Immissioni e normale tollerabilità condominiale

AutoreLuigi Salciarini
Pagine399-400

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Con la recente sentenza in rassegna la Corte di Cassazione ripropone le argomentazioni di quello che può essere ormai considerato come un orientamento giurisprudenziale consolidato in merito all'applicazione dell'art. 844 c.c. in ambito condominiale 1.

Com'è noto l'articolo in questione regola la disciplina delle immissioni nocive tra proprietà limitrofe statuendo il divieto di tali attività dannose subordinatamente al verificarsi di alcune condizioni legali tra le quali il superamento della "normale tollerabilità" in rapporto "alla condizione dei luoghi".

La fattispecie considerata dalla giurisprudenza, in verità, oltrepassa lo stretto ambito di applicazione del citato articolo per coinvolgere una più ampia fattispecie - di origine pattizia - di frequente verificazione all'interno del fenomeno condominiale.

In altri termini, oltre a considerare la disciplina legale la giurisprudenza si è posta il problema della validità e degli effetti di un'eventuale clausola del regolamento di condominio - di natura contrattuale - che imponga un utilizzo della proprietà esclusiva secondo parametri più rigidi di (o comunque diversi rispetto a) quelli previsti dall'art. 844 c.c.

In via di massima esemplificazione è possibile riassumere le argomentazioni della sentenza - e del conforme orientamento giurisprudenziale - attraverso il seguente schema: a) come principio generale si ritiene che l'art. 844 c.c. (regolante i limiti del godimento del proprio fondo rispetto al fondo limitrofo) sia suscettibile di applicazione anche in ambito condominiale 2;

b) si ritiene, altresì, che i condomini - al fine di ottenere una regolamentazione dell'uso delle proprietà esclusive più conforme alle loro esigenze - possano legittimamente 3 stipulare una clausola regolamentare (evidentemente di natura contrattuale) contenente una limitazione del godimento delle proprietà esclusive più stringente rispetto alla disciplina legale. Rientrano in tali ipotesi, ad esempio, quelle clausole che, come per la fattispecie oggetto della nostra sentenza, prevedano che i singoli condomini non possano utilizzare le proprietà esclusive per "usi contrari alla tranquillità".

c) una siffatta clausola, come qualsiasi altra clausola contrattuale di un regolamento di condominio, possiede, inoltre, la capacità di vincolare non solo tutti i condomini stipulanti ma anche i successivi aventi causa grazie agli alternativi ed equivalenti istituti della trascrizione e/o dell'esplicita e costante accettazione negli atti compravendita 4;

d) al fine dell'applicazione di una tale clausola, infine, si ritiene che la valutazione delle attività assunte come nocive non vada effettuata secondo i parametri dell'art. 844 c.c. ma che, invece, occorra utilizzare parametri più rigorosi in quanto previsti dalla clausola regolamentare di natura pattizia.

Vale la pena di precisare che, nelle fattispecie considerate dalla giurisprudenza, la clausola del regolamento di condominio contrattuale che stabilisce più penetranti limiti all'utilizzo della proprietà esclusiva può essere redatta, prevalentemente, secondo due modalità: 1) individuazione dei limiti all'uso della proprietà esclusiva mediante esplicita (e tassativa) elencazione delle attività vietate: 2) individuazione dei limiti all'uso della proprietà esclusiva mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare 5.

Tali diverse modalità di redazione della clausola determinano, evidentemente, una diversa modalità di verifica della liceità della situazione di fatto.

Nel primo caso per valutare se una determinata destinazione e/o utilizzazione della proprietà esclusiva sia vietata dalla clausola sarà sufficiente verificare se tale determinata destinazione/utilizzazione sia compresa o meno nell'elenco delle attività espressamente elencate come vietate.

Nel secondo caso, invece, occorrerà verificare l'effettiva capacità della destinazione/utilizzazione di fatto attuata a produrre gli inconvenienti al cui impedimento è posta a presidio la clausola regolamentare.

Mentre nel primo caso non sorgono particolari problemi interpretativi in quanto la verifica della destinazione/attività della proprietà esclusiva richiede un semplice procedimento di comparazione tra l'elenco contenuto nella clausola regolamentare e la situazione di fatto, nel secondo caso le argomentazioni adottate dalla giurisprudenza - per giustificare il procedimento di verifica della liceità della destinazione/attività della proprietà esclusiva - rivelano, a nostro assai sommesso parere, il loro aspetto meno meditato.

Si sostiene, infatti, che la valutazione della legittimità regolamentare di una determinata destinazione della proprietà esclusiva vada effettuata sia prescindendo dai parametri previsti dall'art. 844 c.c. per il rilevamento della presenza di immissioni nocive sia secondo un criterio "astratto" 6 potenzialmente svincolato dalla necessità di verifiche tecniche sulla situazione di fatto.

In altri termini si sostiene che non occorra accertare se una determinata destinazione e/o...

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