Il danno da cose in custodia

AutoreEdgardo Colombini
Pagine705-718

    Ispettore assicurativo: Pino Torinese

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Per quanto elemento inerte una cosa può - in determinate circostanze - essere causa di un danno a terzi senza però che ciò stia a significare che quella cosa sia di per sé intrinsecamente pericolosa; può esserlo ed anche non esserlo; può divenirlo - pur non essendolo per sua natura - per un fattore esterno, umano come fisico, come per una sua mutazione. Un vaso di fiori sul davanzale di una finestra non è di per sé oggetto pericoloso: cionondimeno può danneggiare terzi estranei sottostanti quando cada nel vuoto o per manovra malaccorta di una persona, o per colpo impetuoso di vento qualora l'uomo non abbia predisposto idonei accorgimenti ad evitare quella caduta.

Del danno causato a terzi da una cosa è comunque responsabile chi ne abbia la custodia, così come disposto dall'art. 2051 c.c.

Prima di esaminare quale sia il profilo della responsabilità la questione pensiamo però sia bene individuare una linea di demarcazione con la situazione di una certa tipologia ancora di cose che producono un danno in quanto coinvolte nell'esercizio di una attività pericolosa in relazione alla quale, differentemente, è regolata dall'art. 2050 c.c. la materia della responsabilità civile per i danni causati a terzi estranei.

Il punto di stacco fra una disposizione e l'altra in relazione alle cose è rappresentato dalla presenza o meno di una attività umana organizzata (che è ben diversa da un atto estemporaneo), attività che, secondo l'ALTAVILLA (La colpa, vol. I, Utet 1957, p. 166) corrisponde «alla estrinsecazione continuativa di una energia umana, non potendosi ritenere che la parola esercizio si risolva in una ridondanza verbale, perché essa tentde a chiarire il significato dell'altro termine, attività come movimento ripetuto utilmente per conseguire una determinata finalità produttiva». Per l'art. 2050 c.c. - con questa teoria - le cose assurgono ad elemento generatore di un danno quando e in quanto sono oggetto, strumento, parte essenziale o meno, a seconda dei casi, di una attività umana intesa nel senso indicato, mentre per l'art. 2051 c.c. le cose - pericolose o meno che siano di per sé - sono causa di danno a prescindere da qualsiasi azione umana organizzata in modo continuativo; in alcune situazioni, come avremo modo di vedere, si potrebbe dire che certe cose sono causa di danno proprio per una mancata attività umana.

È dato invero riscontrare anche per il danno causato dalle cose (art. 2051 c.c.) una duplice possibilità eziologica: quella del danno che deriva dalla cosa senza interferenza di azione umana e quella del danno che deriva dalla cosa a seguito di un facere o di un non facere dell'uomo, dal che discende la necessità di opportuna attenzione su questo terreno che ci porta ai confini tra la materia regolata dall'art. 2051 c.c. e quella che ripete la sua normativa dall'art. 2050 c.c.

Così avremo il caso dell'albero del giardino che cade su una persona o su di una macchina, oppure dal vaso di fiori, appena ricordato, che per la forza del vento precipita da un balcone sulla testa di un passante: ambedue ipotesi di un danno causato dalle cose senza intervento umano, mentre è determinante, ad esempio, un non facere (chiusura dimenticata) nella situazione di una bombola di gas liquido - di per sé pericolosa - che un utente incautamente non chiude a dovere, sì che il gas ne fuoriesce sino a determinare un'esplosione all'accensione di un fiammifero o allo scoccare di una scintilla in un apparecchio elettrico esistente nel locale: qui il discorso rimane sempre ancorato all'art. 2051 c.c. purché - pur se siamo di fronte ad un danno causato da una cosa a seguito di un non facere (dimenticanza dell'uomo: il che si riscontra anche nella situazione del mancato approntamento di idonei ripari atti ad impedire la caduta nel vuoto del solito vaso di fiori) - faccia difetto il requisito della complessità (tralasciando il rifermento alla continuatività che non si convince) di un'attività che è riferibile al solo campo di applicazione dell'art. 2050 c.c., trattandosi di un oggetto che - per quanto pericoloso di per sé stesso - la casalinga ha acquistato e detiene sino all'esaurimento del carico di gpl. La bombola di gas serve in questo caso all'utente per cuocere i cibi: anche questa è un'attività, ma non pensiamo che si possa dilatare la fisionomia della cottura dei cibi fino al punto di ravvisarvi l'esercizio di un'attività pericolosa.

La bombola di gas, nella cucina di una casalinga, è cioè semplice oggetto di detenzione (sia pure con uno scopo ben preciso) e non strumento di esercizio di un'attività, come sarebbe, già invece, nel caso di un falegname che utilizza la fiamma del gpl per scaldare e sciogliere le colle necessarie allo svolgimento del suo lavoro mentre tutto intorno pullulano materie estremamente infiammabili.

