Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico

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    Le precedenti Rassegne di giurisprudenza pubblicate in questa Rivista hanno riguardato, rispettivamente, Abuso dei mezzi di correzione e di disciplina (1996, 669); Bellezze naturali (vincolo paesaggistico-ambientale) (1997, 113); Delitti contro l'assistenza familiare (1996, 1283); Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (1999, 407); False informazioni al pubblico ministero (1996, 141); I delitti contro la personalità interna dello Stato (1996, 811); I reati di assenza dal servizio alle armi (1996, 407); Il dolo nella ricettazione (1997, 779); Il furto (1999, 791); Incompatibilità, astensione, ricusazione del giudice e rimessione del processo (1996, 255); L'abuso di ufficio (1996, 917); La diffamazione commessa col mezzo della stampa (1997, 971); La nuova disciplina della caccia (1996, 537); La nuova gestione dei rifiuti (1999, 1047); La tutela degli alimenti nel codice penale (1998, 211); Le interferenze illecite nella vita privata (1997, 253); L'obiezione di coscienza al servizio militare (1997, 537); Sulla protezione del diritto d'autore: l'art. 171 della L. n. 633/41 (1996, 1033); Sulle nuove norme in tema di violenza sessuale (1998, 637).


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@a) Configurabilità

Il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero; ne deriva che non può integrare il reato de quo la falsa denuncia di smarrimento di un assegno effettuata mediante dichiarazione raccolta a verbale da un ufficiale di polizia giudiziaria, alla quale nessuna disposizione conferisce l'idoneità a provare la verità del fatto denunciato e la preesistenza del documento asseritamente smarrito.

    Cass. pen., Sezioni Unite, 9 marzo 2000, n. 30 (c.c. 15 dicembre 1999), P.M. in proc. Bettin, in questa Rivista 2000, 325.


Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) sussiste solo qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso la configurabilità del delitto de quo nel caso di falsa denuncia di smarrimento di un assegno bancario ricevuta a verbale da ufficiale di polizia giudiziaria).

    Cass. pen., Sezioni Unite, 31 marzo 1999, n. 6 (ud. 17 febbraio 1999), Lucarotti, in questa Rivista 1999, 454.


La falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, prevista dall'art. 483 cod. pen., riguarda le sole attestazioni del privato che il pubblico ufficiale ha il dovere di documentare. Tale ipotesi criminosa, quindi, presuppone un collegamento tra il privato autore della falsificazione e il pubblico ufficiale che, pur estraneo al falso, deve raccogliere le attestazioni del primo.

    Cass. pen., sez. V, 20 aprile 1983, n. 3312 (ud. 11 febbraio 1983), Farina.


Le false attestazioni rese a pubblico ufficiale in atto pubblico sono punibili penalmente, con la sanzione dell'art. 483 cod. pen., soltanto se l'atto sia stato ricevuto da un pubblico ufficiale competente e, per disposizione di legge, abbia la funzione specifica di provare i fatti in esso attestati. Ciò non si verifica nell'ipotesi di «atti notori» rilasciati dal Sindaco ai sensi dell'art. 151, n. 8, della legge comunale e provinciale, i quali vanno intesi nel senso di certificazione del risultato di indagini appositamente esperite o di una conoscenza della pubblica opinione sul fatto da attestare. Il potere di rilascio dei detti «attestati di notorietà pubblica» deve sempre intendersi limitato ai soli casi in cui essi siano richiesti o consentiti espressamente dalla legge per la prova di determinati fatti o rapporti.

    Cass. pen., sez. V, 26 marzo 1969, n. 563, Cucè ed altri.


L'art. 483 cod. pen., punendo il privato che attesta falsamente al pubblico ufficiale in atto pubblico fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, vuol riferirsi a quei fatti, attestati dal privato, che abbiano una rilevanza probatoria inerente all'essenza funzionale dell'atto, sempre che il privato abbia, però, il dovere giuridico di attestazione veridica dei fatti stessi (perché solo di tali fatti l'atto può essere destinato a provare la verità). Perché il privato abbia l'obbligo giuridico di attestare la verità di fatti è necessario che tale dovere giuridico sia stabilito in modo indiscutibile dalla legge. L'art. 518 cod. proc. civ., che stabilisce le modalità del processo verbale di pignoramento mobiliare non impone al creditore istante di intervenire né di fare attestazioni di verità che l'atto sia destinato a provare. L'ufficiale giudiziario deve ricercare le cose da pignorare nei luoghi indicati nell'art. 513 cod. proc. civ. e può all'uopo tenere conto delle indicazioni fornitegli dal creditore; ma a tali indicazioni non è dalla legge riconosciuta alcuna efficacia probatoria ed esse lasciano impregiudicato il diritto di impugnativa del debitore o del terzo. Pertanto, eventuali dichiarazioni mendaci non integrano il delitto di cui all'art. 483 c.p.

