Le impugnazioni delle misure cautelari personali nella giurisprudenza delle Sezioni Unite

AutoreNicola Triggiani
Pagine125-138

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    Relazione svolta al 1 Incontro per la Formazione Continua degli Avvocati organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi sul tema “Le misure cautelari personali e reali e i rimedi processuali” [Ostuni Marina (BR), Grand Hotel Masseria Santa Lucia, 8 aprile 2008].

@1. Premessa

Il legislatore del 1988 ha cercato di strutturare un sistema organico di rimedi contro i provvedimenti applicativi delle misure cautelari personali che si impernia sui mezzi del riesame, dell’appello e del ricorso per cassazione, in attuazione della direttiva di cui all’art. 2, n. 59, legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che prevedeva la “riesaminabilità anche nel merito del provvedimento che decide sulla misura di coercizione dinanzi al tribunale in camera di consiglio, con garanzia del contraddittorio e ricorribilità per cassazione”.

In effetti, la Costituzione (art. 111, comma 2, nella versione originaria, e comma 7, nella versione attuale) rende obbligatoria, contro i provvedimenti sulla libertà personale, la sola previsione della ricorribilità in cassazione “per violazione di legge”, ma il legislatore ordinario ha ritenuto opportuno prevedere altresì due forme, in alternativa fra loro, di impugnazione davanti a giudici di merito - per l’appunto, il riesame e l’appello -, garantendo inoltre una disciplina dei termini di impugnazione idonea a minimizzare l’illegittima restrizione della libertà personale ovvero l’omessa compiuta tutela delle esigenze cautelari.

È appena il caso di osservare che l’appello e il ricorso per cassazione - vale a dire quegli strumenti che, dopo la pronuncia di una sentenza, possono essere attivati come “mezzi ordinari di impugnazione” della sentenza stessa - sono qui proponibili, invece, nell’ambito di un procedimento “incidentale”, qual è quello cautelare: ciò ne implica una disciplina parzialmente integrativa e derogatoria rispetto a quella che, per i mezzi medesimi, è contenuta nel libro IX del c.p.p. e che, beninteso, sarà pur sempre operante, anche in questo campo, per tutto quanto non derogato esplicitamente o implicitamente in modo specifico1. Ad esempio, risulta applicabile l’art. 568, comma 5, c.p.p., secondo cui l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l’ha proposta, cosicché il riesame può convertirsi in appello, e viceversa, ove sussistano i requisiti di legge.

Una caratteristica importante dei mezzi di impugnazione operanti nel settore delle misure cautelari personali è la mancanza dell’effetto sospensivo dell’impugnazione (art. 588, comma 2, c.p.p.): l’esecuzione del provvedimento impugnato, dunque, non subisce parentesi per il solo effetto della proposizione dell’impugnazione (e neppure per l’avvio della presa in esame di quest’ultima da parte del giudice dell’impugnazione stessa), ma verrà interrotta solo per effetto dell’eventuale provvedimento di accoglimento.

La logica che presiede a questa soluzione legislativa è duplice: per un verso, si tratta di una garanzia della libertà, in rapporto alle impugnazioni del pubblico ministero contro provvedimenti che l’organo dell’accusa ritenga meritevoli di censura perché non hanno accolto (o hanno accolto solo parzialmente) le sue richieste contra libertatem; per altro verso, e cioè quando l’impugnazione sia proposta dalla persona indagata o imputata contro provvedimenti limitativi della libertà (o contro il rigetto della richiesta di far venir meno o di attenuare il regime cautelare disposto nei suoi confronti), essa è ispirata dall’intento di non lasciare nella disponibilità della persona stessa l’assoggettamento alle misure in questione e di non favorire così manovre, facilmente prevedibili, di elusione delle esigenze cautelari per le quali la misura è disposta2.

Un’eccezione all’esclusione dell’effetto sospensivo è, peraltro, prevista dall’art. 310, comma 3, c.p.p. a proposito della pronuncia di accoglimento dell’appello del pubblico ministero che con esso abbia chiesto una misura cautelare non ancora disposta, la quale non ha effetti immediati, ma li riceve soltanto dal momento che diventa definitiva (ossia non più suscettibile di impugnazione). Qui, invero, essendoci evidentemente un provvedimento “in prima battuta” che è andato in senso inverso, la scelta legislativa pro libertate è sostanzialmente in linea con la ratioPage 126 che negli altri casi esclude l’effetto sospensivo dell’impugnazione3.

