I Rapporti tra imputabilità, pericolosità sociale e misure di sicurezza

AutorePietro Semeraro

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1. Premessa

Nell’ambito della disciplina dell’imputabilità, il legislatore italiano del 1930 si è trovato innanzi alla duplice alternativa di definire un elenco tassativo di cause di non imputabilità oppure delegare al giudice l’accertamento della presenza della capacità di intendere e di volere alla luce di parametri generali.1

Il codice penale, tuttavia, ha assunto una posizione intermedia rispetto a questa duplice possibilità in quanto, da una parte, ha contemplato un catalogo di cause di esclusione dell’imputabilità e, dall’altra, ha sancito che nessuno può essere punito se al momento in cui ha compiuto il fatto non era imputabile.

In riferimento al primo profilo, invero, va posto in rilievo che gli artt. 88, 89, 91, 95, 96, 97 e 98 c.p. elencano esplicitamente le ipotesi di non imputabilità (ed imputabilità diminuita) come la minore età, il vizio parziale o totale di mente, l’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti. Relativamente al secondo aspetto, invece, preme osservare che l’art. 85 c. p. - nel disciplinare in generale la materia in esame - utilizza una formula che pone la capacità di intendere e di volere quale presupposto imprescindibile della responsabilità penale, indipendentemente dalla natura o dalla tipologia della causa che ne abbia comportato l’esclusione (o la diminuzione); l’art. 85 c.p., più precisamente, sancisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile”, aggiungendo che “è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.

Per quanto concerne l’inimputabilità determinata da alterazione psichica, la giurisprudenza, tuttavia, per lungo tempo ha ancorato la nozione di vizio di mente al concetto di infermità, richiedendo che un’infermità psichica o fisica avesse determinato un tale stato mentale da escludere (o scemare grandemente) la capacità di intendere e di volere. In tal guisa, le ipotesi di incapacità rilevante sono state limitate a quelle derivanti da un vero e proprio quadro di evidenza patologico escludendo tutti i disturbi, le anomalie e le deficienze psichiche non definibili come malattia. Questo orientamento, accolto nella prospettiva di evitare il rischio di facili assoluzioni fondate sull’esistenza di generici disturbi psichici, conseguentemente, ha finito per produrre una deroga al principio di colpevolezza tutte le volte in cui lo stato di incapacità non potesse essere ricollegato a veri e propri processi patologici del soggetto attivo.

Successivamente, da un lato, gli artt. 88 e 89 c.p. sono stati sottoposti ad un’interpretazione estensiva e, dall’altro, è stato valorizzato il significato dell’art. 85 c.p. sottolineandone la portata di principio generale; in tal modo, quindi, sono state gradualmente ricomprese nel concetto di malattia non soltanto le ipotesi di infermità di cui sia accertata o ipotizzabile una base organicistica (come psicosi, oligofrenie e schizofrenie) ma anche altre anomalie psichiche connotate, fondamentalmente, da notevoli deviazioni comportamentali (come le psicopatie, le nevrosi ed i disturbi degli impulsi); la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 8 marzo 2005, n. 91632 si colloca in questo nuovo orientamento e si segnala all’attenzione per avere ricompreso nel concetto di infermità anche i gravi disturbi della personalità che abbiano effettivamente escluso o grandemente diminuito la capacità di intendere e di volere.3

2. Imputabilità e gravi disturbi della personalità

Mediante la sentenza 8 marzo 2005, n. 9163 le Sezioni Unite hanno statuito che “anche i disturbi della personalità come quelli da nevrosi e psicopatie possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli artt. 88 e 89 c. p. sempre che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da incidere concretamente sulla stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini dell’imputabilità le altre anomalie caratteriali e gli stati emotivi e passionali, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente; è, inoltre, necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico che consenta di ritenere il secondo causalmente determinato dal primo”.

Da codesto angolo di visuale, quindi, possiamo affermare che ai “disturbi della personalità” è stata riconosciuta natura di “infermità” rilevante purché essi abbiano condizionato considerevolmente il funzionamento dei meccanismi intellettivi e volitivi dell’individuo. Il più moderno e diffuso manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM-IV, messo a punto dall’American Psychiatric Association nel 1994 (in gran parte sovrapponibile all’altra classificazione dettata dall’ICD nel 1992 ed approvata da molti stati membri dell’OMS) enuclea - con una nomenclatura nosografica che richiama sintomi e non malattie - i principali disturbi mentali in diciassette classi diagnostiche e tra queste include anche l’autonoma categoria dei “disturbi della personalità” che ricomprende - suddivisi in tre gruppi - il disturbo paranoide di personalità, quello

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schizoide, quello schizotipico, quello antisociale, quello borderline,4 quello istrionico, quello narcisistico e quello ossessivo-compulsivo.

Le conclusioni a cui sono giunte le Sezioni Unite, inevitabilmente, si riverberano non soltanto sul tema dell’imputabilità ma anche sulla materia sanzionatoria e, più precisamente, sull’applicazione delle misure di sicurezza nei confronti di non imputabili e semimputabili, poiché i soggetti non imputabili autori di reato sono sottoponibili nel nostro ordinamento all’applicazione di quel particolare tipo di sanzioni denominate misure di sicurezza, allorquando essi risultino socialmente pericolosi; più precisamente i socialmente pericolosi affetti da vizio totale di mente possono essere internati nell’ospedale psichiatrico giudiziario, mentre i soggetti caratterizzati da vizio parziale sono sottoponibili al regime del doppio binario, cioè l’applicazione della pena detentiva seguita dalla casa di cura e di custodia.

3. Le misure di sicurezza

Le misure di sicurezza sono strumenti volti ad eliminare la c.d. pericolosità sociale degli autori di illecito penale e vengono definite dalla dottrina come sanzioni (da assume- re con il rispetto delle garanzie giurisdizionali) mediante le quali lo Stato persegue l’obiettivo di realizzare una difesa sociale anticipata, sottoponendo determinati soggetti imputabili o non imputabili alla privazione o restrizione della libertà personale a causa della loro pericolosità.5

Esse sono disciplinate dal codice penale vigente (art. 199 e seguenti) che contempla sia quelle di natura personale (cioè la casa di lavoro o colonia agricola, l’ospedale psichiatrico giudiziario, il riformatorio giudiziario, la casa di cura e di custodia nonché la libertà vigilata), sia quelle...

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