La modifica dell'imputazione nel giudizio d'appello avverso la sentenza di non luogo a procedere

AutoreAnnalisa Mangiaracina
Pagine193-195

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  1. - L'istituto dell'appello avverso sentenza di non luogo a procedere, pur non rientrando tra le questioni centrali del processo penale, tuttavia, presenta profili di particolare interesse con riferimento a quegli aspetti che il testo dell'art. 428 c.p.p. ha omesso di regolamentare. È, in particolare, dubbio se, nel corso del giudizio d'appello avverso la sentenza di non luogo a procedere, il procuratore generale possa far luogo, ex art. 423 comma 1, c.p.p., alla modifica dell'imputazione, qualora il fatto risulti diverso da come contestato nella richiesta di rinvio a giudizio e ritenuto dalla sentenza che definisce l'udienza preliminare.

    L'art. 423 c.p.p., come è noto, attribuisce al pubblico ministero il potere-dovere di procedere, nel corso dell'udienza preliminare, a modifiche dell'imputazione originariamente formulata con la richiesta di rinvio a giudizio 1. La ragion d'essere della norma è da rintracciare nell'esigenza di evitare una troppo anticipata «cristallizzazione dell'accusa» sin dalla fase delle indagini preliminari 2, tenuto conto della natura di work in progress dell'attività probatorio-ricostruttiva 3. Peraltro, l'attuale configurazione dell'udienza preliminare, contrassegnata da un ampliamento dei poteri di acquisizione probatoria, è tale per cui, oggi più che in passato, proprio in questa sede possono manifestarsi quegli elementi probatori che giustificano le modifiche dell'imputazione 4.

    La problematica sulla quale si intende centrare l'attenzione attiene, come anticipato, alla possibilità o meno, a fronte del silenzio mantenuto dal legislatore, di estendere l'ambito di applicazione della norma di cui all'art. 423 c.p.p. al giudizio d'appello avverso la sentenza di non luogo a procedere.

    Sul punto, ancorché il dibattito dottrinale e giurisprudenziale non sia particolarmente intenso, tuttavia, va registrata la sussistenza di un contrasto che interessa esclusivamente la giurisprudenza di merito. Ed infatti, mentre un orientamento più risalente nel tempo 5 ha escluso che al procuratore generale sia consentito, in considerazione proprio del grado di giudizio, di modificare l'imputazione, in senso opposto, si è pronunciata la giurisprudenza più recente 6. Quest'ultima si è espressa nel senso che, stante la non impugnabilità del decreto che dispone il giudizio in relazione al fatto di reato diverso o concorrente 7, nessuna lesione del diritto di difesa, sub specie di diritto al gravame, potrebbe manifestarsi a seguito della modifica dell'imputazione, ancorché effettuata nel giudizio d'appello.

    La questione, come sopra sintetizzata, costituisce certamente un aspetto non secondario della più generale problematica, concernente l'individuazione di quali norme disciplinanti la fase dell'udienza preliminare debbano trovare applicazione nel giudizio d'appello ex art. 428 c.p.p. 8, che sino ad oggi non ha trovato particolare attenzione in dottrina, diversamente dall'istituto dell'appello istruttorio del codice Rocco 9.

  2. - Il legislatore del vigente codice di rito, dopo avere collocato l'appello avverso la sentenza di non luogo a procedere, nel titolo IX del libro V, tra le disposizioni concernenti l'udienza preliminare (e non invece nel libro sulle impugnazioni), si è limitato unicamente ad indicare i soggetti legittimati a proporre appello, la forma camerale per la celebrazione del giudizio 10 e quali siano i poteri decisori spettanti al giudice ad quem a seconda che l'appello sia proposto dal pubblico ministero o dall'imputato 11.

    È pertanto compito dell'interprete procedere alla costruzione dei dati normativi mancanti, avendo come criteri di riferimento, da una parte, i principi generali dettati per le impugnazioni (e segnatamente per l'appello avverso la sentenza dibattimentale) e, dall'altra, le norme dettate per l'udienza preliminare, rispetto alla quale l'appello ex art. 428 c.p.p. costituisce un «grado» di giudizio.

    Tra le norme di carattere generale in materia di appello, vi è, come è noto, l'art. 598 c.p.p., che, analogamente a quanto già disposto dall'art. 519 dell'abrogato codice, statuisce che «in grado di appello si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado, salvo quanto previsto dagli articoli seguenti» 12.

    Ebbene, nonostante manchi tra le disposizioni dettate in materia di appello avverso la sentenza di non luogo a procedere una norma di rinvio alla disciplina dettata per l'udienza preliminare analoga a quella di cui sopra, occorre verificare se esistano argomentazioni ostative all'estensione al giudizio ex art. 428 c.p.p. della disciplina dettata per l'udienza preliminare, in mancanza di deroghe espresse.

    In particolare, in giurisprudenza, a sostegno dell'inoperatività dell'art. 598 c.p.p. nel giudizio d'appello avverso la sentenza di non luogo a procedere, si è affermato che si tratterebbe di disposizione concepita per il solo giudizio di cognizione. E ciò sulla scorta di un duplice ordine di considerazioni: da un canto, l'uso dell'espressione «giudizio di primo grado» che difficilmente potrebbe estendersi all'udienza preliminare, essendo questa più che un grado di giudizio la sede in cui si deliba la richiesta di rinvio a giudizio; dall'altro la collocazione sistematica della norma nel libro IX, dopo quelli relativi al «giudizio» ed al «procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica» 13.

    Orbene, nessuna delle cennate argomentazioni si presta ad essere accolta.

    Con riguardo alla prima, è da rilevare che l'appello avverso la sentenza di non luogo a procedere si configura comunque quale gravame contro la sentenza emessa a conclusione dell'udienza preliminare, volto ad ottenere una nuova pronuncia che ad essa si sostituisca, tant'è che: a) è stata attribuita la cognitio causae ad un giudice diverso da quello che ha pronunciato la sentenza, che nel caso di specie è la corte di appello, organo tipicamente deputato a svolgere tale funzione di controllo; b) è stata riconosciuta l'operatività del principio del tantum devolutum quantum appellatum 14; c) è stata espressamente prevista l'operatività del divieto di reformatio in peius, ove l'atto di appello sia stato proposto da parte del solo imputato 15.

    Quanto, poi, al secondo argomento fondato sulla collocazione sistematica della norma di cui all'art. 598 c.p.p., non si ritiene che questo possa essere considerato risolutivo, non potendo essere attribuita, in sede ermeneutica, valenza normativa alla mera collocazione topografica di una norma 16. Page 194

    Piuttosto, anche ammesso che al giudizio ex art. 428 c.p.p. si applicano le disposizioni dettate per l'udienza preliminare, resta da verificare la compatibilità dell'istituto della modifica dell'imputazione con il giudizio d'appello.

    Si potrebbe, infatti, obiettare che, nonostante l'espresso rinvio operato dall'art. 598 c.p.p. alla disciplina prevista per il giudizio di primo grado, alla luce della riserva di compatibilità, le norme sulle contestazioni...

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