Le indagini preliminari

AutoreStefano Ambrogio
Pagine207-228

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@1 Le indagini preliminari

La fase delle indagini preliminari è quella fase del procedimento penale diretta dal pubblico ministero e precedente all’esercizio dell’azione penale. Il p.m. è il soggetto principale di questa fase in quanto dirige l’attività della polizia giudiziaria e opera le scelte investigative che culminano, poi, nella formulazione del capo di imputazione o nella decisione di richiedere l’archiviazione.

Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento penale: hanno inizio nel momento in cui la notitia criminis viene iscritta nel registro delle notizie di reato e terminano con l’esercizio dell’azione penale o con la richiesta di archiviazione.

La direzione delle indagini preliminari spetta al pubblico ministero il cui compito è quello di ricercare gli elementi che consentano di accertare se sia stato commesso un reato e quale sia il soggetto responsabile. Nello svolgimento di tale compito, egli può compiere direttamente gli accertamenti necessari (ad esempio, ispezioni, perquisizioni, assunzione di informazioni) oppure può delegare tali atti alla polizia giudiziaria (par. 4).

Ciò non esclude che la polizia giudiziaria possa svolgere attività investigative di propria iniziativa, nel rispetto delle regole e dei limiti stabiliti dal codice (par. 3).

Nell’ambito del nostro sistema accusatorio in cui è garantita la parità tra accusa e difesa, il potere di svolgere attività investigativa spetta anche al difensore che ha facoltà di attivarsi sin dalla fase iniziale del procedimento (par. 6).

Nel rispetto dei principi del sistema accusatorio, l’intervento del giudice nel corso delle indagini preliminari è limitato solo al fine di provvedere sulle specifiche richieste delle parti e della persona offesa nei casi previsti dalla legge. In altri termini, il compito del giudice per le indagini preliminari (g.i.p.) è quello di controllare l’attività delle parti, intervenendo in maniera incidentale, sulla base della documentazione prodotta, per l’acquisizione anticipata di prove (incidente probatorio), ovvero per risolvere questioni sottratte al potere decisorio del p.m. (si pensi, ad esempio, alle ordinanze

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in materia di libertà personale o ai provvedimenti in materia di sequestro preventivo), o ancora per verificare i tempi e l’utilità delle indagini. Nonostante il rilievo dei suoi interventi, il g.i.p. non può essere considerato come autorità giudiziaria procedente, perché nel corso delle indagini preliminari unico titolare resta il p.m.

Il g.i.p. svolge dunque funzioni di controllo, di garanzia e in limitati casi anche di giudizio. In particolare svolge:

-funzioni di controllo sull’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. sia in merito alla richiesta di archiviazione (art. 408 ss. c.p.p.) che in merito all’esercizio dell’azione penale (es. art. 455 c.p.p.); nonché sui termini delle indagini preliminari (quando il p.m. chiede la proroga delle indagini preliminari - art. 406 c.p.p.);

-funzioni di garanzia dei diritti dell’indagato (quando per es. autorizza le intercettazioni telefoniche, il sequestro o l’applicazione delle misure cautelari);

-funzioni giudicanti: innanzi al g.i.p. si svolgono il rito abbreviato e il patteggiamento.

@2 Gli atti di indagine

Il compimento di atti di indagine spetta al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria.

Gli atti delle indagini preliminari sono coperti dal segreto istruttorio (Cap. 9, par. 1); sono obbligati al segreto non solo il p.m. e gli organi di polizia giudiziaria, ma anche i consulenti tecnici, gli ausiliari del p.m. (ovvero il personale di segreteria) e gli ausiliari della polizia stessa (si pensi al tecnico chiamato a installare una microspia per intercettazioni ambientali).

La violazione di tale divieto è sanzionata penalmente dall’art. 326 c.p., che prevede sanzioni a carico del pubblico ufficiale o della persona incaricata di un pubblico servizio i quali rivelino notizie di ufficio segrete o ne agevolino in qualsiasi modo la conoscenza.

Il segreto sussiste fino a quando gli atti di indagine non devono essere portati a conoscenza dell’indagato, vale a dire fino:

-al momento del deposito di determinati atti, come ordinanze che impongono mi-sure cautelari (art. 293 c.p.p.), intercettazioni (art. 268 c.p.p.), atti ai quali il difensore ha il diritto di assistere (art. 366 c.p.p. );

-al momento della conclusione delle indagini preliminari, quando all’indagato deve essere spedito il relativo avviso (art. 415 bis c.p.p.).

Il legislatore consente due eccezioni alle regole generali in materia di segreto:

-il p.m. può consentire la pubblicazione di singoli atti, qualora sia ritenuto necessario per agevolare la prosecuzione delle indagini: si pensi alla diffusione sulla stampa dell’identikit di un omicida;

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- il p.m. può protrarre il segreto in caso di consenso dell’indagato ovvero quando sussistano esigenze investigative riguardanti l’identificazione di altri complici oppure può imporre uno specifico divieto di pubblicazione per determinati atti o notizie, per evitare che gli atti, sebbene non coperti dal segreto, siano oggetto di maggiore diffusione attraverso i mezzi di comunicazione. In questi casi, l’atto è depositato ma non è diffuso.

