Incendio di autoveicolo e legge 990

AutoreEdgardo Colombini
Pagine865-871

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Per quanto si tratti di una problematica dalle apparenti facili conclusioni - almeno secondo il corrente orientamento giurisprudenziale -, cionondimeno è riscontrabile il perdurare di un contrasto fra il punto di vista degli assicurati e quello delle compagnie di assicurazioni: i primi, che puntano a far rientrare nella garanzia prestata dalle polizze di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore qualsiasi danno causato a terzi dall'incendio del mezzo assicurato; le seconde, che mirano talora a contestarne la risarcibilità in base a quelle polizze.

Si tratta di un contrasto che, comunque, dal nostro punto di vista, non può essere risolto facendo rientrare - secondo un consistente orientamento giurisprudenziale - nella garanzia della assicurazione obbligatoria dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore qualsiasi danno di questo genere con la sola esclusione, generalmente riscontata, per i casi in cui l'incendio del veicolo assicurato sia stato causato da un terzo estraneo per un gesto di vandalismo o per una qualsiasi altra azione dolosa.

Nessun problema quando l'incendio del veicolo assicurato si sviluppi in conseguenza di un sinistro della circolazione stradale coinvolgendo terzi passanti o atri veicoli oltre a quello con cui è venuto a collisione trattandosi di un momento o di un accadimento rientranti nella dinamica dell'incidente di cui quindi è parte: in questi casi la garanzia assicurativa obbligatoriamente stipulata deve essere pienamente operante.

Le difficoltà sull'argomento in questione si possono invece riscontrare quando l'incendio si sia determinato su un veicolo in circolazione ma non coinvolto in un incidente oppure in sosta.

In queste ipotesi non tanto vediamo, peraltro, per parte nostra, un possibile riferimento al primo comma dell'art. 2054 c.c. quanto al quarto comma del medesimo articolo o all'art. 2051 c.c., a seconda dei casi, come si dirà.

Invero, il primo comma dell'art. 2054 c.c. obbliga il conducente di un veicolo senza guida di rotaie a risarcire il danno prodotto a persone o cose dalla circolazione del veicolo se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitarlo, ma quando si parla di circolazione occorre preliminarmente intendersi su quale sia il significato, su quale sia la portata da dare a questo termine.

Non ci riferiamo qui alla distinzione talora operata fra l'espressione di «veicolo in circolazione» e quella di «circolazione del veicolo» - essenzialmente in relazione alla formulazione dell'art. 2054 c.c. primo comma - (vedasi in sentenza del Pretore di La Spezia, richiamata dalla decisione in appello del Tribunale di La Spezia 13 luglio 1994, n. 542, in Arch. giur. circ. e sin. strad. 1995, p. 43), giustamente disattesa dal momento che «anche la sosta è circolazione, perché contemplata dal codice della strada, perché suscettibile di tramutarsi in ogni momento, perché su strada pubblica ove transitano anche altri veicoli».

Si tratta di vedere quale sia la valenza che deve essere attribuita al termine «circolazione» che troviamo nell'art. 2054 c.c.

Se invero, in relazione al primo comma di tale articolo, pensiamo al fatto che il termine «circolazione» di un veicolo non può essere astretto al movimento del veicolo stesso poiché ricade sotto la disposizione dell'art. 2054 c.c. pure l'ipotesi del veicolo abbandonato in una notte illune su una strada fuori dal centro abitato (magari in zona boscosa, che rende l'oscurità ancor più impenetrabile), a luci spente, contro cui vada a sbattere anche un semplice pedone; se pensiamo - in relazione al secondo comma - che si versa sempre in tema di circolazione e di scontro di veicoli anche quando l'auto di Tizio urti contro l'auto di Caio, ferma in sosta in zona non illuminata, senza segnali idonei, ci rendiamo facilmente conto del fatto che per circolazione non si intende esclusivamente il movimento del veicolo, e cioè che non ci si restringe ai soli casi di sinistri causati dal movimento di un automezzo.

Non dimentichiamo che, secondo la Corte di Cassazione (sez. III civ., 28 novembre 1990, n. 11467, in Arch. giur. circ. e sin. strad. 1991, p. 860) «nell'ampio concetto di circolazione stradale indicato dall'art. 2054 c.c. come possibile fonte di responsabilità, deve essere ricompresa anche la posizione di arresto del veicolo su area pubblica, in quanto anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri veicoli o di persone ed anche in tali contingenze non può il conducente ritenersi esonerato dall'obbligo di assicurare l'incolumità dei terzi».

Fatta questa premessa, se guardiamo al tenore dell'art. 2054 c.c., vediamo subito come il legislatore obblighi al risarcimento del danno prodotto a persone o cose dalla circolazione del veicolo, per cui risulta in ogni caso - senza la possibilità di sottili distinzioni che la disposizione codicistica non mette in alcun modo in evidenza - un collegamento materiale fra la circolazione (intesa sia come movimento che come sosta) e il danno che dalla circolazione del veicolo deriva.

