Il principio di legalità e la certezza del diritto

AutoreAntonino Fallone
Pagine705-712

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@1. Il principio di legalità nello Stato Assoluto e nello Stato Liberale

- Con il principio di legalità, che come è noto costituisce uno dei principi cardine del nostro sistema penale, appare strettamente connesso il principio di tassatività e del correlato valore della certezza del diritto. Ed infatti, se il principio di legalità afferma che non può esistere un reato se non vi sia una norma di legge che qualifichi come tale (reato) il fatto posto in essere dall'agente, stabilendo al contempo la relativa sanzione penale, a chiarimento di tale principio di legalità (nullum criminem sine lege), il principio di tassatività precisa che la previa norma di legge che prevede il fatto/ reato deve essere formulata in termini chiari e precisi, in modo tale da consentire l'esatta individuazione di ciò che costituisce illecito penale, e conseguentemente, di ciò che non costituisce illecito penale (nullum criminem sine lege certa).

Per comprendere quindi l'esatta portata del principio di tassatività (e quindi del principio della certezza del diritto), occorre preliminarmente soffermarsi sulla natura e sull'essenza del principio di legalità, del quale, come detto, il principio di tassatività costituisce una particolare specificazione.

Il principio di legalità, come è noto, costituisce un precipitato della cultura illuminista che successivamente si sostanziò in quella cultura più propriamente giuridica detta del positivismo giuridico.

Ed invero, per ben comprendere la valenza del principio di legalità, occorre tener presente due diversi aspetti e valenze del principio di legalità.

Tale principio infatti si manifestò inizialmente (sec. XVII, e quindi in epoca antecedente all'illuminismo) come estrinsecazione ed affermazione della supremazia del potere statale; esso infatti coincise con il nascere dello Stato moderno Assoluto. Successivamente invece (seconda metà del sec. XVIII primi decenni sec. XIX), in concomitanza con l'affermarsi dei principi dell'illuminismo, e il formarsi dello Stato moderno Liberale, il principio di legalità si manifestò quale limite al potere statale a garanzia e tutela dell'individuo sottoposto a tale potere.

Nella prima accezione, il principio di legalità si manifestò quando con la nascita dello Stato moderno assoluto si affermò progressivamente il processo di monopolizzazione della produzione giuridica da parte dello Stato.

In precedenza (ovvero nella società medievale) infatti, il diritto positivo, il diritto scritto, ovvero il diritto prodotto dalle rispettive fonti legislative a ciò preposte, costituiva la parte, qualitativamente e quantitativamente, minore dell'intero ordinamento giuridico, atteso che la parte prevalente di detto ordinamento era costituito dal c.d. diritto naturale, ovvero da quell'insieme di norme che trovavano il proprio fondamento, non già in una fonte normativa ben individuata e determinata, quale la fonte legislativa, bensì nella tradizione (mores) che a sua volta faceva riferimento ad un supposto esistente sistema di norme immutabili ed universali che avevano il proprio fondamento e validità, a seconda delle diverse concezioni, o nella volontà divina, o nella natura dell'uomo (ritenuta anch'essa immutabile ed universale); norme queste che in quanto espressione di tale diritto naturale, inteso come diritto universale ed immutabile, non potevano che prevalere sulle norme del diritto posto dalle fonti legislative, che diversamente dal diritto naturale erano per definizione un diritto ´inferioreª (in quanto diritto non universale e non immutabile); ne derivava che il sistema del diritto naturale (che nella società medievale finiva in parte col coincidere con il sistema di ´diritto comuneª) costituiva un ´limiteª al potere delle fonti legislative.

Era questa essenzialmente, la concezione giusnaturalistica del diritto.

