Divieto di intercettazione dei colloqui del difensore e vuoti di tutela

AutoreFontana Filippo
Pagine320-325

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tardi, appare ragionevole ritenere che l’indagata si sia loro rivolta dopo la perquisizione per investirli dell’incarico di difenderla, e che dunque anche le conversazioni precedenti alla “formalizzazione” del ruolo del difensore ricadano tra quelle “vietate” ai sensi del citato art. 103. La sanzione comminata dall’ordinamento è quella della inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, e sussistono dunque i presupposti per disporre la distruzione della documentazione delle intercettazioni ai sensi del combinato disposto degli artt. 103, comma 5, e 271, comma 3, c.p.p., cioè a dire la cancellazione delle registrazioni, da eseguirsi a cura del P.M. con le modalità descritte in dispositivo.

Quanto ai brogliacci, in via generale e astratta anch’essi hanno funzione di documentazione, trattandosi della trascrizione delle conversazioni effettuata dalla P.G. in corso d’ascolto; tuttavia, la comune prassi giudiziaria insegna che la stessa P.G., nella fase di ascolto, opera una prima selezione delle conversazioni potenzialmente interessanti per le indagini, che trascrive, mentre spesso non procede alla trascrizione, neppure in forma riassuntiva, di conversazioni aventi carattere privato, famigliare, o di contenuto all’evidenza estraneo all’indagine in corso.

Poiché la difesa si è limitata a richiedere in via del tutto generica l’espulsione dal fascicolo dei brogliacci relativi alle telefonate in oggetto, non ha adempiuto all’onere di provare che tali telefonate siano state oggetto effettivo di trascrizione da parte della P.G. e che dunque esista in atti

una forma di documentazione ulteriore rispetto alla registrazione.

Allo stato, pertanto, non può accogliersi la richiesta relativa all’esclusione dei brogliacci per indeterminatezza della richiesta medesima.

Quanto infine alle annotazioni e più in generale ai riferimenti alle intercettazioni in parola eventualmente contenuti in atti, va considerato - al di là degli aspetti di genericità che presenta la richiesta - che non si tratta di forme di documentazione, le uniche per le quali è prevista la distruzione ai sensi dell’art. 271, comma 3, c.p.p.. In altri termini, la legge commina in generale la sanzione dell’inutilizzabilità delle intercettazioni aventi il contenuto sopra indicato, e per ragioni di riservatezza prevede la distruzione della documentazione di tali intercettazioni, salvo che costituisca corpo di reato; non prevede invece l’eliminazione materiale dal fascicolo di ogni riferimento, richiamo o atto valutativo di tali intercettazioni, ferma restandone l’inutilizzabilità a fini processuali. La giurisprudenza della Suprema Corte ha infatti ribadito, in modo sempre conforme, che le intercettazioni in parola non sono da considerarsi illegali ma semplicemente inutilizzabili ai fini processuali, e che in materia di inutilizzabilità non opera il principio, operante per le nullità, della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo. Anche sotto questo profilo la richiesta deve pertanto essere respinta. (Omissis)

divieto di intercettazione dei coLLoQui deL difensore e vuoti di tuteLa

di Filippo Fontana

SOMMARIO
1. Premessa. 2. La verifica del contenuto delle conversazioni dei difensori. 3. Distruzione dei brogliacci e onere di allegazione della difesa. 4. Intercettazioni vietate richiamate nelle annotazioni di p.g. e sanzioni processuali.

1. Premessa

Le norme poste a tutela delle garanzie di libertà del difensore costituiscono, come è noto, un corollario del principio costituzionale dell’inviolabilità della difesa. Ciò che viene tutelato, infatti, non è la figura professionale o processuale del difensore, quanto la funzione da questi esercitata (1) e, quindi, la riservatezza delle attività del difensore va tutelata da qualsiasi situazione che possa condizionare o limitare il ruolo da questi ricoperto all’interno del processo. A questo proposito si è osservato che la

salvaguardia delle libertà del difensore è espressione della struttura del processo accusatorio, perché costituisce un necessario bilanciamento tra le esigenze delle indagini, che giustificano i poteri investigativi del pubblico mini-stero e la segretezza delle comunicazioni tra imputato e difensore, quale il riflesso del principio dell’effettività della difesa (2).

