Il Reato di Pedofilia e l'ascolto del Minore

AutorePatrizia Gallucci
Pagine121-134

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@1. Premessa

La locuzione «reato di pedofilia», evidentemente non corretta sotto un profilo prettamente tecnico giuridico, è servita in realtà ad individuare il taglio che questa relazione doveva avere e, in particolare, la necessità che l'attenzione fosse focalizzata sulle peculiarità che il reato di violenza sessuale assume quando esso venga perpetrato ai danni di minori e, in particolare, di minori in tenera età.

Sarà questo, dunque, il tema focalizzato al fine di individuare i principi cardine delle fattispecie criminose e la loro evoluzione normativa, nonché le problematiche legate al loro accertamento che coinvolge inevitabilmente nel processo soggetti particolarmente deboli e che, per le loro intrinseche peculiarità, non possono essere trattati con le medesime tecniche di esame utilizzate per i soggetti adulti.

Non si può peraltro prescindere da una rapida analisi della struttura del reato di violenza sessuale e della sua evoluzione normativa.

@2. Elaborazione parlamentare della legge n. 66 del 1996

La legge 15 febbraio 1996 n. 66 è stata il prodotto di una lunga elaborazione tutta volta al superamento di una normativa con una impronta senza dubbio fortemente «ideologica» che rispondeva alla tradizione giuridica italiana e alla visione della morale di quel tempo; va peraltro osservato che l'impostazione italiana era tutt'altro che isolata visto che in diversi Stati era stata adottata analoga impostazione (il codice imperiale tedesco insisteva per la collocazione dei reati sessuali fra quelli contro il buon costume così come il codice spagnolo del 1870; anche più di recente il codice penale norvegese e quello danese del 1930 insistevano sull'offesa al buon costume) 1.

@3. Nuova collocazione delle norme

La prima osservazione da compiere sulla legge 66/96 è la sua collocazione nel titolo dei delitti contro la persona e, in particolare, contro la libertà personale.

In realtà, se si riflette sul reale significato elaborato anche nella letteratura penalistica o costituzionalistica di libertà personale (intesa come libertà da limiti illegittimi posti ad impedire l'estrinsecazione fisica dei soggetti) e sulle differenze rispetto al concetto di libertà morale (intesa come assenza di impedimenti alla libera formazione del volere), si intuisce immediatamente che più corretta sarebbe stata una collocazione delle nuove norme nella sezione III e non II del capo III, trattandosi piuttosto di «violenza privata sessuale».

Risulta comunque positiva evoluzione quella di aver modificato la vecchia impostazione pubblicistica ed aver riconosciuto la libertà sessuale come bene afferente esclusivamente alla persona; tale «centralità» della persona ha influenzato, poi, la nuova disciplina dei reati commessi ai danni di un malato di mente e, ipotesi qui da approfondire, del minore, che si impernia ora sulle condizioni di inferiorità fisica o psichica della p.o. e non più soltanto sull'esistenza di una malattia mentale.

@4. Unificazione delle fattispecie di violenza carnale e atti di libidine

La legge sui reati contro la libertà sessuale ha unificato le fattispecie di violenza carnale e di atti di libidine; fondamento di tale unificazione è il principio che la violenza sessuale comporta sempre la stessa umiliazione e la stessa offesa all'integrità personale che prescinde quindi, dall'organo violato o dalle modalità esecutive, non sempre identificandosi con la violazione della integrità fisica.

Deve osservarsi inoltre che il legislatore non ha previsto una tutela specifica per le molestie sessuali, così come non è stata prevista sanzione penale per gli atti di esibizionismo; comportamenti che vanno di volta in volta meglio qualificati o riportandoli al più ampio concetto di atti sessuali, punibili come ipotesi di minor gravità, o inquadrandoli in diverse fattispecie che meglio li descrivano (violenza privata, ingiurie ecc.).

Nel concetto di atti sessuali, secondo la definizione ormai consolidata nella giurisprudenza della Corte di cassazione dalla sentenza Di Francia del 1998 in poi, «deve includersi... tutti quelli, indirizzati verso zone erogene, che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualitàPage 122 del soggetto passivo ed ad entrare nella sua sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica, sì da assumere un significato prevalentemente oggettivo e non soggettivo come, invece, avveniva per gli atti di libidine con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare».

La nozione di atto sessuale nella sua generica definizione può creare problematiche relative al principio di tassatività della fattispecie penale, non direttamente sancito dalla Costituzione ma direttamente discendente da quello di legalità anche se, in concreto, la Cassazione ha escluso l'indeterminatezza della suddetta nozione 2.