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Non va inoltre dimenticato che la cottura dei cibi avviene con apparecchiature opportunamente predisposte per ridurre al minimo i rischi, come gli ugelli a fuoriuscita limitata di gas, ben diverso dai cannelli che usano gli artigiani per avere maggior potenza calorica.

Se una bombola perde gas, non per difetto della sua struttura (caso questo in cui i problemi sono di ben diversa origine e impostazione) ma per negligente incompleta chiusura della valvola e dei rubinetti di alimentazione del fornello di cottura in una abitazione, siamo quindi di fronte ad una ipotesi di danno causato da cosa in custodia e non a quella di esercizio di attività pericolosa con conseguenti riflessi anche sulla questione degli oneri probatori.

Da tenere comunque ben presente che, quando parliamo di fattore umano quale elemento discriminante fra l'art. 2050 c.c. e l'art. 2051 c.c. ci riferiamo ad una attività che, per l'art. 2050 c.c. si estrinseca nell'esercizio organizzato di un'energia umana: ed è bene soffermarsi un istante sull'argomento allo scopo di sgomberare il campo da possibili equivoci capaci di riportare confusioni di termini fra le due disposizioni codicistiche in questione.

L'elemento umano inteso in senso generico può essere infatti sostanzialmente comune sia all'art. 2050 c.c. che all'art. 2051 c.c. come abbiamo già accennato.

Per quanto l'art. 2051 c.c. titoli «danno cagionato da cose in custodia», non si può invero dimenticare che dietro la cosa può sussistere nella e per la determinazione di un danno, molto spesso - in positivo o in negativo, in azione od omissione - il fattore umano: infatti la disposizione legislativa attribuisce la responsabilità dell'individuo che - avendo la custodia della cosa (e vedremo nel prosieguo come questa debba essere intesa) - non ha ben custodito la cosa stessa, di talché la medesima è stata fonte di danno per un terzo estraneo: e in questo rapporto fra uomo e cosa - nel caso di danno a terzi - si spazia dal difetto di sorveglianza sulla cosa alla sorveglianza inidonea, dalla mancanza di cautele nella custodia alla erronea direzione della cosa.

Un'altra distinzione fra l'elemento umano sotteso alla normativa dell'art. 2050 c.c. e quello riferibile all'art. 2051 c.c. si può poi ravvisare nel fatto che per l'art. 2051 c.c. il rapporto fra l'uomo e la cosa, da cui deriva un danno a terzi, è - nella fase che precede la causazione del danno - un rapporto essenzialmente statico (ciascuno è responsabile del danno cagionato dalla cosa che ha in custodia) riscontrandosi un eventuale dinamismo umano nella fase della causazione del danno soltanto quando questo - prodotto da cosa inerte - sia stato determinato dalla cosa posta in movimento da una forza umana, mentre dinamismo non di origine umana si riscontra quando esso dipenda da una forza naturale (caduta di un albero a causa del vento), da una forza animale (un bovino fa rotolare dal pascolo un masso su una strada sottostante).

Nell'esercizio di attività pericolosa previsto dall'art. 2050 c.c. il rapporto uomo-cosa è invece sempre un rapporto prevalentemente dinamico (chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati): rapporto dinamico che peraltro deve essere apprezzato in modo accorto per le articolari sfumature attinenti la complessa tematica di questa disposizione codicistica.

Quindi, come si può desumere da queste sia pur sommarie considerazioni, elemento umano, sia nella tematica del danno da cose in custodia, sia nella sfera di applicazione dell'art. 2050 c.c., ma con caratteristiche alquanto diverse che consentano di individuare anche sotto questo aspetto una distinzione fra le sfere di applicazione delle due norme con i conseguenti diversi oneri probatori.

Svolgimento di attività, pertanto, con uso di mezzi: mezzi che sono strumento; attività e cose - che, insieme, e in quanto pericolose - forniscono la caratterizzazione dell'attività cui fa riferimento l'art. 2050 c.c.

Elemento umano anche in relazione all'art. 2051 c.c., ma con una caratteristica del tutto particolare dal momento che il presupposto della responsabilità di colui che ha la custodia della cosa è rappresentato per lo più da un non facere o da un facere inidoneo quando non si riscontra un diretto specifico dinamismo impresso alla cosa da parte di chi la detiene.

Non facere o facere inidoneo al dovere della custodia che implica la responsabilità del custode, come difetto di sorveglianza - atta ad intervenire sulla cosa per impedire il possibile danno a terzi estranei - o sorveglianza comunque inidonea sono quindi gli elementi caratterizzanti della responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c.: responsabilità presunta salva la prova del fortuito secondo quanto indicato dalla disposizione codicistica.

Derogando al principio di base racchiuso nell'art. 2043 c.c., per il quale la colpa o il dolo sono il presupposto della civile responsabilità, gravando l'onere della relativa prova sul danneggiato in base all'art. 2697 c.c., nella situazione che stiamo esaminando, ci troviamo invece di fronte ad uno dei tanti casi di...

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