Incesto e relazione incestuosa

AutoreFernando Giannelli e Maria Grazia Maglio
Pagine1351-1362

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@1. Primi aspetti; cenni storici

- L'art. 564 c.p. recita: (Incesto)

Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni

.

La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa

.

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l'incesto è commesso da persona maggiore di età, con persona minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne

.

La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà dei genitori

.

L'immediato precedente storico della figura criminosa di cui vorremo trattare è costituito dall'art. 337 del codice Zanardelli, il quale, a differenza da quello vigente, non incriminava il singolo episodio di incesto, che, quindi, di per sé, rappresentava un fatto non preveduto dalla legge come reato, bensì sottoponeva a pena chiunque «tiene incestuosa relazione».

Anche la disposizione or citata richiedeva che si agisse «in modo che ne derivi pubblico scandalo».

L'onorevole Errico Pessina aveva chiesto l'eliminazione del delitto di relazione incestuosa dal Progetto Savelli del 1883, in ciò seguito dal Ministro Zanardelli, «per non aprire l'adito a processi che dessero luogo ad investigazioni nell'interno della famiglia, siccome quelli i quali potrebbero recare maggior danno alla morale pubblica che non il fatto la cui esistenza verrebbe con essi provata».

Re melius perpensa, il Ministro osservò che l'opinione del Pessina avrebbe -coerentemente - dovuto comportare l'eliminazione di tutti i delitti contro il buon costume e l'ordine delle famiglie; d'altra parte, il richiedere l'estremo del pubblico scandalo, a parere del Ministro, poteva convenientemente risolvere le ambasce del Pessina, poiché, attraverso tale estremo, «la turpissima tresca non sia più un mistero celato nell'intimità della famiglia, ma abbia acquistato obbrobriosa notorietà».

All'opinione del Pessina si era aderito dal legislatore del codice francese, come di quello parmense e di quello napoletano 1.

L'Arabia 2 fu di molto contrario all'incriminazione del delitto di cui all'art. 337 cod. Zanardelli, a causa, proprio, del pubblico scandalo, che si rischiava di far ricadere sull'innocente, in caso di notizie assolutamente infondate e pretestuose.

L'onorevole Villa, in conformità dell'opinione del Ministro quanto alla necessità di incriminazione del delitto di incestuosa relazione, ebbe, fra l'altro, ad osservare che «la notorietà del fatto sarà dunque non una condizione di procedibilità 3, ma bensì uno degli elementi del delitto».

Il Suman, nell'esaminare gli estremi della relazione incestuosa, richiedeva l'esistenza di un "congresso carnale", onde è da ritenere che non giudicasse incriminabile una serie di rapporti sessuali diversi dalla congiunzione carnale, anche se in presenza dell'estremo del pubblico scandalo.

Molto più "larga", nella punizione degli "incesti d'ogni maniera", era stata la legislazione mosaica (Levitico, XVIII, 6, 18; XX, 11, 20; Deuteronomio, XXVII, 20, 23) la pena era sempre quella capitale.

Il diritto romano distingueva l'incestum juris gentium dall'incestum juris civilis, comprendendo nel primo il commercio carnale tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle e tra affini, che erano, non solo, i parenti (cognati) del marito e della moglie, ma anche quelli del fidanzato e della fidanzata.

Il secondo tipo di incestum consisteva nel commercio carnale fra tutte quelle persone che solo secondo il jus civile non potessero contrarre matrimonio, ed era, genericamente, classificato come "adulterio"; l'incestum juris civilis era scusato quanto alle donne 4 4bis.

Risalendo alquanto nel tempo, possiamo notare come, e quanto, fosse disciplinata la repressione dell'incesto nel codice di Hamurapi.

Paragrafo 154: «se un uomo commette incesto con la figlia, sia esiliato dalla città»; par. 155: «se un uomo commette incesto con la nuora, sia legato e gettato nell'acqua»; par. 156: «se un uomo commette incesto con la sposa del figlio quando il matrimonio non è stato consumato, le dia 1/2 mina d'argento e le restituisca tutta la dote. La donna è libera di sposare chi vuole»; par. 157: «se avviene incesto tra figlio e madre (dopo la morte del padre), ambedue siano condannati al rogo»; par. 158: «se un uomo, dopo la morte del padre, commette incesto con la donna che lo ha allevato e da cui il padre ha avuto figli, sia scacciato di casa» 5 6.

Il Regolamento pontificio del 1832, nel trattare l'incesto alla stregua di un delitto gravissimo 7, lo puniva con l'ergastolo se commesso tra parenti od affini in linea retta, anche se se si trattasse di filiazione naturale; con la reclusione da cinque a quindici anni ove si trattasse di parentela od affinità sino

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al quarto grado di computazione civile (art. 177) 8 9.