@5. La procedibilità

Sostanziali modifiche in tema di procedibilità erano già state introdotte dalla legge 66/96 che ha pevisto, là dove vittima di abuso sessuale fosse un minore, la procedibilità d'ufficio:

1) per i fatti commessi ai danni di minori di anni 10, attuati con violenza o con minore «consenziente» (con i limiti segnalati di tale presunta «consapevolezza»);

2) per i fatti commessi in danno dei minori tra i dieci e i quattordici anni, ma in questo caso, la procedibilità era legata all'uso di violenza, minaccia o abuso di potere oppure nelle altre ipotesi di cui all'art. 609 bis;

3) per i fatti commessi dal genitore (legittimo, naturale ed ora anche adottivo) e, novità rilevante, anche dal convivente del genitore della persona offesa, situazione che si rileva frequentissima nell'esperienza quotidiana. In questo ultimo caso la condotta era punibile soltanto nell'ipotesi in cui il reato fosse stato commesso ai danni di un minore degli anni 16, altrimenti il reato sussisteva soltanto nell'ipotesi in cui fosse stata usata violenza, minaccia o abuso di autorità;

4) quando il fatto è commesso dal tutore, da persona cui comunque il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza e custodia. Anche in questo caso la condotta riceveva sanzione soltanto nel caso in cui il minore avesse meno di 16 anni, altrimenti il reato era integrato soltanto in caso di abuso commesso con violenza, minaccia o abuso di autorità;

5) nell'ipotesi di abuso sessuale commesso dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni;

6) per il fatto connesso ad altro che è procedibile d'ufficio. In questi casi molto spesso, soprattutto quando si tratti di abusi intrafamiliari in danno di minori, il reato è connesso a quello di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p.

Altrettanto può dirsi per il reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p. che, quasi sempre, ricorre nel caso di abuso sessuale commesso in danno di minore, che viene sempre sottoposto a violenze o minacce finalizzate ad evitare la denuncia dei fatti (non dire nulla a nessuno, non dirlo alla mamma, se lo dici muori, se lo dici muore la mamma o, ancora, se lo dici ti portano via da casa ecc.).

Ancora si trovano spesso connessi agli abusi sessuali i reati di cui agli artt. 612 c.p., 582, 583 c.p. (lesioni personali), 73 e 80 L. 309/90, 605 c.p. (sequestro di persona) e quello di cui agli artt. 3 e 4 L. 20 febbraio 1958 n. 75 (induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione).

Importante ricordare come nel caso in cui si acquisiscono precisi elementi a sostegno della conoscenza da parte di uno dei genitori degli abusi commessi ai danni della figlia o del figlio minore - spesso ciò avviene per la madre - si configura un concorso nel reato ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p. per avere omesso di impedire un evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire (il ripetersi degli abusi sessuali), quindi si verifica un concorso omissivo nel reato commissivo attribuito all'abusante.

Ricordiamo infine che la Suprema Corte più volte si è pronunciata nel senso di affermare la permanenza della procedibilità d'ufficio anche nel caso in cui il reato connesso venga dichiarato estinto per amnistia o prescrizione, o anche nell'ipotesi in cui in relazione a tale reato venga pronunciata sentenza di assoluzione, con formula diversa dall'insussistenza del fatto;

7) in ogni ipotesi in cui vengono volontariamente commessi atti sessuali in presenza di un minore degli anni 14, sia o meno consenziente;

8) nel caso di violenza di gruppo di cui all'art. 609 octies.

Appariva già allora evidente la precisa volontà del legislatore di approntare una più efficace tutela per i minori introducendo la procedibilità d'ufficio in caso di minori in tenerissima età (fino a dieci anni) o legando comunque una procedibilità d'ufficio ai fatti di maggior rilievo e gravità. Con la legge 38/06 questa volontà del legislatore ha trovato più ampia espressione prevedendo che, in ogni caso si proceda d'ufficio per le ipotesi di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis, quando la vittima sia persona minore degli anni diciotto ed estendendo la medesima procedibilità, prima limitata al fatto commesso del genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza, anche alle ipotesi in cui l'abusante sia l'ascendente del minore.

La tutela prevista per i minori vittime di abuso sessuale ha trovato una ulteriore realizzazione con la L. 38/06 che ha esteso la tutela dell'art. 609 quater anche agli infrasedicenni, quando autore dell'abuso sia il convivente del genitore - naturale o adottivo - ed anche ai minori che hanno compiuto i sedici anni punendo, nel secondo comma dell'art. 609 quater, sia pur con una pena più contenuta (la reclusione da tre a sei anni), gli atti sessuali commessi dall'ascendente...

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