Il possibile filo d'arianna per uscire dal labirinto del caso de Tommaso

AutoreFederica Scariato
Pagine17-21
115
dott
Rivista penale 2/2018
DOTTRINA
IL POSSIBILE FILO D’ARIANNA
PER USCIRE DAL LABIRINTO
DEL CASO DE TOMMASO
di Federica Scariato
SOMMARIO
1. L’antefatto: il caso De Tommaso. 2. Oltre la red line: le
SS.UU. sul caso Paternò. 3. Le ombre della sentenza Paternò
e le rimessioni alla Consulta. 4. Note a margine della vicenda.
1. L’antefatto: il caso De Tommaso
Che le misure di prevenzione siano un istituto dai con-
f‌ini estremamente fumosi e poco def‌initi è un fatto assolu-
tamente noto ai più. Forse non lo era anche per Angelo De
Tommaso, che, senza volerlo, si è ritrovato al centro di una
questione estremamente spinosa e dalle ricadute pratiche
di non poco momento, tanto da richiedere, a distanza di
pochissimo tempo, l’intervento della Corte EDU, delle Se-
zioni Unite della Cassazione e della Corte costituzionale.
Prima di arrivare alle posizioni più recenti di dottrina e
giurisprudenza, però, pare opportuno partire dall’inizio
della vicenda, per approfondire le questioni che si sono
mostrate più rilevanti e, ovviamente, più problematiche.
La vicenda inizia nell’aprile 2008 quando, su richiesta
della Procura di Bari, il signor De Tommaso viene sotto-
posto, per due anni, alla sorveglianza speciale con obbligo
di soggiorno. Alla necessità di tale misura il giudice giun-
ge dopo aver valutato sia le sue frequentazioni malavitose
sia i suoi precedenti penali. Sicché il Tribunale, ritenendo
che l’imputato sia tendenzialmente incline al delitto, lo eti-
chetta, appunto, come un soggetto socialmente pericoloso.
Tra i diversi obblighi imposti al De Tommaso, in par-
ticolare, la legge ne prescrive uno dalla dubbia perime-
trazione, quello di “condurre una vita onesta e rispettosa
della legge”, pena la commissione del reato di cui all’art.75
D.L.vo 159/2011. È a questo punto che sorgono i primi
problemi: come si vive onestamente? Che cosa deve o non
deve fare il sorvegliato per evitare di infrangere l’art. 75
comma 2 del codice antimaf‌ia? Dopo più di 200 giorni tra-
scorsi nella speranza che la sua condotta fosse suff‌iciente-
mente rispettosa delle regole del vivere come una persona
perbene, viene adita la Corte di Strasburgo (1). Le princi-
pali doglianze del ricorrente riguardano la violazione della
sua libertà personale e della libertà di circolazione, rispet-
tivamente riconosciute dagli artt. 5 e 2 Prot. 4 CEDU. Si
pone, inoltre, il problema della compatibilità dell’intera
disciplina delle misure di prevenzione con l’art. 7 CEDU.
Interrogata sul tema, quindi, la Corte europea è co-
stretta a fare, in prima battuta, un preliminare distinguo.
I giudici di Strasburgo, infatti, specif‌icano che l’art. 7
CEDU è norma riferita esclusivamente alle pene. Di con-
seguenza, anche tutti i corollari del principio di legalità, si
pensi alla prevedibilità o alla tassatività-determinatezza,
trovano la loro dimensione e applicazione esclusivamente
rispetto alle prime. Continuando nella sua analisi, però,
la Corte rileva che, pur applicando i criteri Engel (2) in
tema di perimetrazione di ciò che è pena e di ciò che non
lo è, le misure di prevenzione speciale non sembrano ri-
entrare nella categoria delle pene, non essendo in alcun
modo f‌inalizzate né a sanzionare né ad aff‌liggere il sogget-
to al quale vengono irrogate.
Tutt’altro: lo spirito delle misure di prevenzione, si
dice, è quello di evitare i delitti, potendo essere imposte a
prescindere dalla commissione di qualsivoglia reato. Per-
tanto, se le misure di prevenzione non sono pene, allora,
non devono necessariamente rispettare né il principio di
legalità né i suoi corollari. Tanto precisato, dunque, nessun
problema di compatibilità si pone tra la formulazione vaga
e generica dei precetti normativi in esame e l’art. 7 CEDU.
Il problema, però resta: può un soggetto vedere concul-
cati i suoi diritti fondamentali in forza di una valutazione
di pericolosità sommaria? Assodato che non sono pro-
priamente delle pene, e che quindi la loro formulazione
generica non è in contrasto con il principio di legalità, il
problema non è comunque risolto. La questione non sfug-
ge ai giudici di Strasburgo, che non mancano di rilevare
come, in effetti, la violazione di un diritto sia perpetuata:
non quello relativo alla libertà personale, ma quello della
libera circolazione ex art. 2 Prot. 4 CEDU (3). Tale norma,
infatti, prevede che le limitazioni alla libertà in parola si-
ano previste dalla legge. Il principio di legalità, che reca
con sé il dovere del legislatore di formulare norme chiare,
precise e dalle conseguenze prevedibili, stavolta sì, è vio-
lato, conferendo gli artt. 1, 6 e 8 D.L.vo 159/11 un eccessivo
potere discrezionale ai giudici ed un coeff‌iciente di preve-
dibilità delle conseguenze, derivanti dalla condotta tenuta
dal soggetto, troppo basso.
La prevedibilità, per la Corte EDU, non è data, quindi,
solo dall’accessibilità della norma ai consociati, dalla sua
pubblicazione o dalla sua conoscibilità in concreto, ma an-
che e soprattutto dalla possibilità che questi ultimi hanno
di orientare le proprie scelte in modo consapevole, cono-
scendo esattamente il tenore delle ricadute derivanti dal
comportamento contrario ai precetti penali.
2. Oltre la red line: le SS.UU. sul caso Paternò
La pronuncia della Corte EDU non sembra lasciare
molto spazio a questioni interpretative, mostrandosi piut-
tosto assertiva nei toni e nelle conclusioni. Ciononostante,
però, è vero anche che non tutte le prese di posizione dei
giudici europei trovano immediatamente applicazione ne-
gli ordinamenti nazionali, essendo prima sottoposte all’at-
tenzione degli interpreti, ai quali è demandato il compito
di scandagliarle con attenzione prima di innovare istituti
e interpretazioni pretorie. D’altra parte, la stessa Corte
costituzionale ha avuto modo di precisare che le indica-
zioni rese a Strasburgo determinano un revirement degli
orientamenti interpretativi solo dopo che si sia analizzato,

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