Le Intercettazioni E I Controlli Preventivi Sulle Comunicazioni Nel Contrasto Al Terrorismo Internazionale Tra Irrisolte Criticità Ed Esigenze Di Riforma

AutoreElena Andolina
Pagine569-579
569
dott
Arch. nuova proc. pen. 6/2016
DOTTRINA
LE INTERCETTAZIONI
E I CONTROLLI PREVENTIVI
SULLE COMUNICAZIONI
NEL CONTRASTO
AL TERRORISMO
INTERNAZIONALE
TRA IRRISOLTE CRITICITÀ
ED ESIGENZE DI RIFORMA (*)
di Elena Andolina
SOMMARIO
1. La crescente valorizzazione dell’attività informativa di
prevenzione. 2. Le intercettazioni preventive: un istituto “ibri-
do” costituzionalmente e convenzionalmente censurabile?. 3.
L’adeguamento progressivo dell’àmbito di operatività dell’i-
stituto alle emergenze criminali. 4. Carente adeguatezza dei
limiti oggettivi all’intervento preventivo e sindacato apparen-
te dell’autorità giudiziaria. 5. Coordinamento delle indagini
e potere autorizzatorio delle intercettazioni preventive in
materia di terrorismo. 6. Le criticità inerenti alle modalità
di esecuzione delle attività preventive. 7. L’inedita conserva-
zione dei dati esteriori del traff‌ico telefonico e telematico
raccolti per f‌inalità preventive. 8. L’asserita utilizzabilità in
chiave esclusivamente extraprocessuale degli esiti delle atti-
vità preventive.
1. La crescente valorizzazione dell’attività informativa
di prevenzione
È noto come all’eccezionale emergenza, correlata alle
sf‌ide del terrorismo internazionale di matrice islamica, sia
corrisposta la tendenza delle politiche criminali contem-
poranee a privilegiare, vieppiù, la dimensione preventiva
del diritto penale e, conseguentemente, il ricorso in via
pressoché sistematica ad eccezionali tecniche investigati-
ve, afferenti all’area pre-procedimentale, al f‌ine precipuo
di neutralizzare il pericolo di futuri eventi lesivi.
Lungo questa linea evolutiva si muove anche il nostro
sistema processuale; ne è conferma il recente, ed enne-
simo, intervento normativo di tipo emergenziale operato
con il D.L. del 18 febbraio 2015 n. 7, convertito dalla legge
17 aprile 2015 n. 43. Segno tangibile dell’accentuata voca-
zione preventiva di detto intervento è, unitamente al pri-
mato della dimensione securitaria, comune denominatore
di tutta la legislazione stratif‌icatasi in materia di terrori-
smo internazionale dagli inizi del XXI secolo, l’accentuato
peso dell’azione investigativa delle forze di polizia e, se-
gnatamente, dell’attività di acquisizione informativa (1).
Sullo sfondo, in stretta correlazione alla preminen-
te funzione di difesa sociale via via assunta dal processo
penale (2), si consolida sul terreno del contrasto del feno-
meno terrorismo la singolare, e progressiva, convergenza,
in punto di modalità operative, di organi ed àmbiti isti-
tuzionalmente separati (quali, rispettivamente, servizi
di sicurezza ed autorità requirenti da un canto, e attività
informativa preventivo-amministrativa ed indagini giudi-
ziarie dall’altro canto) (3).
Così l’attività, convenzionalmente denominata con il
termine “intelligence”, di raccolta ed analisi di informa-
zioni utili alla tutela della sicurezza dello Stato, tipica-
mente svolta dai servizi di sicurezza incardinati nell’e-
secutivo, viene sempre più attratta nell’orbita operativa
delle autorità requirenti (pubblico ministero e organi di
polizia). Esemplif‌icativa in tal senso è la sempre maggiore
valorizzazione delle tecnologie di controllo ante-delictum
sulle comunicazioni, corrispondenti all’analoga attività di
acquisizione informativa derivata da segnali tecnologici
(cd. sigint ovvero signal intelligence). Ne sono evidente
espressione sia l’ulteriore ampliamento dello spettro ope-
rativo dell’art. 226 disp. coord. c.p.p., sia l’introduzione di
un’ulteriore ipotesi di conservazione dei dati di traff‌ico
telefonico e telematico – l’inedita data retention f‌inaliz-
zata alla prosecuzione dell’attività di prevenzione di cui
al nuovo comma 3-bis, del richiamato art. 226 disp. coord.
c.p.p. – che si aff‌ianca al congelamento preventivo dei dati
informatici, già previsto dall’art. 132, commi 4-ter, quater
e quinquies, del D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice pri-
vacy).
Del progressivo intersecarsi tra attività investigati-
ve proprie degli organi requirenti ed attività di intelli-
gence dei servizi di sicurezza, estranei agli apparati di
polizia giudiziaria, vi è, ora, parziale riscontro anche in
senso inverso, con riguardo a quell’eff‌icace strumento
euristico-esplorativo, anche di ricerca di notitiae crimi-
nis – funzionale all’acquisizione di informazioni utili per
la prevenzione e repressione della criminalità organizza-
ta (terroristica e maf‌iosa) – costituito dai «colloqui a f‌ini
investigativi» (4), cui era già autorizzato (ex art. 18-bis,
commi 1 e 1-bis, ord. penit.) il personale della Direzio-
ne investigativa antimaf‌ia e quello di polizia giudiziaria.
Nell’ottica di un potenziamento dell’attività informativa
svolta dai servizi di sicurezza, le agenzie di intelligence,
rectius i direttori dei servizi di informazione per la sicu-
rezza (AISE e AISI) di cui all’art. 2, comma 2, della legge
3 agosto 2007, n. 124, sono, oggi, legittimati – sia pure solo
temporaneamente, e, cioé, «f‌ino al 31 dicembre 2016»,
previa richiesta del presidente del Consiglio ed autorizza-
zione del procuratore generale presso la Corte d’ Appello
di Roma – ad avere colloqui personali con detenuti o in-
ternati (5) «al solo f‌ine di acquisire informazioni per la
prevenzione di delitti con f‌inalità terroristica di matrice
internazionale» (comma 2-bis, dell’art. 4 del D.L. n. 144
del 2005, come interpolato dall’art. 6 del D.L. n. 7 del
2015) (6).

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