    Cass. pen., sez. V, 31 marzo 1969, n. 740, Airaldi ed altro.


La dichiarazione dell'interessato, su fatti da lui direttamente conosciuti, e dei quali essa è destinata a provare la verità, quando per disposizione di legge sia resa ad un funzionario, il quale provveda all'autenticazione della sottoscrizione, deve essere considerata come resa al pubblico ufficiale, onde la configurabilità del delitto di cui all'art. 483 cod. pen. in caso di mendacio. (Fattispecie in tema di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale, per ottenere il beneficio del gratuito patrocinio, di non essere proprietario di beni immobili).

    Cass. pen., sez. V, 20 gennaio 1984 (c.c. 16 gennaio 1984, n. 72), La Barbera.


Integra gli estremi del reato di cui all'art. 483 cod. pen. la falsa attestazione resa da chi, colpito dal provvedimento prefettizio di sospensione della patente di guida, affermi in verbale di esecuzione contrariamente al vero, di avere smarrito la patente stessa.

    Cass. pen., sez. V, 12 ottobre 1989, n. 13593 (ud. 20 giugno 1989), Sanna.


La falsa dichiarazione di essere proprietario di un veicolo resa dal privato in un atto del quale il notaio si è limitato ad autenticare la sottoscrizione integra un falso ideologico commesso in una scrittura privata, come tale non punibile.

    Cass. pen., sez. V, 13 settembre 1990, n. 12331 (ud. 31 maggio 1990), Perin.


Si configura il reato di cui all'art. 483 c.p., ogniqualvolta il privato abbia l'obbligo di attestare un fatto in un atto pubblico che sia destinato, per disposizione di legge, a provare la veridicità delle asseverazioni in esso raccolte. Conseguentemente, risponde del delitto in questione colui che attesti falsamente, in una denuncia sporta ai carabinieri, lo smarrimento del contrassegno di assicurazione del proprio autoveicolo, così determinando la sospensione del relativo contratto ad opera della compagnia assicuratrice.

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    Cass. pen., sez. V, 3 marzo 1995, n. 2218 (ud. 2 febbraio 1995), P.M. in proc. Carè.


La dichiarazione sostitutiva regolata dalla legge 4 gennaio 1968 n. 15 può attenere, oltre che a stati e qualità personali, ai quali fa riferimento l'art. 2, anche a fatti, cioè a ogni situazione concreta ed obiettiva attinente a persone o a beni, di cui il dichiarante affermi di essere direttamente a conoscenza, poiché l'ambito di operatività previsto dall'art. 4 è più ampio di quello previsto dall'art. 2. Né ha alcun rilievo che il funzionario che riceve l'atto e vi appone l'autenticazione della sottoscrizione, non sia competente o espressamente delegato a tale funzione, o che i timbri posti in calce al documento non facciano alcun riferimento a tale delega potendosi escludere la falsità solo quando, essendo l'organo o l'ente nell'ambito del quale il funzionario stesso opera del tutto sfornito di competenza in tal senso, debba parlarsi di inesistenza dell'atto medesimo. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha precisato che integra gli estremi dell'art. 483 c.p. la falsa dichiarazione sostitutiva di un atto di notorietà presentata al capo dell'ufficio tecnico del comune con la quale l'interessato attesta l'esistenza pluriventennale di un manufatto edilizio).

    Cass. pen., sez. V, 20 dicembre 1996, n. 10877 (ud. 30 settembre 1996), Trevisan.


L'atto di riconoscimento di figlio naturale, meramente facoltativo, non è diretto ad attestare la verità della procreazione del figlio, ma a creare un titolo di stato prima inesistente; ne consegue che la falsità riguarda il fatto materiale della procreazione delle persone riconosciute e non già il loro stato.

    Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 1970, n. 101, Barni.


Il riconoscimento di figlio naturale costituisce una dichiarazione di scienza rivolta a conferire certezza al fatto della procreazione, di cui è destinato a provare la verità. Commette, pertanto, il delitto di falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 c.p.) il privato che effettui falsa dichiarazione di paternità naturale in un atto ricevuto da notaio.

    Cass. pen., sez. V, 11 gennaio 1995, n. 149 (ud. 24 ottobre 1994), P.M. in proc. Fieno ed altro.


Concorre nella materialità del delitto di falsità ideologica di cui all'art. 483 c.p. il notaio che riceve la dichiarazione non veritiera di riconoscimento di figlio naturale. (Fattispecie nella quale numerosi cittadini somali ed etiopi, allo scopo di conseguire la cittadinanza italiana, si erano fatti...

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