Il diritto del lavoro del '900: un'eredità difficile

AutoreUmberto Romagnoli
Pagine1037-1042
Umberto Romagnoli
Il diritto del lavoro del ’900: un’eredità dif‌f‌icile*
In passato, le regole del lavoro dei padri si trasmettevano ai f‌igli. Stesso lavoro, stes-
si diritti. E anzi di più.
Adesso, invece, i ragazzi del Vecchio Continente, anche se appartengono a famiglie
del ceto medio, vedono prof‌ilarsi un futuro assai più buio ed incerto di quello che, ses-
santa o settanta anni fa, i padri consegnarono ai f‌igli. In ef‌fetti, i pilastri del sistema-
Europa che si è terminato di edif‌icare nel secondo dopo-guerra, ossia welfare e stabilità
occupazionale, stanno crollando.
La crisi ha molte cause. Basti pensare ai progressi della medicina che, allungando le
aspettative di vita, hanno sconvolto gli equilibri f‌inanziari di cui gli enti previdenziali
erogatori di pensioni potevano in precedenza f‌idarsi. Nondimeno, nessuno si sogna di
risolvere la crisi bloccando la ricerca scientif‌ica nel settore sanitario o incentivando l’in-
cremento demograf‌ico con premi di natalità dispensati con la mentalità di un Grande
Elemosiniere od anche spostando di colpo l’età pensionabile in prossimità di quella in
cui mediamente si muore: dai 65 anni dei tempi del cancelliere tedesco che alla f‌ine
dell’800 introdusse il primo sistema previdenziale obbligatorio agli 80 di questo inizio
di millennio.
Plausibile però non è neppure l’opinione secondo la quale si sarebbe potuto evitare
il disastro se gli antenati dei giovani d’oggi fossero stati sul serio quei campioni di fratel-
lanza proletaria di cui favoleggiano gli agiograf‌i. Viceversa, erano così poco inclini a
preoccuparsi degli interessi altrui da difendere ad oltranza soltanto i propri. Perciò, per
evitare l’irreversibilità dei danni prodotti dal loro egoismo bisognerebbe rinunciare
all’eredità che le generazioni dei decenni centrali del Novecento hanno lasciato ai loro
discendenti.
I critici più severi ne hanno fatto un inventario che pare una requisitoria: una tute-
la legale di chi il lavoro ce l’ha sempre più abbondante e, soprattutto, sempre più inde-
rogabile; un’autotutela collettiva sempre più aggressiva e garantita; un welfare che si è
sviluppato – a benef‌icio, ça va sans dire, dei soli lavoratori regolari – con l’esuberanza e
l’irrazionalità delle foreste tropicali. Sarebbe proprio il funzionamento incontrollato
dell’insieme di questi apparati normativi la causa che ha determinato la crescita esponen-
ziale del costo del lavoro e, al tempo stesso, ha scavato un fossato tra insider e outsider.
Pertanto, visto che l’insieme delle regole del lavoro è diventato un generatore di
invidia sociale, anziché di giustizia, i decisori delle politiche sociali si propongono di
diminuirne costi ed ef‌f‌icienza protettiva in base ad una rivisitazione del principio d’egua-
glianza al termine della quale esso si realizzerebbe estendendo agli insider un bel po’
dell’insicurezza degli outsidercome se dentro il mondo del lavoro e della produzione
non ce ne fosse già abbastanza, di infelicità e sof‌ferenza.
* Testo della lectio magistralis pronunciata in occasione della laurea honoris causa conferita dalla Pontif‌icia
Universidad Catolica del Perù (Lima, 27.10.2006).

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