa economica alla difesa dei propri interessi in giudizio) attraverso un'ampia ed effettiva libertà delle scelte esistenziali, nella prospettiva indicata dagli artt. 19 (libertà religiosa), 21 (libertà di pensiero), 49 (libertà di formazione delle proprie opinioni politiche).

Il nostro ordinamento consente al minore, in vari settori del diritto, la piena capacità di autodeterminarsi in varie situazioni della sua vita.

Ê necessario pertanto che la tutela della personalità del minore venga sempre assicurata e siano riconosciuti alcuni spazi di libertà nel suo difficile itinerario di crescita9. Page 67

L'ordinamento giuridico italiano ha sempre distinto l'idoneità ad essere soggetto di diritto, riconoscendo a tutte le persone la soggettività giuridica come attributo inseparabile della personalità umana, dall'attitudine ad esercitare i diritti soggettivi, assumendo con la capacità di agire i doveri giuridici conseguenti10.

Al minore, ad esempio, è consentito di esercitare autonomamente i diritti e le azioni relative al rapporto di lavoro e di partecipare alla stipulazione del contratto di lavoro11; inoltre, il minore, purché sedicenne, può eccezionalmente contrarre matrimonio dietro autorizzazione del tribunale. In tali fattispecie, la possibilità di compiere l'atto si collega ad un'età diver- sa dalla maggiore età ed il minore potrà essere considerato ca- pace, benché non maggiorenne12; sicché, all'interno di questa logica, si deve ritenere che «molto prima dei diciotto anni il figlio abbia diritto di scegliere la sua vita religiosa»13. Page 68

Nell'ambito dei rapporti familiari, il diritto di famiglia offre molti spunti normativi, segnali incontrovertibili del riconoscimento dell'autonomia del minore in varie età. Si veda, ad esempio, l'art. 145 c.c., che in caso di disaccordo dei coniugi circa il governo della famiglia stabilisce che il giudice adito da uno dei coniugi, nel tentare una soluzione concordata, senta le opinioni dei figli, purché abbiano compiuto il sedicesimo anno di età; l'art. 316 c.c., per cui il giudice, intervenendo nel conflitto tra i genitori circa l'esercizio della potestà, deve sentire il figlio se maggiore di anni quattordici; l'art. 250 c.c., che richiede il consenso del figlio sedicenne per il riconoscimento del figlio naturale14; e non meno significative sono le disposizioni degli artt. 145, 252, 284 e 230-bis c.c. in cui viene espressamente riconosciuto l'apporto che dal minore, in età di quattordici o sedici anni a seconda delle previsioni, può venire in determinati momenti che possono riguardare sia la comunità familiare sia le sorti e gli interessi del minore stesso, facendo così «corrispondere alle diverse età del minore (14 e 16 anni) il progressivo conseguimento di una autonomia (anche) decisionale»15.

In questa prospettiva, si colloca la previsione dell'art. 1 della l. del 18 giugno 1986, n. 281, che attribuisce ai minori, che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età, il diritto di scegliere, in quanto studenti della scuola secondaria superiore, se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica o comunque dell'insegnamento religioso in relazione a quanto previsto da eventuali intese con altre confessioni16. Page 69

Sulla base delle norme menzionate, può desumersi che l'ordinamento in via di presunzione ritenga acquisita nel minore, a quattordici o sedici anni, una capacità di giudizio auto- noma ed una propria autodeterminazione17.

Sembra si possa dire che l'elemento discriminante circa la capacità dell'effettivo esercizio dei propri diritti è costituito comunque dal grado di maturità acquisito dal minore nello sviluppo della propria personalità piuttosto che un'età astrattamente definita18.

Infatti, il legislatore fa sempre più ricorso al principio della capacità di discernimento del minore al fine di valutare se l'opzione espressa da questi sia meritevole di accoglimento, in quanto basata su un grado di maturità psico-fisica che permette al minore di operare liberamente una scelta religiosa, che sia veramente rispondente alle reali esigenze di sviluppo della sua personalità19. Page 70

@3. I diritti di libertà del minore nell'ordinamento giuridico: l'ambito internazionale; l'ambito c.d. locale

La comunità internazionale è stata sempre sensibile nell'evidenziare che il minore, soggetto in formazione, ha dei diritti che gli ordinamenti interni non solo devono riconoscere, ma anche garantire e promuovere. Ciò non solo attraverso dichiarazioni di principi che cercano di evidenziare quei fondamentali diritti umani riconosciuti all'uomo e al cittadino, ma anche attraverso la stipulazione di veri e propri accordi inter- nazionali, di Patti o Convenzioni tra Stati con lo scopo di far sì che i singoli ordinamenti garantiscano al minore, in vari settori, un'adeguata protezione e tutela20.

Per la verità, un primo tentativo di creare uno statuto dei diritti del minore si è avuto quando la Società delle Nazioni approvò nel 1924 una Dichiarazione dei diritti del fanciullo che, per la prima volta, enunciava, sia pure in via generale e di principio, alcuni fondamentali diritti la cui attuazione era condizione per un adeguato sviluppo umano del minore ed, allo stesso tempo, impegnava le comunità nazionali a provvedervi21. Page 71

Successivamente, si accentuò il bisogno di dare una organica, puntuale elencazione dei diritti del minore. Il 20 novembre 1959 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite elaborò la nuova Dichiarazione dei diritti del fanciullo22.

Certamente, tali...

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