Contrasto dell'immigrazione clandestina: profili normativi e politiche di integrazione

AutoreUmberto Di Nuzzo
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  1. Cause ed effetti del fenomeno migratorio. - Come noto, la storia dell'uomo è caratterizzata da una costante mobilità: gli spostamenti di singoli, gruppi o interi popoli alla ricerca di migliori condizioni di vita sono stati da sempre attivati da cause di tipo economico, ma anche da guerre, conflitti sociali, intolleranza religiosa.

    In altre parole, l'immigrazione è sostanzialmente legata a «fattori di spinta» quali: la diseguale distribuzione della ricchezza, l'instabilità geopolitica delle regioni di provenienza, provocata dalle guerre e dai conflitti etnici e religiosi, e il drammatico impoverimento di molte aree del Terzo Mondo.

    Per meglio inquadrare i problemi dell'immigrazione clandestina non si può dimenticare la storia degli emigranti italiani 1, che è analoga a quella dei clandestini di oggi, solo che in questi ultimi venti anni l'Italia ha conosciuto una trasformazione, passando da primo Paese europeo d'emigrazione a meta dei cosiddetti «viaggi della morte».

    Tale nuova realtà, ormai consolidata nella società italiana, ha determinato un acceso dibattito 2 il cui punto cruciale è relativo alle possibili strategie attuabili per governare con intelligenza ed umanità i complicati aspetti dell'immigrazione clandestina

    Sempre con riferimento all'analisi storica del fenomeno è da rammentare che i negrieri dell'Ottocento, quando salpavano dall'Africa per l'America, erano ben attenti a fare arrivare a destinazione i mercantili con gli schiavi poiché venivano pagati alla consegna.

    Oggi, l'affare si consuma a monte: i soldi ai trafficanti vengono consegnati prima della partenza e, pertanto, non importa ai moderni mercanti di esseri umani che le «carrette» affondino dopo qualche miglio.

    Detto parallelismo è utile per affrontare un problema che, seppur drammatizzato dalle cronache ormai quotidiane dei tentativi di sbarchi sulle nostre coste che costituiscono spesso un transito 3 per altri Stati europei, come Germania e Francia, non riguarda solo i clandestini ma anche gli immigrati regolari, quelli che nel nostro Paese lavorando onestamente contribuiscono alla crescita economica.

    A tal proposito va sottolineato che un «fattore di attrazione» determinante è la convinzione dei Paesi d'immigrazione, sia essa legale o illegale, di poter migliorare la propria condizione nello sviluppo economico ospitando lavoratori più disponibili e meno onerosi dal punto di vista economico.

    E proprio questa dimensione restrittiva del fenomeno migratorio ha determinato in un recente passato che ciascun Paese europeo abbia inizialmente adottato un suo modello di assimilazione-integrazione.

    La Francia ha scelto di percorrere una politica di integrazione degli immigrati, assimilandoli alla propria cultura ed incentivandoli ad abbandonare l'originaria identità etnico-culturale e linguistica allo scopo di farli diventare dei veri e propri cittadini francesi.

    L'Inghilterra ha invece adottato un modello che, basandosi sul principio che gli immigrati non potrebbero mai diventare «buoni» cittadini inglesi, ha consentito agli stranieri di mantenere le proprie tradizioni e culture.

    La Germania, che è il più grande Paese europeo di immigrazione, ha considerato gli stranieri economicamente utili ma non ne ha favorito l'insediamento definitivo.

    L'Italia infine ha palesato la difficoltà ad abbandonare la vecchia cultura di Paese di emigranti per passare a quella di Paese di immigrazione e detta inadeguatezza ha condizionato la gestione del fenomeno cui si è fatto fronte attraverso continue sanatorie concesse ai clandestini.

    Oggi si assiste invece ad un diverso approccio culturale al fenomeno migratorio che non è visto unicamente nell'ottica restrittiva (del profitto) ma che viene percepito - nell'era della globalizzazione - come una emergenza da «governare» e non da subire.

    La globalizzazione, la liberalizzazione dei commerci e l'integrazione economica incoraggiano infatti la mobilità lavorativa, tendenza alimentata sia dal divario negli standard di vita tra Paesi poveri e ricchi sia dall'evoluzione demografica di questi ultimi.

    Considerato dunque che per ragioni demografiche, economiche e sociali le migrazioni non possono essere fermate, è necessario prevedere programmi di cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, calcolarne i costi di welfare ed attuare una liberalizzazione regolata e ponderata, anche per non favorire il sistema criminogeno che spesso è dietro al fenomeno.

