Il nesso di causalità materiale

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine430-436

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@1. Generalità.

La «spina dorsale» del reato (PANNAIN) è costituita dal legame tra causa ed effetto, il nesso di causalità materiale, che deve congiungere l'evento alla condotta criminosa, mentre attiene alla c.d. colpevolezza il nesso psichico, il nesso di causalità morale tra condotta ed evento, nelle forme di cui agli artt. 42 e 43 c.p.

Vigente il codice Zanardelli, l'ALIMENA (B.) preferiva parlare di unica causalità, materiale e morale insieme. Ma non si può negare che, mentre, nel caso di accertata mancanza di causalità materiale, si deve prosciogliere «perché il fatto non sussiste», la formula di proscioglimento, nell'ipotesi di mancanza di causalità morale, sarà «perché il fatto non costituisce reato», con tutte le implicazioni ex artt. 651 ss. c.p.p.

Il nesso di causalità materiale è elemento costitutivo e, perciò, indefettibile, in ogni sorta di reato; anche le circostanze devono trovarsi in nesso di causalità materiale con la condotta criminosa e con l'evento. S'allude alle circostanze estrinseche, poiché quelle intrinseche, che fanno parte del fatto, sarebbero, insieme, causa ed effetto.

Occorre, ad esempio, che il danno di particolare gravità (art. 61, n. 7, c.p.), o quello di particolare tenuità (art. 62, n. 4, c.p., nel testo di cui all'art. 2 L. 7 febbraio 1990, n. 19) sia stato cagionato dalla commissione del reato. Né varrebbe obiettare, ex parallelo, che, in materia di responsabilità extracontrattuale, l'art. 2056 c.c. richiama gli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., e non, anche, l'art. 1225 c.c., per cui, anche se il fatto illecito sia di natura colposa, dovranno essere risarciti anche i danni non prevedibili. Invero, il richiamo all'art. 1223 c.c. fa sì che, in sede di responsabilità extracontrattuale, si debba sempre esigere il nesso di causalità materiale.

Si assiste, non di meno, ad una certa «fuga dalla causalità»; ad esempio, secondo alcuni autori (SABATINI, NUVOLONE, PATERNITI) mancherebbe, o, almeno, potrebbe mancare, il nesso di causalità materiale nelle ipotesi di responsabilità oggettiva. Ma l'art. 42, terzo comma, c.p. non è slegato dal requisito imposto dagli artt. 40 e 41 c.p.; il GIULIANI BALESTRINO discute dei «limiti della compartecipazione criminosa» in maniera tendenzialmente eversiva rispetto al nesso di causalità materiale (su analoghe posizioni: PAGLIARO, MANTOVANI), laddove il ROCCO ed il PANNAIN affermano che il concorso di cause è la necessaria premessa dommatica perché sia rettamente impostato il problema del concorso di persone nel reato (AZZALI); in sede di interpretazione dei limiti dell'attenuante di cui al primo comma dell'art. 114 c.p., la giurisprudenza del Supremo Collegio afferma che ricorre la circostanza in parola qualora l'apporto causale di un partecipe sia mentalmente scindibile dalle attività degli altri partecipi, rilevanti ex artt. 110 ss. c.p. Ma, qui, si dovrebbe prosciogliere «per non aver commesso il fatto» (contra: GALLO M., PADOVANI, PAGLIARO, MANTOVANI, GIULIANI BALESTRINO, PEDRAZZI, VIGNALE, RAMACCI, LATAGLIATA, CONTENTO - sostanzialmente nel senso del testo: GUERRINI, AZZALI - (in materia di partecipazione «esterna» al delitto di cui all'art. 416 bis c.p.: DE FRANCESCO G.A., SEMINARA).

Una deroga al requisito della causalità appare posta dall'ALBEGGIANI in materia di reati di agevolazione (contrario è l'AZZALI, che nota come espressioni quali «agevolare», «procurare» (art. 386 c.p.), se tengono conto della peculiarità della condotta, non mutano l'essenza della causa) (si noti, comunque, che la questione non interessa più il delitto di cui all'art.350 c.p., depenalizzato ex art. 39 D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507).

Poiché, secondo la tesi che riteniamo preferibile (PANNAIN, MAGGIORE, VANNINI, DE MARSICO, SANTAMARIA, GALLO M., LEONE, SALTELLI, ROMANO DI FALCO, JANNITTI, BATTAGLINI, GALIANI, SABATINI, MASSARI, FIORE, DELITALA, ANGIONI, PAOLI, CECCHI) l'evento ha natura giuridica, e, pertanto, non può mancare in alcun reato, si dovrà sempre indagare se sussista il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento.

Anche in ordine al tentativo dovrà vedersi se la condotta abbia cagionato la messa in pericolo del bene giuridico. E ci sorprende notare come proprio il PANNAIN, strenuo sostenitore dell'indefettibilità dell'evento, neghi, con almeno pari tenacia, la necessità del nesso causale nel delitto tentato.

Si potrà indagare, ad esempio, se una condotta di istigazione ad un furto, poi rimasto a livello di delitto tentato, abbia sortito efficacia causale, secondo il sistema vigente, nella condotta posta in essere, e se questa, a propria volta, possa dirsi causa della messa in pericolo del patrimonio di taluno; se, in altra ipotesi, taluno sia stato sul punto di determinarsi ad un'azione o ad un'omissione (poniamo ad un matrimonio «riparatore») a causa delle minacce ex artt. 56, 610 c.p., o per altri fattori, intrinseci od estrinseci.

