Il reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 C.P., in relazione alla riforma sulla depenalizzazione, ed il rapporto tra tale reato e quello di riduzione in schiavitù

AutoreChiara Picardi
Pagine11-13
409
dott
Rivista penale 5/2016
DOTTRINA
IL REATO DI MALTRATTAMENTI
DI CUI ALL’ART. 572 C.P.,
IN RELAZIONE ALLA RIFORMA
SULLA DEPENALIZZAZIONE, ED
IL RAPPORTO TRA TALE REATO
E QUELLO DI RIDUZIONE
IN SCHIAVITÙ
di Chiara Picardi
Tra i delitti contro l’assistenza familiare, l’articolo 572
del codice penale prevede e punisce i maltrattamenti con-
tro familiari e conviventi.
Ebbene tale norma incrimina la condotta reiterata nel
tempo di colui il quale pone in essere vessazioni morali
e f‌isiche nei confronti di una persona sottoposta alla sua
autorità od a lui aff‌idata per ragioni di educazione, istru-
zione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una
professione o di un’arte.
La condotta delittuosa si sostanzia, dunque, nell’inf‌lig-
gere in maniera abituale e protratta nel tempo una serie
di sofferenze f‌isiche e morali nonché umiliazioni e morti-
f‌icazioni individuali alla persona offesa, sfruttando la con-
dizione di sudditanza in cui si trova quest’ultima nei con-
fronti del soggetto attivo del reato. Il particolare rapporto
che lega la persona offesa ed il reo ed ancora la struttura
del reato, ovvero la reiterazione nel tempo di più condotte
offensive, differenziano il reato di maltrattamenti contro
familiari e conviventi dai meri reati di violenza privata e
minaccia, di cui invero ne costituiscono condotte tipiche.
Infatti, i maltrattamenti possono ben consistere in condot-
te delittuose che, se valutate autonomamente, conf‌igura-
no i reati di violenza privata, minaccia o addirittura lesioni
e, f‌ino ad un recente passato, anche di ingiuria.
Invero giova evidenziare che il decreto legislativo n. 7
del 2016, in vigore dal 6 febbraio 2016, ha depenalizzato
una serie di reati tra cui anche il delitto di ingiuria; ebbe-
ne tale novella legislativa, seppur privi di rilevanza penale
tutte le condotte ingiuriose, con eff‌icacia retroattiva, in
virtù di quanto disposto in materia di successione di nor-
me penali nel tempo dall’articolo 2 del codice penale, non
priva di disvalore sociale tali condotte.
Quindi nonostante il reato di ingiuria non costituisca più
fattispecie autonoma di reato, è consentito, conformemente
al principio di legalità o meglio di tassatività e determina-
tezza della norma penale, far rientrare nella condotta tipica
incriminata dal ben più grave reato di maltrattamenti con-
tro familiari e conviventi una condotta offensiva dell’onore e
del decoro di una persona. Il reato di ingiuria è ormai stato
privato di una propria dimensione autonoma di reato; ciono-
nostante, le condotte tipiche originariamente riconducibili
a tale norma ben potranno, o addirittura dovranno, essere
valutate dall’interprete unitamente ad altre azioni delittuo-
se, come condotte riconducibili nell’articolato concetto di
maltrattamenti di cui all’articolo 572 del codice penale.
Il bene giuridico tutelato dalla suddetta norma è la mo-
rale delle famiglie, ovvero il corretto sviluppo della per-
sona all’interno di una fondamentale formazione sociale,
tutelata anche dalla Costituzione agli articoli 29 e 30 e 31,
oramai sia come famiglia fondata sul matrimonio sia come
famiglia di fatto.
La recente legge n. 172/2012 modif‌icando la norma in
esame ha inserito, infatti, sia nella rubrica che nel precet-
to della stessa, la parola convivente al f‌ine di garantire una
tutela anche alle famiglie di fatto.
Ratio legis coincide, dunque, con la necessità di garan-
tire che i rapporti familiari o i rapporti lavorativi o comun-
que caratterizzati dal prof‌ili educativi fondino lo sviluppo
psico-f‌isico della persona nel rispetto della stessa.
Ebbene, la casistica giurisprudenziale, nel tempo, ha
sottoposto all’interprete un importante interrogativo con-
cernente l’applicazione pratica, nonché i rapporti, tra l’ar-
ticolo 572 c.p. e l’articolo 600 c.p.
Al f‌ine di risolvere tale questione, non solo dogmatica,
bensì ricca di risvolti pratici di non poco conto è oppor-
tuno ricordare, seppur brevemente, i principi e le linee
guida tracciate dalla Corte Regolatrice al f‌ine di risolvere
il conf‌litto tra norme incriminatrici, ovvero verif‌icare se
due norme possano o meno concorrere o al contrario se ne
possa applicare solo una al caso concreto.
L’articolo 15 del codice penale, norma di riferimento
nel concorso apparente di norme, sancisce il principio di
specialità in virtù del quale il conf‌litto tra norme incrimi-
natrici si risolve applicando la legge speciale, salva diver-
sa previsione normativa.
Sussiste rapporto di specialità tra due norme allor-
quando vi sia identità di condotta delittuosa, tuttavia l’una
sia caratterizzata da taluni elementi di specialità rispetto
all’altra; come accadeva per il reato di ingiuria, recente-
mente depenalizzato, e l’oltraggio a pubblico uff‌iciale o per
l’oltraggio a magistrato in udienza in cui la condotta ingiu-
riosa accomunava le fattispecie in esame, tuttavia queste
ultime erano speciali rispetto al depenalizzato delitto di
ingiuria di cui all’art. 594 c.p. per la qualità soggettiva ri-
vestita dalla persona offesa del reato, che subisce l’ingiuria
nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi dell’art. 341 bis,
ovvero nel caso si tratti dell’art. 343 c.p. in udienza, oltre
che per la diversità del bene giuridico tutelato.
Invero l’elaborazione pretoria testimonia che sono
frequenti le ipotesi in cui una determinata fattispecie sia
astrattamente riconducibile a più norme incriminatrici
tutte, quantomeno apparentemente, applicabili; come ac-
cade per l’articolo 2637 c.c. e 501 c.p., per gli articoli 2 e 8
D.L.vo 74/2000 e l’art. 640, comma 2 n.1, c.p. od ancora per
l’articolo 640 bis c.p. e gli artt. 316 bis e ter c.p. (1).

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