Quando il primo comma dell'art. 2054 c.c. fa riferimento alla circolazione ci indica cioè che questa rappresenta il punto di partenza di quel processo causale che porta, attraverso un comportamento colposo dell'automobilista, alla determinazione di un danno: se non c'è circolazione - nel senso più lato cui abbiamo accennato - non può in alcun modo verificarsi un sinistro e prodursi quindi qualsiasi danno. Non per nulla si parla, nella disposizione codicistica, di danno prodotto dalla circolazione, circolazione che dottrina e giurisprudenza individuano - come si è detto - non soltanto nel movimento del veicolo.

Dal che deriva «la operatività della presunzione posta dall'art. 2054 c.c. primo comma con conseguente operatività dell'onere probatorio posto da tale norma», secondo le indicazioni della Pretura di Reggio Emilia (sent. 14 luglio 1993, in Arch. giur. circ. e sin. strad. 1993, p. 892), sulla cui affermazione di carattere generale concordiamo solo a pat-Page 866to che non se ne faccia una espressione disancorata dall'apprezzamento delle singole situazioni di fatto, atteso che - come accennato e per i motivi che vedremo - non sempre il riferimento d'obbligo, nella materia di cui ci stiamo occupando, può essere esclusivamente al primo comma dell'art. 2054 c.c.

Che l'orientamento della giurisprudenza sia nel senso di ricomprendere «nell'ampio concetto di circolazione stradale, indicato dall'art. 2054 c.c. come possibile fonte di responsabilità anche la posizione di arresto del veicolo su area pubblica, in quanto anche in occasione di fermate o di soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri veicoli e di persone ed anche in tali contingenze non può il conducente ritenersi esonerato dall'obbligo di assicurare l'incolumità di terzi» è confermato dalla sentenza del 25 novembre 1993 n. 11681 ancora della III sez. della Suprema Corte (in Arch. giur. circ. e sin. strad. 1994, p. 390). «Infatti, anche il conducente che lasci un veicolo in sosta è tenuto, del resto, ad adottare le opportune cautele atte ad evitare incidenti, dovendone, in caso contrario, rispondere, e, in particolare, ad osservare specifici obblighi di comportamento, al fine di evitare che si creino situazioni di pericolo (art. 115 D.P.R. 15 giugno 1959 n. 393): oltre al divieto di lasciare in sosta il mezzo nei luoghi indicati dal comma 5 del citato art. 115 (prossimità di crocevia o di curve, ecc.), tra le cautele da adottare, stanno quelle relative all'illuminazione, allorché la sosta avvenga sulla carreggiata (luci di posizione, luci di ingombro ed illuminazione della targa) e l'illuminazione pubblica sia insufficiente, non consenta, cioè, di individuare il veicolo alla distanza di cinquanta metri (art. 110, commi 4 e 5)».

Concetto ribadito ancor più recentemente dai Supremi Giudici (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1997, n. 5146, in Arch. giur. circ. e sin. strad. 1997, p. 788), secondo i quali «nell'ampio concetto di circolazione deve ritenersi compresa ogni situazione in cui il veicolo debba ritenersi affidato al conducente, anche se questi, lasciandolo in sosta o in altro modo, ne abbia abbandonato la guida. Approfondendo l'analisi su tale indirizzo interpretativo, risulta evidente che l'espressione circolazione stradale, in senso tecnico, indica l'utilizzazione di una strada o di un'area equiparata per tutti i movimenti e le situazioni, anche di sosta, che rientrano nel normale utilizzo funzionale del veicolo assicurato. Pertanto, anche quando il conducente abbia abbandonato la guida dell'automezzo, siccome questo rimane nella circolazione stradale, ogni evento relativo deve restare assoggettato alle regole e ai principi che li disciplinano».

Anche in dottrina per circolazione deve intendersi «quell'incessante movimento, alternato ad arresti, fermate e soste, di veicoli, di animali e di pedoni, che fluisce sul piano viabile a fasi ora accelerate, ora ritadate» (PERSEO, Commento teorico-pratico del codice della strada, Piacenza 1964, p. 47). Non è soltanto la fase del movimento effettivo, cioè, a caratterizzare il termine giuridico di circolazione, ma anche quella della fermata o della sosta, quale che ne sia la causa, secondo questo autore.

È, quindi, «in circolazione - secondo il LA PORTA (I presupposti dell'obbligo di assicurare i veicoli a motore, in Arch. giur. circ. e sin. strad. 1979, p. 805) - anche il veicolo che compie un brevissimo spostamento, essendo del tutto indifferente l'entità del percorso compiuto; il motociclista che si trovi nel mezzo della strada, appiedato accanto al suo veicolo, in sosta momentanea per avaria al motore (Pret. Roma 7 giugno 1960, in Giust. civ. 1960, I, 1890); il veicolo spinto o...

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