L'insegnamento dell'informatica giuridica (Diritto e tecnologie dell'informazione e della comunicazione) nelle università italiane

AutoreCostantino Ciampi
Pagine85-104

    Il presente articolo riproduce fedelmente la relazione tenuta dall'Autore e di essa mantiene il tono discorsivo.


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@1. Premessa

Permettetemi, prima di iniziare, (dopo i rituali ma sinceri ringraziamenti agli organi direttivi dell'ANDIG per il gradito invito a prendere la parola) due precisazioni: una terminologica, relativa all'espressione «informatica giuridica», ed una soggettiva (quasi autobiografica), con riferimento alla mia qualifica di docente della materia.

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In verità, quanto alla prima precisazione, mi piacerebbe usare l'espressione che individua la nostra materia nel suo significato più ristretto e aderente alle origini, con buona pace dei puristi e dell'Accademia della Crusca (come ebbi a precisare in un vecchio scritto giovanile pubblicato in «Lingua nostra» nel 1972), cioè di disciplina che studia l'uso delle tecnologie informatiche e telematiche nel mondo del diritto; fatta questa scelta, di conseguenza, manterrei la prima espressione distinta dal «diritto dell'informatica», che studia i problemi giuridici sollevati dalla rivoluzione tecnologica relativa al trattamento e alla diffusione dell'informazione, problemi tradizionalmente inquadrati nelle materie pubblicistiche o in quelle privatistiche, a seconda della natura dei diritti coinvolti.

D'altra parte, sulla scia di una convinzione abbastanza diffusa, è lecito orientarsi anche diversamente, individuando nell'espressione «informatica giuridica» un concetto unitario più ampio, che ingloba entrambe le discipline, quasi un mix inscindibile tra «tecnologie e diritto» che, come tutte le endiadi, si può interpretare nelle due direzioni «tecnologie nel diritto» e «diritto delle tecnologie». Tale convinzione mi sembra riflessa in alcune definizioni ascoltate anche in questo nostro incontro (Borruso, Sartor, ..) e in una certa prassi didattica «tutta italiana», ingenerata soprattutto dall'uso che di questa materia, oggetto d'insegnamento, fanno i filosofi del diritto.

In realtà i nostri filosofi-giuridici, essendo stati storicamente - com'è noto - i promotori della nostra disciplina in Italia, si sono sentiti legittimati a dare alla materia qui esaminata uno statuto più ampio, libero dai condizionamenti imposti dai cultori delle diverse branche del diritto positivo, in questa azione rafforzati dalle disposizioni dei primi decreti ministeriali di riforma universitaria del 2000. Questi decreti però sono stati corretti più volte nell'arco di un quinquennio, quasi a sottolineare la ricerca di un assestamento e di un adeguamento progressivo dello statuto della disciplina alle reali esigenze culturali della società italiana e dei professionisti del diritto.

Ciò premesso devo ammettere che, in effetti, nel titolo del mio intervento uso «informatica giuridica» nel senso più ampio appena precisato, ma nel corso del discorso, dovendo dar conto delle molteplicità di forme in cui si sostanzia l'insegnamento nei diversi corsi di laurea e nella formazione post-laurea, anche al di fuori del gruppo disciplinare IUS/20, sono costretto a ricorrere a numerose altre espressioni, più o meno feli-Page 87ci, quali «diritto dell'informatica», «diritto di Internet», «diritto delle nuove tecnologie dell'informazione» e a molte altre più o meno equivalenti che sono poi le espressioni ricorrenti che si intrecciano correttamente, senza rischio di confusione e/o d'infingimenti definitori, nelle denominazioni dei corsi didattici universitari all'estero, anch'essi focalizzati in prevalenza più sui problemi giuridici dell'informatica che sui problemi tecnici dell'informatica applicata al diritto.

Quanto alla seconda precisazione, quella soggettiva e quasi autobiografica, coloro che mi conoscono sanno che sono un docente della materia non di ruolo, bensì a contratto, una qualifica questa che accomuna la stragrande maggioranza degli attuali docenti d'Informatica giuridica. Parimenti c'è da registrare che la materia è tuttora spesso insegnata per incarico da docenti di ruolo di altre materie disciplinari o da liberi professionisti, cultori della materia, di provenienza la più varia, che talvolta non hanno maturato un'adeguata esperienza di studio e/o di ricerca nel settore disciplinare di nostro interesse.

È questa un'anomalia singolare, soprattutto se si pensa che sono passati ben quarant’anni dalla prima prolusione ad un corso universitario che potremmo definire di «Informatica giuridica» ante litteram, del compianto prof. Vittorio Frosini, illustre filosofo e teorico del diritto, nonché promotore e primo presidente dell'ANDIG. Tale corso, tenuto all'Università di Catania nel 1965, era dedicato - lo ricorderete - al tema dei rapporti fra «Umanesimo e tecnologia nella giurisprudenza».

