Il buco nero dell'azione penale

AutoreVito Marino Caferra
Pagine157-214
CAPITOLO QUARTO
Il buco nero dell’azione penale
1. I principi e la realtà
Nel confronto tra i principi, che regolano l’azione penale e il ruo-
lo del Pubblico Ministero, e la realtà effettuale si registra un notevo-
le divario che preoccupa; e non senza ragione perché l’intero sistema
penale ruota intorno a questo essenziale organo dello Stato moderno.
Nella nostra storia istituzionale non si è mai assistito a un
momento in cui il Pubblico Ministero non fosse motivo di dissidi
profondi in ordine alla sua struttura come all’entità dei suoi pote-
ri, alla natura del suo ruolo processuale come ai rapporti tra i suoi
uffici e gli altri poteri dello Stato1.
Nel vigente ordinamento il ruolo del PM conserva ancora tutte
le sue storiche contraddizioni, che si possono riassumere nella
corrente definizione di “parte imparziale” del processo penale o
di “organo di giustizia”2.
In primo luogo, per il fondamentale principio dell’art. 112 del-
la Costituzione, il p.m. svolge il suo ruolo avendo l’obbligo di
esercitare azione penale3.
1 Così O. DOMINIONI, Per un collegamento tra Ministro della giustizia e
pubblico ministero, in AA.VV., Pubblico ministero e accusa penale (a cura di
G. CONSO), Bologna 1979, p. 44.
2 Sulla questione della collocazione istituzionale del Pubblico ministero
vedi M. CHIAVARIO, Il pubblico ministero organo di giustizia?, in Riv it. dir. e
proc. pen.,1971, pp.714 ss., nonché le diverse posizioni espresse da AA.VV.,
Pubblico ministero e accusa penale ecc., cit.
3 Leggi M. CHIAVARIO, L’obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la
realtà, in Cass. pen., 1993, p. 2658.
La Giustizia e i suoi nemici
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La iniziativa spettante al p.m. si definisce “penale” non solo
per il suo scopo (essendo finalizzata ad accertare fatti penalmente
rilevanti e a perseguire i colpevoli), ma anche perché – nel reale
funzionamento del processo procura una pena a chi è “sotto
processo”: come è noto a chi pratica le aule di giustizia, alle “vit-
time del reato” si possono aggiungere “le vittime del processo”4.
Né l’ordinamento riconosce alcun indennizzo per una imputazio-
ne “ingiusta”, cioè per una imputazione rivelatasi infondata a se-
guito di sentenza di assoluzione5.
Di qui la grande responsabilità di chi, avendo il monopolio
dell’azione penale, può incidere in maniera irreversibile sui dirit-
ti dei cittadini e, talvolta, può mettere in crisi anche l’equilibrio
dei poteri dello Stato.
Valga l’esempio del procedimento penale per lo scandalo dei
fondi neri del Sisde, che nel corso dell’anno 1993 ha lambito an-
che la figura del Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro (con ri-
guardo all’utilizzo dei fondi nella sua qualità di ex Ministro degli
interni), mettendo a dura prova la tenuta delle istituzioni costitu-
zionali6. In quel procedimento la iniziativa della Procura della
Repubblica di Roma di contestare agli indagati il reato di cui
all’art.289 (Attentato agli organi costituzionali) si è rivelata de-
Secondo la comune dottrina l’azione penale consiste nella richiesta che il
p.m. rivolge al giudice di decidere sulla fondatezza di una notizia di reato e
sulla conseguente applicazione della legge: vedi per tutti G. LEONE, A zione
penale, voce dell’Enc. dir., IV, Milano 1959, pp. 851 ss.
Sulle problematiche dell’azione penale leggi M. CHIAVARIO, L’azione pena-
le tra diritto e politica, Padova 1995, pp. 3 ss.
4 Sulla prote zione dell’innocente e la tut ela delle vittime nella moderna
“società del rischio” leggi F. STELLA, Giustizia e modernità, Milano 2003., pas-
sim e specie pp. 116 ss. 221 ss.
5 Cfr. Cass. pen. 13 m arzo 2008, n. 1125 1, in Resp.civ. e prev., 2008,
p. 1414.
6 La gravità della crisi istituzionale (provocata dallo scandalo del Sisde) è
apparsa chiara nel drammatico discorso televisivo del Presidente Scalfaro del
3 novembre 1993 (noto come il discorso del “non ci sto”) e nelle polemiche
che ne seguirono: cfr. G. ZAGREBELSKY, Prefazione a O.L. SCALFARO, Quel tin-
tinnar di vendette, Roma 2009, p.15.
Capitolo quarto – Il buco nero dell’azione penale
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terminante per fermare le rivelazioni accusatorie provenienti da-
gli uomini del Sisde nei confronti degli uomini delle istituzioni7.
Nel disegno costituzionale la funzione del p.m. è segnata dal
suddetto principio dell’art. 112 Cost, che la dottrina intende come
espressione del principio di legalità: nel senso che pone il p.m. in
una posizione di necessaria e totale soggezione alla legge, allo
stesso modo di quanto dispone l’art. 101, comma 2, Cost. con ri-
ferimento al giudice8.
La obbligatorietà dell’azione penale è posta in stretta relazione
con il fondamentale principio di uguaglianza (innanzi alla legge
penale) che a sua volta è all’origine del moderno Stato di diritto,
perché costituisce “il principio generale che condiziona l’ordina-
mento nella sua obiettiva struttura”9.
Per sua natura, il principio di obbligatorietà comporta la esclu-
sione di qualsiasi discrezionalità in ordine all’opportunità o meno
del promovimento dell’azione anche se non esclude che l’ordina-
mento possa stabilire determinate condizioni per il promovimen-
to o la prosecuzione dell’azione10. Quindi dall’iniziativa del p.m.
nel perseguire i reati deve esulare ogni valutazione discrezionale
(di ordine politico o di mera opportunità) essendo anche il magi-
strato dell’ufficio del Pubblico Ministero soggetto soltanto alla
legge ed essendo esclusa ogni ingerenza degli altri poteri dello
Stato.
Pertanto accusare di politicizzazione i magistrati dell’ufficio
del p.m. (il c.d. partito delle Procure), interpretando la loro con-
7 Per una lettura della complessa vicenda giudiziaria, vissuta dall’interno
della Procura della Repubblica di Roma, leggi V. MELE, Procuratore a Roma,
Napoli 201, pp.123 ss.; F. MISIANI, La toga rossa, Milano 1998, pp.182 ss.
8 Cfr. G. UBERTIS, Azione(azione penale), in Enc. giur. Treccani, IV, 1988,
p.4; M. NOBILI, Commento all’art. 25 Cost., in Commentario della Costituzio-
ne (a cura di G. BRANCA), Bologna 1981 p.226; M. CHIAVARIO, L’azione penale
tra diritto e politica, cit., pp.39 ss.
9 Così Cost. 23 marzo 1966, n.25, in Giur. cost (supplemento), 1966, p.129.
Sul principio di uguaglianza vedi più diffusamente retro il cap. II°, par. 3.
10 Cfr. Cost. 5 maggio 1959, n. 22 (in Foro it., 1959, I, c. 909) e Cost. 18
giugno 1982, n. 114 (in Giur. it., 1982, I,1, c. 1281).

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