Il consenso dell'avente diritto

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine675-684

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La figura del consenso dell'avente diritto si inserisce in quel vastissimo fenomeno che è l'incontro delle volontà nel diritto in genere.

Il contratto è incontro di volontà; la guerra,in quanto dichiarazione della stessa, è incontro di volontà; si può chiedere l'applicazione della pena su accordo delle parti, ai sensi dell'art. 444 c.p.p.; si può limitare la portata dell'appello, con accordo fra le parti, ex art. 599 c.p.p.; ex art. 701 c.p.p., l'imputato, o il condannato, può consentire all'estradizione passiva.Und so weiter, direbbero, a questo punto, i tedeschi.

L'incontro di volontà - giova rilevare - può essere, a volte, solo tendenziale, e non immediato: è il caso della gestione del negozio (artt. 2028 e ss. c.c.), o del testamento (art. 587 c.c.); come si vede (avendo, noi, porto l'esempio del testamento, classico negozio unilaterale non recettizio (CARIOTA FERRARA, AZZARITI, MARTINEZ, MESSINEO, GALGANO), il fenomeno dell'incontro di volontà si offre in chiave prospettica ed eventuale, e l'accordo non ne copre l'intera portata.

Il consenso dell'avente diritto (art. 50 c.p.), istituto sconosciuto al codice Zanardelli, a nostro modo di vedere, ha l'identica struttura del testamento, naturalmente con tutte le limitazioni promananti dalla natura giuridico-penale dell'istituto che ci riguarda.

È un negozio giuridico unilaterale essenzialmente revocabile (sulla revocabilità, nel senso del testo: ANTOLISEI; per rilievi parzialmente contrari: ALBEGGIANI).

Il fatto che sia, nella propria struttura «minimale», un negozio giuridico unilaterale si ricava, «una via», dal diritto positivo.

Invero, l'art. 59, primo comma, c.p. permette che la scriminante si applichi anche qualora la sua sussistenza sia ignota a colui che commette il fatto astrattamente preveduto dalla legge come reato (ALBEGGIANI).

La dottrina dominante (ANTOLISEI, TESAURO, MANTOVANI, FIANDACA, MUSCO, MAGGIORE, DE M ARSICO , B ATTAGLINI , G UARNERI , R ANIERI , SANTANIELLO, MARUOTTO, PAGLIARO, BETTIOL, PETTOELLO MANTOVANI, RIZ, BOSCARELLI, DE PIETRO) ascrive il consenso dell'avente diritto al novero degli atti giuridici in senso stretto (così, anche, NANNINI, nella sostanza, pur parlando, l'autore, di «negozio sui generis»).

Ora, se si voglia affermare ciò sulla base della considerazione che gli effetti del consenso sono predeterminati dal legislatore, il negozio giuridico, allora, svanirebbe dal campo del diritto: anche l'effetto del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, come conseguenza della conclusione del contratto di compravendita, è predeterminato dal legislatore, eppure nessuno vorrà affermare che la compravendita è un atto giuridico in senso stretto!

Allora, per distinguere tra negozio ed atto giuridico in senso stretto, s'ha da vedere se si tratti di predeterminazione legislativa di effetti di un atto cosciente e volontario, o di riconoscimento di effetti ad atti di autonomia negoziale (MIRABELLI).

Si nega, sostenendo che il consenso sia un atto non negoziale, ingresso alla condizione, al termine e al modus (DE PIETRO) (contra, pur negando la natura negoziale: ANTOLISEI).

Possiamo dar ragione all'autore solo in parte: non è ammissibile il modus, perché il consenso dell'avente diritto non è concettualmente avvicinabile ad un atto a titolo gratuito (es.: comodato), o, più specificamente, ad un atto di liberalità (es.: donazione); non è ammissibile la condizione risolutiva, poiché, prestato il consenso, e commesso il fatto, non è concepibile la risoluzione dell'effetto liceizzante.

Sono ammissibili, però, la condizione sospensiva (ti permetto di schiaffeggiarmi se non avrò superato l'esame), il termine iniziale (potrai strappare la mia corrispondenza che arrivi presso il nostro - attualmente - comune domicilio a partire dal giorno in cui mi sarà trasferito) ed il termine finale (potrai strappare la mia corrispondenza fino all'ultimazione del trasloco).

Evidentemente il DE PIETRO è stato tratto in inganno, nella propria, generale, negatoria, dalla revocabilità, elemento coessenziale ad un negozio che ha il potere di elidere il carattere di reato ad un fatto come tale preveduto dalla legge.

Ribadiamo, però, che, di recente, l'ALBEGGIANI si è pronunciato, almeno in certa misura, nel senso dell'irrevocabilità del negozio di cui si tratta (contra: RIZ, PAGLIARO, MANTOVANI, ANTOLISEI, MARINI).

Anche il testamento è atto negoziale, revocabile per espressa disposizione di legge (art. 587 c.c.), ed ammette condizione, sospensiva e risolutiva, e modus. Per incidens, è a dirsi che il consenso, dati i suoi effetti rilevanti jure poenali, non tollererebbe l'apposizione di una sorta di «proposta irrevocabile» (art. 1329 c.c.), atto anch'esso negoziale (SANTORO PASSARELLI).

Il consenso, allora, ammette, con le surriferite limitazioni, elementi accidentali; per tal via, si dà rilevanza ai motivi del consenso; la rilevanza dei motivi, nell'ambito dell'autonomia della volontà, rappresenta il più chiaro segnale del raggiungimento della sua massima espressione, il negozio giuridico (SANTORO PASSARELLI) (BETTI, SCOGNAMIGLIO, GALGANO).