La proponibilità del riesame, così come di qualsiasi altra impugnazione avverso ordinanze in materia di libertà personale, non è condizionata dalla fase del procedimento in cui l’ordinanza coercitiva è emessa: il procedimento de libertate, infatti, ha natura incidentale rispetto a quello principale e, quindi, conserva un’autonomia concettuale rispetto al procedimento di merito. Ne consegue che l’impugnazione avanti al tribunale del riesame, ai sensi degli artt. 309 e 310 c.p.p., deve ritenersi esperibile nei confronti di tutti i provvedimenti in materia di libertà personale adottati da qualsiasi giudice, sia nella fase delle indagini preliminari, sia nelle fasi successive del procedimento, sia quando detti provvedimenti siano contestuali alla sentenza che decide il processo o siano in esso contenuti: chiamate a dirimere un contrasto subito insorto nella giurisprudenza di legittimità, in ordine all’individuazione del rimedio esperibile avverso i provvedimenti sulla libertà adottati dopo la chiusura delle indagini preliminari, le S.U. della Cassazione (sent. 23 novembre 1990, Santucci) sono pervenute appunto alla conclusione secondo cui i rimedi del riesame e dell’appello dinanzi al c.d. tribunale della libertà “sono esperibili contro tutti i provvedimenti comunque adottati da qualsiasi giudice, sia nella fase delle indagini preliminari che in quelle successive”4. E tale soluzione è ormai pacificamente condivisa in dottrina e giurisprudenza, essendo l’unica compatibile con la sistematica del codice e con la ratio sottesa alla previsione di specifici mezzi di impugnazione avverso i provvedimenti in materia di libertà personale.

Dopo questa premessa in ordine ai caratteri generali delle impugnazioni cautelari è possibile passare ora ad esaminare partitamente i tre mezzi di impugnazione che il legislatore ha previsto, e, in particolare, il riesame, alla luce delle più significative pronunce delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali sono intervenute in molteplici occasioni per risolvere i contrasti interpretativi che sono sorti, inevitabilmente, in una materia così delicata come quella attinente alla tutela della libertà personale.

@2. Il Riesame

a) Provvedimenti impugnabili e soggetti legittimati. - L’istituto del riesame, disciplinato dall’art. 309 c.p.p., in effetti, non è una novità del c.p.p. vigente, essendo stato introdotto nel nostro ordinamento con la l. 12 agosto 1982, n. 532, ed è stato fortemente voluto dal legislatore delegante, il quale ha ritenuto che si trattasse di uno strumento essenziale per dare attuazione ad alcune previsioni contenute nelle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale5. In particolare, l’art. 5 § 4 C.E.D.U. del 1950 prevede che “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché esso decida, entro brevi termini, sulla legalità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale”; analogamente, l’art. 9 § 4 Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 dispone che “chiunque sia privato della propria libertà per arresto o detenzione ha diritto a ricorrere ad un tribunale affinché questo possa decidere senza indugio sulla legalità della sua detenzione e, nel caso questa risulti illegale, possa ordinare il suo rilascio”.

A dire il vero, poco prima della novella del 1982, l’allora operante Commissione europea dei diritti dell’uomo aveva affermato che già la previsione, in materia, di un ricorso per cassazione poteva soddisfare le esigenze postulate dalla citata previsione della Convenzione. Tuttavia, da un lato, i tempi lunghi per l’esame di tali ricorsi e, dall’altro, la limitazione del sindacato della Suprema Corte alla sola “legittimità” in senso stretto (e non a quella “legalità” in senso più ampio cui fa riferimento l’art. 5 § 4 C.E.D.U. e che, secondo la giurisprudenza “europea”, comprende anche la verifica circa la sussistenza in concreto dei presupposti applicativi delle misure) avevano consigliato l’innovazione, volta a garantire un controllo a tempi brevi dei provvedimenti limitativi di libertà da parte di un giudice abilitato ad andare anche a fondo nell’esame del merito6.

I provvedimenti oggetto di riesame sono individuati in modo chiaro dall’art. 309, comma 1, c.p.p.: si tratta delle ordinanze che applicano per la prima volta (ab initio) una misura coercitiva a norma degli artt. 281-286 c.p.p., ivi comprese quelle emesse all’udienza di convalida del fermo o dell’arresto in flagranza (e fatta eccezione per le ordinanze emesse dal tribunale della libertà che dispongono una misura coercitiva a seguito di appello del pubblico ministero contro un provvedimento del giudice che abbia respinto una sua precedente richiesta di applicazione di una misura, nei confronti delle quali è proponibile soltanto ricorso per cassazione ex art. 311 c.p.p.).

Presupposto del riesame è, dunque, l’adozione di una misura coercitiva, e cioè l’accoglimento della richiesta del pubblico ministero. Ciò spiega il fatto che interessato all’impugnazione - e quindi legittimato soggettivamente alla richiesta di riesame - sia il solo imputato (espressione comprensiva dell’indagato ex art. 61, comma 1, c.p.p.) o il suo difensore.

La limitazione ai soli provvedimenti applicativi di misure - con esclusione di quelli che in altro modo incidano in materia (ad esempio rigettando la richiesta di una misura da parte del pubblico ministero oppure una richiesta di...

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