Gli atti delle indagini preliminari (sommarie informazioni, interrogatorio indagato etc.) non sono utilizzabili in dibattimento che è il luogo deputato all’assunzione delle prove.

Questo principio trova però numerose eccezioni lì dove si ammette che gli atti raccolti durante le indagini preliminari sono utilizzabili dal giudice in dibattimento quando si tratta di atti non ripetibili fin dall’origine (art. 431, 511 c.p.p.), di atti che sono divenuti non ripetibili (art. 512 c.p.p.) e in altri casi previsti dalla legge (come nel caso in cui le parti concordino l’acquisizione di atti delle indagini preliminari ex art. 493, 3° comma, c.p.p.).

@3 Attività di indagine della polizia giudiziaria

Sebbene la polizia giudiziaria operi sotto la direzione del pubblico mini-stero, essa svolge un ruolo fondamentale nella fase delle indagini preliminari, in quanto le competono anche molti poteri autonomi nella ricerca delle prove.

L’attività di indagine della polizia giudiziaria deve però coordinarsi con i principi di garanzia propri dell’indagato e del difensore. Ne consegue che la polizia giudiziaria è tenuta ad informare immediatamente l’indagato delle sue facoltà quando compie un atto di perquisizione o ispezione, a sospendere l’esame della persona informata quando a carico della medesima risultino elementi di responsabilità, e ad attendere la presenza del difensore nei casi in cui sia consentita.

Venuta a conoscenza del compimento di un illecito penale, la polizia giudiziaria:

-deve assicurare le fonti di prova nell’immediatezza del fatto (art. 348 c.p.p.);

-deve comunicare senza ritardo la notizia di reato al p.m. (Cap. 15 par. 2);

-può procedere all’arresto o al fermo della persona indagata nei casi previsti dalla legge (Cap. 13);

-nell’immediatezza del fatto può assumere sommarie informazioni dall’indagato anche in assenza del difensore (vedi infra).

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In linea generale, la polizia deve comunicare tempestivamente al p.m. le operazioni compiute, per dare modo allo stesso di convalidarle ove occorra (si pensi alla convalida della perquisizione o del sequestro probatorio), ovvero chiedere la convalida al giudice (si pensi alla convalida del sequestro preventivo disposto in via urgente ex art. 321 c.p.p. o alla convalida dell’arresto o del fermo di polizia giudiziaria ex artt. 380 e ss. c.p.p.).

La polizia giudiziaria può compiere tutte le attività che gli vengono delegate dal pubblico ministero (vedi infra) nonché altre attività di propria iniziativa. Alla polizia giudiziaria spetta il potere-dovere di compiere di propria iniziativa, finché non abbia ricevuto dal p.m. direttive di carattere generale o deleghe per singole attività investigative, tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell’accertamento del reato e dell’individuazione dei colpevoli, e quindi anche quegli atti ricognitivi che sono diretti a conseguire quest’ultima finalità, ancorché non espressamente indicati nell’elencazione dell’art. 348 c.p.p., che deve considerarsi meramente esemplificativa (Cass., II, 2-9-1997) (per es. individuazioni fotografiche, attività di osservazione con riprese filmate, ispezioni dei luoghi, acquisizioni di documentazione e assunzione di informazioni).

La polizia giudiziaria dispone di un margine di autonoma operatività non solo prima della comunicazione al p.m. della notizia di reato (art. 347 c.p.p.), ma anche dopo tale comunicazione (art. 348 c.p.p.), giacché essa, oltre a dare esecuzione alle specifiche direttive impartite dal p.m., può compiere ulteriori attività investigative (Cass., VI, 26-1-1993). Tuttavia, due sono i limiti dell’attività della polizia giudiziaria:

-il rispetto delle direttive eventualmente impartite dal p.m., in quanto le attività della polizia giudiziaria non possono essere in contrasto con esse;

-gli adempimenti da compiere nello svolgimento di determinati atti che il legislatore prevede per garantire la tutela della persona: si pensi all’obbligo di avvisare l’indagato della possibilità di farsi assistere da persona di fiducia nel corso di una perquisizione (art. 249 c.p.p.).

Tra gli atti di indagine che la p.g. può compiere di propria iniziativa vi sono: - l’assunzione di sommarie informazioni dall’indagato;

Relativamente all’assunzione di sommarie informazioni dall’indagato il codice disciplina dettagliatamente la materia in ragione della sua delicatezza. A questo proposito, va ricordato che l’indagato ha, al pari dell’imputato, la facoltà di non rispondere e non ha l’obbligo di rivelare ciò che potrebbe recargli pregiudizio, ma ha soltanto l’obbligo di non mentire su circostanze che riguardino terze persone. Ciò significa che l’indagato, prima di essere interrogato, va informato dell’accusa a lui rivolta e delle sue facoltà...

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