Il giudice

AutoreStefano Ambrogio
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@1 Il giudice penale

Come abbiamo visto, nel sistema accusatorio, il giudice è soggetto del procedimento penale, ma non è parte processuale, dal momento che egli deve esercitare funzioni di controllo e garanzia assumendo un ruolo al di sopra delle parti.

Il giudice è il soggetto titolare della funzione giurisdizionale (Cap.2) ossia del potere di applicare al caso concreto le norme dettate dal legislatore in via astratta, in particolare, nel processo penale, le norme che prevedono sanzioni penali per determinate condotte.

L’art. 25 Cost., come sappiamo (Cap.2), sancisce la regola del giudice naturale precostituito per legge, ribadita dall’art. 1 c.p.p.: in virtù di tale regola il comportamento di un soggetto deve essere valutato da un giudice ordinario designato secondo criteri prefissati dal legislatore prima del verificarsi dell’evento delittuoso. Invero, l’art. 1 c.p.p. rinvia alle norme dell’ordinamento giudiziario che fissano i criteri per la costituzione e la nomina dei giudici ordinari (r.d. 30-1-1941, n. 12): tali criteri non sono immodificabili ma occorre precisare che le modifiche non possono avere efficacia retroattiva, cioè operare anche per i processi già in corso, perché ciò violerebbe il principio del giudice precostituito.

In tempi più recenti (d.lgs. 19-2-1998, n. 51), il legislatore è intervenuto per cambiare in maniera significativa l’assetto dell’ordinamento giudiziario, abrogando la figura del pretore, originariamente prevista quale giudice monocratico, e introducendo il tribunale in composizione monocratica.

Il d.lgs. 28-8-2000, n. 274 ha poi attribuito, a decorrere dal 2 gennaio 2002, competenze penali anche al giudice di pace, giudice onorario che fino ad allora si era interessato solo di cause civili.

Uno degli ultimi interventi in materia di ordinamento giudiziario, a dimostrazione della continua evoluzione della normativa, è stato poi quello dettato dalla l. 13-2-2001, n. 48 sull’aumento del ruolo organico e disciplina dell’accesso in magistratura, che all’art. 4 prevede la figura del magistrato distrettuale, cui è attribuito il compito di sostituire i magistrati che si assentano per periodi medio-lunghi, in maniera tale da rendere residuali le ipotesi di applicazione e supplenza.

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Sono organi di giurisdizione ordinaria penale:

-il giudice di pace, giudice monocratico onorario. Il procedimento dinanzi al giudice di pace (Cap. 23) è particolarmente celere e semplificato ed è in parte diretto a favorire la conciliazione tra imputato e persona offesa;

-il tribunale ordinario, composto da giudici togati che opera in composizione monocratica o collegiale a seconda di quanto stabilito dalla legge in considerazione dell’importanza e della delicatezza delle controversie che deve trattare;

-la Corte d’assise di primo grado, giudice collegiale specializzato, istituito presso ogni distretto di Corte d’appello e composta da due giudici togati e sei giudici popolari;

-il tribunale per i minorenni, giudice collegiale competente a decidere dei reati commessi dai minori di anni 18 (Cap. 24). È composto da due giudici togati e da due esperti in psicologia, pedagogia e materie analoghe;

-la Corte d’appello, organo collegiale composto da giudici togati, competente per tutte le impugnazioni proposte contro le sentenze di primo grado del tribunale (Cap. 27);

-la Corte d’assise d’appello, competente a decidere sulle impugnazioni delle sentenze della Corte d’assise;

-il magistrato di sorveglianza (giudice monocratico) e il tribunale di sorveglianza (giudice collegiale); entrambi intervengono in materia di applicazione delle misure alternative alla detenzione custodiale, di esecuzione di sanzioni sostitutive e di misure di sicurezza, al fine di assicurare nell’esecuzione della pena, l’umanizzazione della stessa e delle misure di sicurezza, e per realizzare il recupero e il reinserimento sociale dell’imputato (Cap. 31 par. 4);

-la Corte di cassazione, giudice collegiale di legittimità, competente per tutte le impugnazioni proposte contro le sentenze di secondo grado oppure emesse in seguito a un unico grado di giudizio (Cap. 28).

@2 L’ambito di cognizione del giudice penale

Ai sensi dell’art. 2 c.p.p. il giudice penale ha piena cognizione in relazione al fatto sul quale deve pronunciarsi. Ciò significa che il giudice penale è tenuto ad esprimersi anche su tutte quelle questioni pregiudiziali di diritto civile o amministrativo (rientranti nelle rispettive competenze dei magistrati civili e amministrativi) che rappresentano un "passaggio obbligato" ai fini della decisione sul merito dell’imputazione (cd. principio di autosufficienza della giurisdizione penale).