Il codice toscano del 1853 distingueva quattro specie di incesto, ad esse ricollegando diverse sanzioni criminali 10 fra consanguinei ascendenti, e discendenti, con maggior punizione per gli ascendenti; tra affini ascendenti, e discendenti, con uguali differenze sanzionatorie; fra consanguinei collaterali entro il terzo grado civile, sottoposti ad ugual pena; fra gli affini nello stesso grado, sempre con identica pena per i coautori (art. 294, lettere a, b, c e d); era, poi, preveduto il quasi-incesto, cioè quello commesso dai padri adottivi e dai tutori con le figlie adottive e con le pupille (art. 295). Trattavasi, quanto a quest'ultima figura criminosa, di delitto monosoggettivo, poiché le figlie adottive e le pupille non erano assoggettate a pena, e, di più, erano considerate soggetti passivi, attesa la "audacia de' corruttori" 11.

Il codice sardo-piemontese incriminava l'incesto all'art. 481, con diverse pene, a seconda che esso riguardasse la parentela "ascendentale o discendentale", "sia che la parentela derivi da nascita legittima od illegittima"; l'incesto tra fratelli e sorelle, fossero, gli stessi, germani, consanguinei od uterini; gli affini.

Quando concorresse la violenza, si dava luogo ad un reato complesso, e non a concorso di reati, e la pena dei lavori forzati era, in tal caso, estensibile al maximum se si trattasse di incesto in linea retta ascendentale o discendentale, così combinandosi i commi 1 e 4 dell'articolo.

Il comma 5 disponeva che «in tutti i casi di incesto in linea retta sarà inoltre applicata all'ascendente colpevole la disposizione dell'art. 423»: quest'ultima prevedeva la pena accessoria della privazione «di ogni diritto che in forza della patria podestà è loro concesso dalla legge sulle persone e sui beni dei figli prostituiti o corrotti».

L'art. 337 del codice Zanardelli recitava testualmente: «Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, tiene incestuosa relazione con un discendente o ascendente, anche illegittimo, o con un affine in linea retta ovvero con una sorella o un fratello, sia germano, sia consanguineo od uterino, è punito con la reclusione da diciotto mesi a cinque anni e con la interdizione temporanea dai pubblici uffici» (art. 20, commi 1 e 3).

Si può immediatamente notare che, per una sorta di intuibile compromesso, in seno alle Commissioni, tra coloro che propugnavano l'inserimento del delitto nel codice, e coloro che ne auspicavano l'abolizione, era stata eliminata gran parte dei possibili soggetti attivi: non vi comparivano gli affini in linea collaterale, e neanche quelli in linea retta, se l'affinità fosse da qualificare illegittima.

Al riguardo, acutamente, l'Alimena 12 notò che il testo della disposizione, mentre recava l'inciso "anche illegittimo" dopo aver trattato del discendente o dell'ascendente, non lo ripeteva quanto all'affinità (caso dell'incestuosa relazione tra un padre e la moglie del figlio naturale); non erano giuridicamente capaci di incesto i fratelli non rientranti in una delle categorie indicate, cioè i fratelli naturali non riconosciuti.

Neanche era annoverabile tra i soggetti attivi il figlio naturale riconosciuto ai sensi dell'art. 182 del codice civile del 1865 in quanto, secondo tale disposizione, «il riconoscimento non ha effetto che riguardo a quello dei genitori da cui fu fatto, e non dà al figlio riconosciuto alcun diritto verso l'altro genitore» (diverso era il caso contemplato dal successivo articolo, del figlio naturale di uno dei coniugi nato prima del matrimonio qualora l'altro coniuge consentisse, od avesse consentito, al riconoscimento; nessun dubbio, poi, sulla "capacità di incesto" quanto ai figli legittimati (art. 194 c.c. 1865).

Non rientravano tra i possibili soggetti attivi del delitto di cui all'art. 337 i figli adulterini, od incestuosi, anche se avessero vittoriosamente esperito l'azione di cui all'art. 193 c.c. 1865 13.

@2. La struttura del delitto d'incesto

- Secondo la dottrina dominante 14, il delitto di cui all'art. 564 c.p., anche nella forma della relazione incestuosa, è da annoverare, oltre che fra i reati propri 15, nella categoria dei reati plurisoggettivi: in particolare, si tratta di un reato plurisoggettivo reciproco, poiché le condotte criminose si muovono "l'una verso l'altra"; nell'ambito di questa categoria, s'ha da direche l'incesto è da ascrivere alla sotto-categoria dei reati a condotta omogenea (reato plurisoggettivo reciproco a condotta eterogenea è, ad esempio, quello di corruzione, antecedente o susseguente, per atto contrario ai doveri d'ufficio, ove, da una parte, si corrompe, dall'altra si è corrotti) (artt. 319, 321 c.p.) 16.

La dottrina avversa, e l'avversa giurisprudenza 17, fondano le proprie conclusioni su di un principio letterale che ci appare a ragione giudicato "evanescente" 18: il fatto che il legislatore, nel formulare la norma sull'incesto, abbia usato il numero singolare ("chiunque ... commette incesto") cade già di fronte all'osservazione dell'uso dello stesso pronome a proposito del delitto di bigamia...

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