Tale concezione entrò in crisi proprio con il nascere dello Stato moderno Assoluto. Ed invero, l'affermarsi dello Stato Assoluto, appunto perché tale, non poteva certo tollerare l'esistenza di limiti esterni a se medesimo. Questa era essenzialmente la concezione del potere statale (e del correlato modo d'intendere l principio di legalità) formulata da HOBBES nel suo ´Il Leviatanoª [1651]. La teoria di HOBBES, infatti, presuppone che in un ipotetico stato di natura, in assenza di un potere costituito ed effettivo, regna il caos e la lotta continua di tutti contro tutti (homo homini lupus), e che per prevenire ed evitare tale situazione l'unico rimedio è rappresentato per l'appunto dalla costituzione di un potere centrale assoluto in grado di porre fine e Page 706 prevenire queste continue lotte di tutti contro tutti, ed assicurare quindi una pacifica e duratura convivenza tra i consociati. Ogni limitazione al potere assoluto del sovrano (quale deriverebbe dal riconoscimento di un diritto naturale quale limite al potere legislativo del sovrano assoluto) costituirebbe inevitabilmente un indebolimento del potere assoluto del sovrano che conseguentemente non sarebbe in grado di assicurare la pacifica convivenza tra i consociati. Venendo alla seconda accezione del principio di legalità, ovvero quella che si affermò essenzialmente sul finire del XVIII secolo nonché nei primi decenni del secolo XIX, essa coincise, come già detto, con il nascere dello Stato moderno Liberale, ovvero lo Stato Costituzionale, e cioè lo Stato in cui la norma fondamentale dell'ordinamento statale non si limita a riconoscere il potere statale, ma al contempo stabilisce i limiti di questo potere a tutela del singolo individuo. Tra i primi sostenitori di tali principi vi fu il filosofo inglese John Locke (1637-1704), con le sue opere Trattati sul Governo. Successivamente, in epoca illuminista, tali principi vennero ripresi ed approfonditi dal francese Montesquieu (1689-1755), il quale formulò a tal proposito la teoria della separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Tale separazione, infatti, è posta a tutela del singolo cittadino contro i possibili abusi del potere centrale; a tal fine infatti si stabilisce che l'individuo può essere sottoposto a sanzione penale solo se il fatto dallo stesso commesso sia previsto preventivamente da una norma generale e astratta posta in essere dal potere legislativo; al contempo si stabilisce che il compito di accertare se nel caso concreto il singolo individuo abbia realmente realizzato il fatto previsto e punito dalla norma di legge, spetti ad un organo (giudice) diverso sia da quello costituente il potere legislativo sia da quello costituente il potere esecutivo (amministrativo); potere esecutivo e potere giudiziario che a loro volta sono subordinati al potere legislativo, nel senso che agiscono nei limiti e con le forme stabilite da previe norme giuridiche poste per l'appunto dal potere legislativo.

Al potere legislativo quindi si attribuisce un ruolo fondamentale del nuovo stato liberale, il che trova giustificazione e fondamento nella teoria della rappresentatività, per cui detto potere (e conseguentemente le sue decisioni) non è più espressione di una ristretta oligarchia, ma dell'intera popolazione, mediante lo strumento della rappresentanza politica.

@2. Il principio di legalità inteso anche come limite al potere giudiziario: il principio di tassatività

- Ma il principio di legalità, inteso quale principio fondamentale posto a tutela del singolo contro gli eventuali abusi del potere statale, ben presto si concepì non solo come limite all'abuso del potere legislativo (nullum criminem sine lege previa; la necessità che la norma di legge sia precedente al fatto-reato costituisce, come è noto, il principio della irretroattività della legge penale che rappresenta una specificazione del principio di legalità), ma anche come limite all'abuso del potere giudiziario; ed è proprio in relazione a tale aspetto che acquista tutta la sua rilevanza il principio di tassatività; tale tematica venne approfondita per la prima volta in particolar modo oltre che da Montesquleu anche, e soprattutto, da Cesare Beccaria (1738- 1794).

Ed invero, il limite principale all'esercizio del potere giudiziario consiste, in ossequio al principio di legalità, nella circostanza che il giudice nel decidere se il fatto concretamente realizzatosi integri o meno un fatto-reato deve limitarsi ad applicare le norme poste dal potere legislativo e non deve in alcun modo egli stesso creare la norma in base alla quale decidere se nel caso specifico si sia o meno realizzata una fattispecie penale.

Tale limitazione trova la sua giustificazione essenzialmente in tre diverse ragioni:

  1. teoria della separazione dei poteri: tale separazione comporta una limitazione di ciascun potere ad opera dell'altro, sicché essa, e la conseguente limitazione, verrebbe evidentemente meno qualora in relazione ad una singola fattispecie il medesimo organo esercitasse sia la funzione legislativa sia la funzione giudiziaria;

  2. teoria della rappresentatività: come sopra già rilevato, nel tipo di Stato fondato su una rigida separazione dei poteri, solo il potere legislativo è un potere espressione, tramite lo strumento della rappresentanza, della volontà popolare, sicché solo a tale potere, stante per l'appunto tale sua rappresentatività, e non anche quindi al potere giudiziario, spetta la...

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