Nel corso dei lavori preparatori, quanto alla redazione dell'odierno art. 40, primo comma, c.p., si era, in un primo momento, proposto di usare l'espressione... «non è effetto» della sua azione od omissione, ma prevalse, poi, in seno alla Commissione, l'opinione che portò a preferire il termine «conseguenza», siccome maggiormente pregnante e significativo in subiecta materia.

La dottrina (STELLA) che più di recente si è occupata del fenomeno causale rimprovera ai magistrati di concepire il rapporto di causalità materiale a livello meramente intuitivo, sostanziandosi, la relativa decisione, in un «atto di fede».

Non intendiamo sollevare, al riguardo, alcun tipo di polemica: ci preme, solo, segnalare i sempre crescenti (e non solo di numero) incontri tra scienziati e giuristi, magistrati compresi, sul tema della causalità (in ambito medico-legale, di recente, BARNI).

Dobbiamo, a questo punto, avvertire, che il concetto di «causa» è diverso da quello di «condizione» dell'evento.

Il PANNAIN porge l'esempio dei raggi del sole che entrano a riscaldare ed illuminare una stanza: il sole è causa, l'aprire la finestra è la condizione che permette alla causa di determinare l'effetto.

È dovuta al criminalista Von Büri la tesi detta dell'equivalenza delle condizioni, o della condicio sine qua non: l'evento può dirsi conseguenza di una condotta criminosa quando, tracciando una linea logica tra la condotta ePage 431 l'evento, i punti C) ed E) non possono porsene al di fuori; quando, per dirla con altre parole, la condotta è l'antecedente logico ineliminabile dell'evento.

Altra, famosissima, tesi, addotta per delimitare l'entità del collegamento tra condotta ed evento nell'ambito del più generale discorso volto a collegare gli effetti alle cause secondo un criterio quanto più razionale (e meno emotivo) possibile, è quella della «causalità adeguata», dovuta ad un fisiologo, il Von Kries, secondo cui un evento può dirsi causalmente collegato ad una condotta solo quando tale collegamento rispetti il criterio statistico dell'id quod plerumque accidit.

È stato osservato (ANTOLISEI) che la tesi di Von Kries, a livello applicativo, condurrebbe a troppe soluzioni, e, per la verità, il metro statistico, trasposto in sede giudiziaria, si presta, effettivamente, alla manipolazione intellettuale, conscia od inconscia che sia.

Ma troppo rigore è stato contestato alla tesi del Von Büri, secondo la cui impostazione anche la minima rilevanza causale porterebbe all'affermazione della responsabilità. Si è detto che, in pratica, attesa la necessaria concatenazione degli eventi in rerum natura, il cammino a ritroso della mente diverrebbe inarrestabile: retroagirebbe al fiat Creatore!

Il VANNINI, in difesa della teoria del Von Büri, affermò che essa non merita il giudizio di eccessivo rigore mossole, poiché le condizioni dell'evento non vanno riguardate alla luce della loro brutale ontologia, dovendosi, allora, limitare il novero delle condizioni rilevanti a quelle «colpevoli».

A tali assunti si è giustamente replicato (ANTOLISEI) che il nesso di causalità è una categoria puramente oggettiva, del tutto libera da giudizi di «colpevolezza», sennonché, è proprio l'ANTOLISEI, la cui replica merita, come visto, accoglimento, a parlare, anche se, dichiaratamente, de jure condendo, di «causa umana esclusiva» (intrisa, quindi, di suitas) come del criterio che dovrebbe contemperare le esigenze di razionalità e giustizia nell'ambito del problema di cui ci si sta occupando.

Nella ricostruzione del nesso causale si dovrebbe, cioè, guardare alla signoria intellettiva dell'uomo nel dirigere gli eventi (nel senso più lato che possa esser conferito alla espressione). Ma, così, si ritorna all'inframmettenza tra soggettivo ed oggettivo rimproverata al VANNINI (FIANDACA, FIORE).

@2. La soluzione additata dal legislatore.

Il nostro codice, in tema di causalità materiale, ha accolto la tesi della condicio sine qua non, con il «temperamento» costituito dal disposto dell'art. 41, secondo comma, c.p. (PANNAIN).

Si deve notare che la causa, dal punto di vista logico, non può che essere una, per cui il termine «cause», usato nell'art. 41 c.p., testimonia dell'accoglimento della tesi dell'equivalenza delle condizioni (PANNAIN).

Il primo comma dell'art. 40 c.p. non indulge minimamente a criteri statistici, solo stabilendo l'indefettibilità del rapporto tra causa e conseguenza di essa (rapporto tra causa ed effetto, come suol dire il medico legale).

Del secondo comma dell'art. 40 c.p. dovremo occuparci in un apposito, prossimo, paragrafo.

Il primo comma dell'art. 41 c.p. recita: «Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l'azione od omissione e l'evento.

Se taluno, ad esempio, diriga un pugno a persona cardiopatica, che, a causa del pugno, muoia, non potrà addurre il concorso causale della sintomatologia morbosa della vittima, né, tampoco, che ignorava la stessa. Risponderà, pertanto, di omicidio preterintenzionale.

L'ispirazione...

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