In questo contesto che, come è ovvio, vede confrontarsi beni giuridici di rango costituzionale, si colloca la previsione di cui all’art. 103, comma 5, c.p.p., che pone un preciso divieto probatorio in relazione all’intercettazione delle conversazioni e delle comunicazioni dei difensori.

Orbene, l’ordinanza in commento si segnala perché tratta in modo schematico, ma esaustivo, tre profili relativi all’istituto disciplinato dall’art. 103, comma 5, c.p.p., suggerendo su ciascuno dei punti affrontati alcune utili riflessioni anche di carattere operativo.

Il giudice, infatti, pone anzitutto la sua attenzione nell’individuare le condizioni in presenza delle quali opera il divieto probatorio sancito dall’art. 103, comma 5, c.p.p., nonché le modalità con cui tale divieto deve essere attuato; in secondo luogo viene sottolineato un aspetto procedurale relativo alla richiesta di distruzione delle intercettazioni illegittimamente effettuate. Da ultimo, l’ordinanza affronta la portata delle ricadute sanzionatorie della violazione delle norme poste a tutela della riservatezza delle comunicazioni coi difensori.

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2. La verifica del contenuto delle conversazioni dei difensori

È ovvio che l’esistenza di un sistema di tutela della riservatezza delle comunicazioni tra indagato e difensore impone, in primo luogo, di stabilire quando possa dirsi costituito il rapporto fiduciario tra tali soggetti e, quindi, quali siano i presupposti che rendono operative le salvaguardie di cui all’art. 103 c.p.p..

Il provvedimento in esame chiarisce opportunamente che il divieto di intercettazione di cui all’art. 103, comma 5, c.p.p. non è correlato al previo formale conferimento del mandato difensivo al difensore intercettato, ma al ragionevole convincimento che le conversazioni captate attengano alla funzione difensiva nel processo. Invero, l’irrilevanza della formale investitura del difensore ai fini dell’operatività delle garanzie di cui all’art. 103, comma 5, c.p.p. è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 103, comma 7, c.p.p. non presuppone l’esistenza di una nomina formale del difensore, a norma dell’articolo 96 del c.p.p., ma dipende esclusivamente dalla natura della conversazione intercettata, così come verificabile anche a posteriori (3).

Tale conclusione pare una logica e inevitabile conseguenza della correlazione tra le garanzie del difensore di cui all’art. 103 c.p.p. e la tutela della funzione difensiva da quest’ultimo esercitata e si colloca in piena continuità con un altro principio, pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il divieto di intercettazione sancito dall’art. 103, comma 5, c.p.p. opera anche quando l’attività difensiva sia esercitata in un procedimento diverso da quello in cui avviene l’inter-cettazione (4).

Se, dunque, tali punti, possono dirsi ormai acquisiti, resta, invece, più controverso e problematico stabilire quale sia l’ambito dell’esame che il giudice può effettuare sul contenuto delle conversazioni intercettate per valutarne la natura e, di conseguenza, l’eventuale inutilizzabilità.

È evidente, infatti, che se l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate dipende dalla loro attinenza con la funzione difensiva, si pone la questione se la valutazione sul punto da parte del giudice debba essere effettuata senza poter prendere cognizione diretta del contenuto delle conversazioni, ovvero ex post, alla luce di una verifica concreta del contenuto delle comunicazioni tra indagato e difensore.

Sul punto si registra un significativo contrasto tra alcune posizioni della dottrina e il costante orientamento della giurisprudenza.

La prassi applicativa, infatti, si preoccupa di circoscrivere in modo rigoroso l’ambito di applicazione della garanzie di cui all’art. 103 c.p.p. per evitare che l’istituto possa essere...

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