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Il giudice penale può, quindi, valutare, con immediatezza ed in un unico contesto, ogni profilo della condotta sottoposta al suo esame, evitando di frazionare il giudizio medesimo e di determinare lunghe sospensioni dan-nose per l’indagato e per la collettività (si pensi, ad esempio, alle questioni civilistiche relative alla proprietà di un bene ai fini del reato di furto o alla validità di un contratto ai fini del reato di truffa, o ancora alle questioni in materia penale sulla valutazione di un bene quale provento del delitto ai fini della sussistenza della ricettazione; in materia amministrativa, si pensi alle questioni sulla legittimità di un atto nei reati di abuso di ufficio).

Tuttavia, le esigenze di concentrazione e di speditezza del processo penale incontrano due limiti:

-quanto all’ambito della cognizione del giudice penale, è ammessa la possibilità di una diversa previsione da parte del legislatore, che infatti, già all’art. 3 c.p.p., consente al giudice di sospendere il processo quando si tratta di particolari controversie (questioni di famiglia e cittadinanza) e l’azione è già in corso. La sospensione del processo penale è consentita anche quando il giudice rimette gli atti alla Corte costituzionale affinché risolva una questione di legittimità costituzionale. Ancora, è pre-vista la rimessione al giudice competente per materia nei casi di cui agli artt. 263, 3° comma, e 324, 8° comma, c.p.p. (entrambi riguardanti la controversia sulla proprietà delle cose in sequestro), nonché nell’ipotesi prevista dall’art. 479 c.p.p. (riguardante le questioni civili o amministrative di particolare complessità);

-quanto all’efficacia della decisione del giudice penale, questa è limitata al giudizio penale e, quindi, le valutazioni compiute incidentalmente non possono essere richiamate in altri giudizi civili o amministrativi, nei quali i giudici competenti potranno decidere autonomamente anche in maniera contrastante con la decisione del giu-dice penale. Ad esempio, il giudice penale può disapplicare (ovvero, decidere come se non esistesse ritenendolo illegittimo) un provvedimento amministrativo, mentre il Tar, investito direttamente della questione di legittimità, può respingere il ricorso e ritenere legittimo l’atto.

@3 La competenza del giudice

La competenza penale è l’ambito della sfera di cognizione del giudice al quale la legge attribuisce il compito di valutare gli affari giurisdizionali.

La competenza penale viene stabilita in base a tre criteri (art. 4 c.p.p.):

-gravità del reato (competenza per materia);

-luogo di commissione del reato (competenza per territorio);

-fase in cui si trova il procedimento penale (competenza per grado o funzionale).

Il legislatore si occupa dei criteri sopra indicati seguendo un filo logico ben preciso, in quanto, per stabilire se un giudice è competente per un determi-

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nato affare penale, occorre prima valutare la gravità del reato, poi il luogo in cui è stato commesso ed infine, qualora vi sia stato già un giudizio, individuare il giudice al quale è attribuito il compito di valutare l’impugnazione (della competenza funzionale si tratterà nella Parte VII).

Tutte le regole sulla competenza sono finalizzate ad assicurare l’applicazione del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.).

La competenza di cui parleremo nei prossimi paragrafi ha rilevanza esterna, nel senso che essa individua tra vari organi giudiziari quello che dovrà effettivamente giudicare la controversia (giudice naturale).

In seguito all’istituzione del tribunale come giudice unico, è divenuta rilevante anche la cosiddetta competenza interna o attribuzione. L’assegnazione di una causa al tribunale in composizione collegiale o monocratica non incide sulla competenza in quanto il giudice competente è sempre il tribunale, bensì sulla ripartizione interna della giurisdizione nell’ambito dello stesso organo giudiziario.

@4 La competenza per materia

Le norme sulla competenza per materia sono dirette ad individuare il giu-dice competente in base al tipo di reato commesso, tra i seguenti:

- Corte d’assise. Il criterio di attribuzione della competenza alla Corte di assise (art. 5 c.p.p.) è prevalentemente un criterio qualitativo, nel senso che il legislatore non si affida all’entità della pena irrogata per i vari reati, bensì indica in maniera specifica le singole fattispecie delittuose attribuite alla sua competenza.

Tale criterio è stato ribadito dal legislatore del 1999 che, con la legge n. 109 di conversione del d.l. 22-2-1999, n. 29, ha ridotto notevolmente la competenza della Corte d’assise a determinati reati di maggiore allarme sociale (i più gravi delitti contro la personalità dello Stato, nonché i delitti di omicidio, strage, epidemia, avvelenamento di acque o sostanze alimentari).

La progressiva erosione della competenza della Corte d’assise, confermata anche dal D.L. n. 10/2010 conv. in L. n. 52/2010, che, modificando ulteriormente l’art. 5 c.p.p., ha sottratto alla Corte d’assise anche i delitti di associazione mafiosa, trova la sua giustificazione nell’esigenza di riservare a tale organo, data la sua particolare composizione, le maggiori difficoltà di convocazione ed i maggiori costi (per ogni udienza devono essere presenti, oltre ai giudici togati, sei giudici...

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