Il ritardo col quale è stato accolto ufficialmente l'ingresso dell'Informatica giuridica nelle aule universitarie dovrebbe far riflettere i partecipanti a questo incontro, ma ancor più le menti pensanti del nostro Ministero di riferimento, e dovrebbe essere indice evidente - a mio giudizio - di una difficoltà strutturale, oltre che culturale, che ostacola o ritarda il suo inserimento nelle facoltà di giurisprudenza, piuttosto che in quelle di informatica o scienza dell'informazione; si pensi, da ultimo, all'ibrido singolare costituito dal corso di laurea triennale in Informatica giuridica nato, per iniziativa di due facoltà distinte, giurisprudenza e matematica, fisica e scienze naturali, presso l'Università del Piemonte orientale ad Alessandria, quasi a voler sottolineare la soggezione culturale latente del giurista nei confronti della tecnica. Il nuovo e singolare corso interfacoltà è frequentato in verità più da giuristi che da informatici, forsePage 88 anche perché è alla ricerca di un suo equilibrio tra le materie giuridiche e quelle tecniche; ma su questa esperienza ritornerò in seguito, anche per esprimere giudizi più circostanziati.

Tale vicenda, relativa al ritardo nell'accogliere da parte dell'accademia l'Informatica giuridica, una disciplina peraltro fiorente nell'ambito della ricerca e ricca di risultati anche pratici per il mondo delle professioni legali, accomuna la sorte della nostra disciplina a quella della sociologia giuridica, per anni tenuta fuori dalle aule di giurisprudenza, anche perché considerata un'articolazione per certi versi marginale della sociologia tout court e quindi fortemente attratta in quella matrice culturale.

Dal punto di vista soggettivo sono contento di parlarvi in questa mia posizione apparentemente debole (come potrebbe pensare qualcuno). Al contrario ho la presunzione di essere in una posizione forte, sia perché sento di rappresentare una «maggioranza silenziosa» (la folta schiera dei professori universitari a contratto, in un mondo di saperi che cambiano e s'intrecciano sempre più vorticosamente), sia perché mi sento libero da condizionamenti e da particolari mire di carriera accademica, non più confacenti né alla mia età né al percorso professionale da me maturato all'interno di un serio istituto scientifico del CNR, l'ITTIG di Firenze, che si occupa specificatamente di ricerca (di base e applicata) nei settori dell'informatica giuridica e del diritto dell'informatica, e al quale sono orgoglioso di appartenere.

In questa veste di professore a contratto - appartenente alla prima generazione di docenti, mi si passi l'espressione che non vorrei tingere di nessun altra sfumatura oltre quella anagrafica -, ho ininterrottamente insegnato Informatica giuridica e amministrativa, dall'anno accademico 1970/71 fino ad oggi, in diversi contesti formativi (corsi integrativi e curriculari, scuole di perfezionamento, master e dottorati, in un certo numero di università), e in questa posizione ho avuto modo di seguire, per intero, l'evoluzione che è stata impressa all'insegnamento di questa disciplina negli ultimi trenta anni, in particolare dopo la recente riforma.

Dopo questa premessa, su cui mi sono dilungato troppo (forse annoiandovi), passo direttamente al tema e inizierei proprio da un breve excursus sulla riforma, utile per rammentare a noi tutti la vastità della tematica che dovrò affrontare.

Com'è noto il nuovo ordinamento degli studi universitari (Decreto 3 novembre 1999, n. 509, come modificato dal Decreto 22 ottobre 2004, n.Page 89 270), che si applica a decorrere dall'a.a. 2001-2002, ha istituito due corsi di diverso livello, in successione tra loro, secondo il sistema del c.d. 3+2. Il corso di laurea di primo livello, di durata triennale, ha l'obbiettivo di assicurare allo studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali. Il secondo livello consiste in un corso di laurea magistrale di durata biennale, che ha l'obbiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione.

Per gli studi giuridici il d.m. 4 agosto 2000 ha individuato due classi di corsi di studio di primo livello: la classe delle lauree [n. 2] in Scienze dei Servizi giuridici e la classe delle lauree [n. 31] in Scienze giuridiche.

Sempre per gli studi giuridici il d.m. 28 novembre 2000 ha individuato due classi delle lauree specialisti che (ora «magistrali»): la classe [n. 22/S] delle lauree specialistiche in Giurisprudenza e la classe [n. 102/S] delle lauree specialistiche in Teoria e tecnica della normazione e dell'informazione giuridica (attivate, però, solo da alcune università).

Per la Facoltà di Giurisprudenza, dopo la laurea magistrale è prevista anche una Scuola di specializzazione per le professioni legali. Il diploma di specializzazione, rilasciato al termine di un corso di studi di durata annuale, costituisce titolo indispensabile per la partecipazione al concorso per l'accesso alla magistratura. La Scuola di specializzazione costituisce anche sede di formazione, sia pure non esclusiva, per avvocati e notai. Il corso completo degli studi universitari giuridici corrisponde dunque alla formula 3+2+1. Oggi questa formula è in discussione (nell'ambito della...

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