Anche prima di questo momento massimo, le modalità consentite possono essere le più svariate, e devesi rispettare la volontà del disponente in ogni minimo particolare, altrimenti permane il carattere di reato in ciò che si compie. E tanto, ovviamente, rafforza il nostro convincimento circa la natura negoziale del consenso dell'avente diritto: negozio giuridico, non di diritto privato (DOLCE, GRISPIGNI), e neanche, genericamente, di diritto pubblico (DELOGU, CARNELUTTI, SALTELLI), ma, specificamente, di diritto penale, attesa la sua incidenza sulla qualificazione di un fatto in termini di reato (PANNAIN) (il MANZINI parla, sì, di negozio giuridico, ma senza ulteriore qualificazione).

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Il PEDRAZZI «concede» al consenso natura negoziale, ma avverte che non si deve pretendere di applicare all'istituto di cui all'art. 50 c.p. le categorie della nullità e dell'annullabilità, ed il regime derivantene, segno che l'autore pensa a categorie troppo formalmente civilistiche, anche in senso processuale (GROSSO).

Sotto il profilo pratico, nullità ed annullabilità si equivalgono (DE PIETRO): sarà bene, pertanto, essendo innegabile tale rilievo, parlare, nei congrui casi, di inefficacia del consenso prestato.

La dichiarazione negoziale può ben essere tacita, non richiedendosi alcuna forma solenne (ex parallelo: art. 1325, n. 4, c.c.); non può trovare ingresso la figura del negozio di attuazione (es.: art. 684 c.c.) (MANIGK, SANTORO PASSARELLI, MIRABELLI), in quanto l'attività liceizzata non viene compiuta da colui che presta il consenso.

Vogliamo avvertire che la circostanza, che bene spesso si verifica, che il disponente ex art. 50 c.p. non sappia di liceizzare un comportamento altrimenti penalmente rilevante, nulla può togliere a quanto sin qui osservato sulla natura del consenso dell'avente diritto: se un acquirente ritiene che la proprietà alienatagli sia a termine finale, non per questo egli non conseguirà gli effetti connessi al consenso nei contratti con efficacia reale dall'art. 1376 c.c.

Non solo la violenza e la minaccia tolgono tipicità al consenso, ma benanche l'inganno, ed il conseguente errore (quanto a questo ultimo punto, contra: CONTENUTO).

Mentre è pacifico che abbia rilevanza l'erronea supposizione della prestazione di un valido consenso, ex artt. 59, quarto comma, 50 c.p., non riteniamo che possa darsi rilevanza al consenso presunto.

Altro è dire: «credo che si sia consentito», ben altra cosa è il ritenere che, in date circostanze, si «sarebbe» consentito.

Il nostro legilsatore non ha punto dato rilevanza a tale ipotesi, per cui opererebbe una sorta di interpretazione additiva, introducendosi un istituto di favore, che estenderebbe a dismisura, e contra legem, la portata del principio volenti non fit injuria (MARINI, GROSSO) (contra: MANZINI, ANTOLISEI, BETTIOL, PETTOELLO MANTOVANI, FIANDACA, MUSCO, FIORE, MANNA, PAGLIARO, MANTOVANI, PEDRAZZI) (la giurisprudenza è nel senso del testo).

Poiché l'art. 50 c.p. non è richiamato dall'art. 55 c.p., non può darsi eccesso colposo in consenso dell'avente diritto: d'altro canto, non era possibile diversa soluzione legislativa, poiché la struttura negoziale del consenso non è compatibile con la figura dell'eccesso. Oltre l'attività consentita vi è il reato: tertium non datur (CONTENTO) (contra: FARANDA, FIANDACA, MUSCO, FIORE, BOSCARELLI, MANTOVANI, NUVOLONE, PAGLIARO, PEDRAZZI).

Una sorta di «eccesso doloso in consenso dell'avente diritto» era dato rinvenire nell'art. 382, secondo comma, del codice Zanardelli, in tema di aborto.

Ora, vediamo di tracciare i confini della scriminante di cui all'art. 50 c.p. rispetto a ciò che pure rientra nel fenomeno del consenso.

In primo luogo, è necessario che il consenso che ci interessa vada distinto dalla mancanza di dissenso.

Se si dica al sodale: «Prego, ruba pure qualche pacchetto di sigarette dalla mia stecca», o se si dica, pazientemente, all'importuno rappresentante di «inammissibili» elettrodomestici, che ci rovina la digestione, o una «sana» avventuretta: «Prego, entri pure», non si assolverà dall'accusa di furto, o da quella di violazione di domicilio, «perché il fatto non costituisce reato», ai sensi dell'art. 50 c.p., ma, in entrambi i casi, «perché il fatto non sussiste», per difetto della sottrazione, quanto al furto, e, quanto alla violazione di domicilio, perché l'introduzione nei luoghi di cui all'art. 614 c.p. non avviene contro la volontà, espressa o tacita, del titolare del jus exscludendi.

Ancora, se si permetta a taluno di aprire la lettera al «consenziente» indirizzata, non si verserà nell'ipotesi di consenso dell'avente diritto, ma verrà meno il segreto, e, quindi, di nuovo, il fatto (ANTOLISEI, CRESPI, MONACO, CONCAS).

La distinzione che stiamo enunciando è, per vero, chiarissima a tutta la dottrina, ma, non senza sconcerto, da parte nostra, dopo le prime tre o quattro...

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