  2. La legislazione in materia di immigrazione legale o illegale. - Tra i provvedimenti normativi a livello interno che disciplinano il grave e sentito problema dell'immigrazione clandestina sono da menzionare:

    - la legge 30 dicembre 1986, n. 943; - la legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. «legge Martelli»); - la legge 6 marzo 1998, n. 40 (c.d. «legge Turco-Napolitano»);

    - il D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, recante il «Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»;

    - la legge 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. «legge Bossi-Fini»).

    Con riguardo alla legge 30 dicembre 1986, n. 943, è da dire che questa salì alla ribalta - specie nel suo primo periodo di vigenza - per la regolarizzazione delle situazioni pregresse: la sanatoria tuttavia non risolse il problema della clandestinità anche perché affrontò il fenomeno in un'ottica «poliziesca» 4.

    È altresì da evidenziare - in estrema sintesi - che la legge in esame:

    - è riferita solo al lavoro dipendente; - non risolve i problemi dei profughi e dei rifugiati; - non affronta la condizione degli studenti dei Paesi a basso reddito;

    - non contempla una reale copertura finanziaria per l'attivazione degli strumenti idonei a garantire concretamente quella parità di trattamento e di diritti che ne costituiscono il presupposto.

    Detti limiti hanno portato il legislatore ad intervenire nuovamente attraverso il decreto legge n. 416 del 30 dicem-Page 10bre 1989, convertito con modifiche nella legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. «legge Martelli»).

    Anche questa legge, come quella del 1986, prevedeva una sanatoria e si basava sul principio del «doppio trattamento», ossia massima apertura nei confronti dei presenti regolarizzati, chiusura nei confronti di coloro che arrivavano successivamente.

    A differenza però del passato non richiedeva più all'immigrato la capacità di dimostrare di avere un lavoro dipendente quale condizione per regolarizzare la propria posizione.

    Non è un caso infatti che il numero delle persone regolarizzate a norma della legge n. 39/1990 sono state notevolmente superiori rispetto a quelle che si regolarizzano a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 943/1986.

    Occorre poi rilevare che la normativa del 1990 vigeva prevalentemente nei confronti degli extracomunitari in quanto ai cittadini comunitari si applicavano le normative residuali del T.U.L.P.S. e del Regolamento di pubblica sicurezza, oltre che norme speciali e, solo se più favorevoli, le disposizioni previste dalla legge n. 39/1990.

    La legge n. 39 del 1990 è stata successivamente innovata dal decreto legge 14 giugno 1993, n. 187 (recante: «Nuove norme in materia di trattamento penitenziario, nonché sull'espulsione dei cittadini stranieri») convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296.

    Dopo la «legge Martelli» il nostro legislatore è intervenuto in modo uniforme a disciplinare la materia relativa all'immigrazione extracomunitaria solo con la legge 6 marzo 1998, n. 40 (c.d. «legge Turco-Napolitano»).

    La «legge Turco-Napolitano», che si applica ai cittadini extracomunitari e agli apolidi, restandone di massima esclusi i cittadini dell'Unione Europea, ha quali obiettivi fondamentali:

    - la programmazione dei flussi d'ingresso per lavoro;

    - il contrasto dell'immigrazione clandestina;

    - l'aggravamento delle sanzioni penali per il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

    Da un breve esame di detta legge, emerge che i provvedimenti negativi da applicare nei confronti degli stranieri rimangono:

    - il respingimento alla frontiera (art. 8);

    - l'espulsione (artt. 11-14).

    Il primo provvedimento si applica nei confronti degli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti per l'ingresso nel territorio italiano dalla normativa sull'immigrazione e nei confrnti di quelli che entrano nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e sono fermati all'ingresso o subito dopo.

    L'espulsione, nelle sue diverse forme, è invece un provvedimento negativo che interviene nei confronti dello straniero che è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera o vi sia rimasto non rispettando le disposizioni in materia di permesso di soggiorno.

    Altra disposizione di rilievo è quella prevista dall'art. 10, comma 7, che consente agli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza operanti in zone di confine e nelle acque territoriali di effettuare controlli, ispezioni e perquisizioni ove abbiano fondato sospetto di ritenere che sia stato commesso uno dei reati previsti dalla norma in parola.

    La norma sancisce altresì che i mezzi di trasporto sequestrati nel corso di operazioni di polizia volte a contrastare l'immigrazione clandestina non possono in alcun caso essere alienati, ciò al fine di impedire alle organizzazioni criminali di riacquistare i propri mezzi di trasporto utilizzando degli insospettabili prestanome.

    È ora da evidenziare che il Governo, in attuazione dell'art. 47 della suindicata legge, ha provveduto ad emanare il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, integrato dai decreti correttivi n. 380/1998 e n. 113/1999, recante il «Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero».

    Per effetto del suddetto decreto legislativo sono stati istituiti i tanto criticati Centri di accoglienza 5 (art. 14) ove, su disposizione del questore, lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento non...

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