Inazione E Forme Abusive Di Addebito Penale: Concetti Vintage E Nuovi Approdi Nelle Scelte Del Pubblico Ministero

AutoreLuca Marafioti
Pagine338-346
338
dott
4/2016 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
INAZIONE E FORME ABUSIVE
DI ADDEBITO PENALE:
CONCETTI VINTAGE E NUOVI
APPRODI NELLE SCELTE
DEL PUBBLICO MINISTERO (*)
di Luca Maraoti
SOMMARIO
1. Rinnovato vigore culturale per la tematica dell’azione?. 2.
Astratte concettualizzazioni e dinamiche concrete. 3. Azione
penale e cultural lag italiano.
1. Rinnovato vigore culturale per la tematica dell’azione?
Un dato colpisce chiunque si accinga ad accostarsi di
nuovo, dopo un periodo di “pigrizia”, di silenziosa distanza,
al dibattito in materia di azione penale.
Il dato è quello dell’incremento di contributi scientif‌ici
di signif‌icativo spessore f‌inalizzati a ripensare il tema (1).
Una sorta di segnale di rinnovato vigore scientif‌ico, anche
nel tentativo di delinearne nuovi contorni concettuali.
Tali contributi, insomma, sembrano tutti, più o meno,
f‌inalizzati a ripercorrere il dibattito sull’azione penale,
proponendo riletture più o meno ampie della categoria
dogmatica.
Di fronte a questo tangibile recupero tematico, si corre,
addirittura, il rischio di farsi prendere la mano dall’entu-
siasmo, quasi che la pluriventennale navigazione codici-
stica consentisse di pronosticare ormai il raggiungimento
di rinnovati istituti in materia.
Eppure, l’odierno risveglio di attenzione verso un signi-
f‌icato meno ingessato di azione penale, anzi aperto verso
forme di rilettura concettuale, può costituire l’alveo al cui
interno innestare rinnovate sensibilità riformatrici.
Basti pensare alle disposizioni in materia di non puni-
bilità per particolare tenuità del fatto: il nuovo istituto im-
plica la scelta di non applicare “in concreto”(2) la pena a
quei fatti di reato che risultino particolarmente esigui sul
piano del disvalore oggettivo e soggettivo. Il che sembra
addirittura superare la tradizionale dicotomia tra azione
ed inazione, intesa quest’ultima come superf‌luità della
azione penale. Invero, una volta effettuata la richiesta di
archiviazione per particolare tenuità dell’offesa, il giudice
si limita a valutare il fatto con esclusivo riferimento alla
sua portata offensiva, astraendo completamente dalla
fondatezza dell’accaduto e da ogni accertamento circa la
veridicità dello stesso e della sua effettiva attribuibilità al
soggetto indagato. Vengono, così, in considerazione unica-
mente valutazioni relative al disvalore del fatto ed ai con-
seguenti prof‌ili di opportunità della punizione.
Occorre, però, prendere atto di un dato: anche le re-
centi e sempre più perfezionate opere di ricostruzione
restano avviluppate in un’evidente diff‌icoltà. Questi con-
tributi, pur dando prova di profondità ricostruttiva, re-
stano intrappolati in un limite: quello connaturato all’at-
tuale dogmatica dell’azione e derivante dall’impossibilità
o quantomeno dall’assoluta insuff‌icienza di un approccio
meramente processuale al tema. Lo dicevano attenti giu-
risti, lo diceva, con grandissima chiarezza, Nobili (3) qual-
che tempo fa.
Il limite è duplice e deriva da quello che può def‌inirsi
un “duplice tabù”: da un lato, l’obbligatorietà dell’azione
penale; dall’altro lato, l’organizzazione del pubblico mini-
stero. Tutti gli studi processuali che tentano di fornire una
nozione evolutiva in materia scontano, infatti, l’impossi-
bilità di sormontare tali refusi storici, come se fosse una
dimensione mistica.
Il dato di questa rinnovata attenzione sembra in evi-
dente controtendenza con gli scritti che accompagnavano
i primi anni di vita del codice. In tale epoca, nonostante le
molteplici suggestioni provenienti da un modello proces-
suale tanto diverso dal precedente, ogni anelito di profon-
do rinnovamento concettuale era f‌inito inesorabilmente
per restare del tutto isolato (4).
A pesare in modo decisivo, da un lato, la pressante
esigenza di una pronta e compiuta descrizione fenomeno-
logica di un assetto normativo così diverso dalla passata
esperienza processuale e, per converso, nonostante la pro-
fonda novità del quadro legislativo, la sostanziale impos-
sibilità di azzerare la complessa eredità concettuale del
codice Rocco (5).
Dall’altro lato, l’intersecarsi dell’intera tematica, ri-
spetto sia alla vecchia disciplina, sia alla nuova normativa
codicistica, con un testo costituzionale dichiaratamente
ispirato ad un canone concepito formalmente in termini
di anelastica legalità dell’azione.
È indubbio, difatti, che proprio tale ultimo canone rap-
presenta lo schermo che, da lungo tempo, impedisce un
approccio più laico al tema dell’azione penale, alimentan-
do resistenze culturali ispirate ad atteggiamenti intrisi di
stentoree affermazioni di principio, ma sostanzialmente
di chiusura rispetto ad una necessaria sensibilità verso il
gap sussistente tra f‌ini e mezzi di ogni ordinamento, ivi
compreso il nostro.
Per giunta, si tratta di una formula che, dietro l’ap-
parente rigidità, si presta ad applicazioni tutt’altro che
univoche (6). Resta, invero, sullo sfondo, una tendenziale
angusta rif‌lessione sui temi dell’ordinamento giudiziario,
condizionata (non si sa f‌ino a che punto) da una lettura
restrittiva dell’imperativo proveniente dalla legge-delega
in favore di un adeguamento dell’ordinamento stesso (7),
inteso in maniera assai timida dai riformatori; vale a dire,
nel senso di minimizzare l’adeguamento senza alcuna sen-
sibile riforma (8).

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