Il concorso anomalo

AutoreRuggero Scibona
Pagine387-390

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Il cosiddetto concorso anomalo ex art. 116 c.p. costituisce una fattispecie di concorso nel reato alquanto complessa.

Infatti, poiché la configurazione strutturale di detta fattispecie comporta la responsabilità penale, a titolo di concorso, per un reato diverso da quello voluto, giova ricordare che il concorso anomalo ha generato da sempre aspri dibattiti sia in dottrina sia in giurisprudenza circa la compatibilità costituzionale dell’art. 116 c.p. con l’art. 27 Cost. ed il principio di personalità della responsabilità penale ivi previsto in ordine all’esatta individuazione di un adeguato criterio di riferibilità soggettiva del reato non voluto al concorrente ex art. 116 c.p..

Al riguardo, si ricorda che una significativa indicazione nel segno della sostanziale conformità al dettato costituzionale è giunta dalla nota sentenza interpretativa di rigetto Corte Cost. 13 maggio 1965, n. 41, in questa Rivista 1965, p. 598, la quale, dopo avere respinto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 c.p., sulla scorta di una lettura costituzionalmente orientata della detta norma affermava che, ai fini della sussistenza della responsabilità per concorso anomalo, fosse necessario “non soltanto un rapporto di causalità materiale, ma anche un rapporto di causalità psichica, concepito nel senso che il reato più grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la presenza di un coefficiente di colpevolezza”.

In altri termini, la natura oggettiva della responsabilità a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p. veniva esclusa alla luce di un’interpretazione aderente al dettato costituzionale, che valorizzasse elementi indispensabili a sostanziare un chiaro criterio di riferibilità soggettiva dell’evento non voluto, come confermato anche da quanto statuito dalla stessa Corte Cost. nella sentenza n. 364/1988.

In proposito, si osserva che il sopra accennato orientamento interpretativo è stato fatto proprio anche dalla Corte Regolatrice, la quale, però, non ha manifestato intendimenti sempre univoci circa le modalità necessarie al fine di verifi-care la sussistenza della sopra menzionata prevedibilità.

In altre parole, posto che non è possibile pervenire ad alcun risultato circa la detta prevedibilità del reato non voluto se non tramite una cosiddetta prognosi postuma ovvero una prognosi successiva alla verificazione del detto reato, si precisa che la Giurisprudenza della suprema Corte ha manifestato ampie oscillazioni sul punto.

Infatti, se, da un lato, la Suprema Corte ha affermato il principio alla stregua del quale “in tema di rapina programmata con l’approntamento di arma micidiale, seguita da tentato omicidio, ai fini della sussistenza del rapporto di causalità psichica ex art. 116 c.p., non occorre affatto che l’evento diverso da quello voluto sia stato concretamente previsto o tanto meno accettato dal concorrente come possibile conseguenza delle sue azioni od omissioni, ma è sufficiente la semplice prevedibilità in astratto, in base all’ordinario evolversi delle azioni umane”,1 dall’altro, la stessa Suprema Corte ha, più recentemente, statuito che “in tema di concorso anomalo, la prognosi postuma sulla prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente va effettuata in concreto, con riferimento alla personalità dell’imputato e alle circostanze ambientali nelle quali si è svolta l’azione”.2

Pertanto, la sussistenza del concorso anomalo ex art. 116 c.p. implica la ricorrenza di una molteplicità di elementi specifici sia sotto il profilo soggettivo sia sotto l’aspetto oggettivo, che si sostanziano in un rapporto di causalità tra il reato voluto ed il reato non voluto, dovendosi presentare il secondo come una sorta di eziologica conseguenza del primo, e in una determinazione della volontà dell’agente connotata nel segno della colpa, in forza della quale l’agente abbia previsto l’evento non voluto come conseguenza di quello voluto.

Infatti, la Corte Regolatrice ha statuito il principio in forza del quale “sussiste la responsabilità a titolo di concorso anomalo, ex art. 116 c.p., in ordine al reato più grave e diverso da quello voluto qualora vi sia la volontà di partecipare con altri alla realizzazione di un determinato fatto criminoso ed esista un nesso causale nonché psicologico tra la condotta del soggetto che ha voluto solo il reato meno grave e l’evento diverso, nel senso che quest’ultimo deve essere oggetto di possibile rappresentazione in quanto logico sviluppo, secondo l’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, di quello concordato, senza peraltro che l’agente abbia effettivamente previsto ed accettato il relativo rischio, poiché in tal caso ricorrerebbe l’ipotesi di concorso ex art. 110 c.p.; inoltre, la prognosi postuma sulla prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente va effettuata in concreto, valutando la personalità dell’imputato e le circostanze ambientali nelle quali si è svolta l’azione”.3

Per converso, si deve escludere la ricorrenza di un’ipotesi di concorso anomalo ex art. 116 c.p., ove non ricorrano i suddetti requisiti e, dunque, non solo quando, sotto il profilo oggettivo, il reato non voluto non costituisca una conseguenza o uno sviluppo, quanto meno secondo l’ordinario svolgersi degli eventi ovvero alla luce di un criterio di regolarità causale, di quello voluto e presenti le caratteristiche dell’eccezionalità, ma anche quando, sotto l’aspetto soggettivo, non sia possibile rinvenire una determinazione della volontà qualificabile come colpa.

Infatti, la Corte Regolatrice ha affermato il principio alla stregua del quale “in tema di concorso di persone nel reato, la configurazione del concorso cd. «anomalo» di cui all’art. 116 c.p., è soggetta a due limiti negativi: a) l’accertamento che l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, che il reato più grave non sia

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stato già considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata; b) l’accertamento della non atipicità dell’evento diverso, o più grave, rispetto a quello concordato, in modo che l’evento realizzato non sia conseguenza di circostanze eccezionali, imprevedibili e non ricollegabili all’azione criminosa, sì da interrompere il nesso di causalità”.4

Peraltro, a prescindere da sottili disquisizioni dottrinali circa la distinzione tra eccezionalità del fatto diverso da quello voluto, come elemento oggettivo idoneo ad...

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