Il mero carattere eclatante dell'azione, oltre alla sua efficiente pianificazione, anche in una zona a sicuro radicamento mafioso, non è sufficiente ad integrare l'aggravante del metodo mafioso
Autore | Diego Brancia |
Pagine | 76-82 |
296
giur
3/2019 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
IL MERO CARATTERE
ECLATANTE DELL’AZIONE,
OLTRE ALLA SUA EFFICIENTE
PIANIFICAZIONE, ANCHE
IN UNA ZONA A SICURO
RADICAMENTO MAFIOSO,
NON È SUFFICIENTE
AD INTEGRARE L’AGGRAVANTE
DEL METODO MAFIOSO
di Diego Brancia
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. Il difetto di tassatività e determinatezza
dell’aggravante del metodo mafioso. 3. L’interferenza tra le
categorie sostanziali e le dinamiche probatorie in materia di
criminalità organizzata di tipo mafioso.
1. Introduzione
La recente pronuncia della Corte di cassazione solleci-
ta rinnovate riflessioni sui limiti di utilizzo e contestazione
dell’aggravante del “metodo mafioso”, anche, in una zona a
sicuro radicamento mafioso.
Con l’arresto in commento, il Supremo Collegio torna
ad affermare la necessità di un impianto motivazionale
robusto alla base della contestazione della circostanza
aggravante mafiosa, nella sua componente “agevolatrice”
e specie del “metodo”, così come contemplata(oggi) nel
novellato art. 416-bis.1 del codice penale (1).
L’aggravante de “l’aver agito avvalendosi del metodo
mafioso o per agevolare un’associazione mafiosa”, intro-
dotta ad opera del decreto legge 152/1991 allo scopo di
“coprire” penalmente, con l’applicazione di una sanzione
più grave, i comportamenti dei fiancheggiatori dell’asso-
ciazione mafiosa (2), risponderebbe, ad avviso di una con-
solidata giurisprudenza (3), alla ratio di contrastare in
maniera più decisa, vista la pericolosità e determinazione
criminosa, quei comportamenti di soggetti che, partecipi o
non partecipi di reati associativi, utilizzino metodi mafio-
si, ovvero quelle condotte idonee ad esercitare sui soggetti
passivi quella particolare coartazione e quella conseguen-
te intimidazione che sono proprie delle organizzazioni
della specie considerate.
L’aggravante di cui si discute, trae origine dalla ne-
cessità di "coprire" anche le più sfuggenti condotte dei
"fiancheggiatori" delle organizzazioni mafiose, per cui il
Legislatore, costretto a trascurare i principi di tassativi-
tà e materialità, ha aperto, in tal modo, un varco enorme
alla dubbia interpretazione giurisprudenziale, del tutto
indifferente alla tipizzazione dell’aggravante in parola al
punto da delineare perfino il rischio di una "responsabi-
lità mafiosa ambientale", a mezzo di una evidente debo-
lezza probatoria. La giurisprudenza ha finito, nel tempo,
per utilizzare l’art. 7, L. 203/1991, addirittura come stru-
mento "normativo-processuale" per ricomprendere tutti i
comportamenti non inquadrabili nel paradigma criminoso
di cui all’art. 416 bis c.p., elevando l’aggravante de qua al
rango di norma incriminatrice. (4)
La norma, a ben vedere, richiama espressamente le
condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ossia, nello spe-
cifico, la forza di intimidazione del vincolo associativo e la
condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva
per commettere delitti.
La forza intimidatrice testé richiamata consisterebbe
nella capacità di piegare, ai propri fini, la volontà di quan-
ti vengano in contatto con l’associazione (5), mentre la
condizione di assoggettamento ed omertà nella condizione
di essere esposti al pericolo senza possibilità di difesa, in
stato di soggezione e di soccombenza di fronte alla forza
della prevaricazione e nella reticenza ricollegabile alla
forza intimidatrice sprigionata dal sodalizio mafioso.
La norma prevede, al primo comma, una circostanza
aggravante ad effetto speciale, consistente nell’aver com-
messo il fatto-reato avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevola-
re l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.
Quanto alla specifica ipotesi della agevolazione mafio-
sa, dato atto dell’esistenza della cosca e della sua perdu-
rante operatività, occorre ribadire la giuridica possibilità
del concorso tra la condotta associativa ed il reato fine,
ancorché aggravato ex art. 416-bis.1 del c.p. (già art. 7
della L. 203/1991), proprio in considerazione della perfet-
ta autonomia esistente tra gli stessi. (6)
Allo stesso modo, occorre ribadire che l’aggravante,
nella sua fattispecie “agevolatrice”, è indubbiamente con-
notata in termini di dolo specifico (al fine di) e dunque
non può esaurirsi nella mera agevolazione colposa (e per
ciò accidentale), essendo appunto richiesto che la finalità
agevolatrice inerisca l’attività del sodalizio (agevolare l’at-
tività delle associazioni), cioè la sua proiezione esterna.
Sebbene in talune decisioni se ne sia sostenuta la natu-
ra oggettiva (7), il più recente orientamento del Supremo
Collegio, coerente con la struttura di questo tipo di aggra-
vante e la particolare intensità del dolo richiesto, ha finito
per riconoscerne la natura soggettiva (8).
È richiesta, dunque, sia una particolare consistenza e
direzione dell’elemento volitivo individuale, “cosciente e
univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio” (9) sia
una concreta strumentalità del reato commesso rispetto
alle finalità perseguite dal sodalizio (che in tal caso deve
essere individuato). (10)
Per continuare a leggere
RICHIEDI UNA PROVA