I mezzi di prova

AutoreStefano Ambrogio
Pagine135-151

Page 135

@1 Testimonianza

La testimonianza è un mezzo di prova tipico che ha ad oggetto l’assunzione di dichiarazioni in ordine ai fatti utilizzabili dal giudice per la sua deliberazione.

In quanto tipico mezzo di prova l’assunzione della testimonianza può avvenire solo in dibattimento (artt. 497-500 c.p.p.) oppure in sede di incidente probatorio (art. 392 c.p.p.). Durante la fase delle indagini preliminari o l’udienza preliminare, le persone informate non "testimoniano" ma "rendono informazioni ", che eventualmente possono essere utilizzate in dibattimento, dopo le contestazioni (art. 500, co.6 c.p.p.).

L’art. 194 c.p.p. fissa i limiti entro i quali la testimonianza può essere ammessa:

-il testimone deve essere esaminato su fatti specifici e determinati e su quelli strettamente connessi;

-il teste non può mai essere chiamato a rispondere sulla moralità dell’imputato, salvo non si tratti di circostanze specifiche attinenti al tema della prova; - possono essere sempre poste domande relative ai rapporti tra il teste e l’imputato o le altre parti del processo o altri testi, utili per valutarne la credibilità;

-il testimone può essere sentito anche su fatti concernenti la persona offesa, quando il comportamento dell’imputato si ritenga condizionato da quello della vittima.

Il testimone è chiamato a raccontare fatti precisi, di cui assume la responsabilità per averli vissuti in prima persona (testimonianza diretta) o per averli appresi da altri soggetti individuati (testimonianza indiretta o de relato); ne consegue che nessun valore può essere attribuito alle voci diffuse senza indicazione di una fonte precisa (si pensi al "si diceva in giro che…") ed agli apprezzamenti personali, senza alcuna specifica e riconosciuta competenza in materia (si pensi al "mi sembrava una persona tranquilla").

In ottemperanza al principio del contraddittorio da cui deriva il divieto di attribuire valore di prova alle dichiarazioni raccolte al di fuori del processo, nel caso di testimo-

Page 136

nianza indiretta (o de relato) la deposizione del teste può essere utilizzata solo se il teste riveli le generalità del soggetto da cui ha appreso le notizie e questi venga a sua volta chiamato a testimoniare, anche d’ufficio dal giudice. Ai fini della credibilità del racconto, il giudice resta libero di verificare se dare credito al testimone de relato, ovvero al teste di riferimento chiamato successivamente a deporre. Ciò che conta è che entrambi siano sentiti in contraddittorio.

Se la persona a cui il teste fa riferimento non è chiamata a deporre, la testimonianza indiretta è inutilizzabile, a meno che l’esame risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità del teste di riferimento (art. 195 c.p.p.).

È vietata la testimonianza de relato da parte degli organi della polizia in relazione ad informazioni assunte da testimoni sia nel caso in cui siano state osservate le modalità degli artt. 351 e 357 lett. a) e b), c.p.p., sia nel caso in cui tali modalità non siano state osservate (Corte Cost. 30-7-2008, n. 305 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 195, co.4, c.p.p.), al fine di evitare che abbiano ingresso nel processo atti investigativi non ammissibili e non utilizzabili.

Ogni persona ha la capacità di testimoniare (art. 196 c.p.p.).

La capacità di testimoniare non è limitata dalla capacità di agire o dalla stessa capacità di intendere e di volere (cd. capacità naturale), motivo per il quale possono essere assunti come testimoni anche il minore o l’inter-detto.

L’idoneità a rendere testimonianza è concetto diverso e di maggiore ampiezza rispetto a quello della capacità naturale, implicando non soltanto la necessità di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche il discernimento critico del contenuto delle domande al fine di dare risposte coerenti, la capacità di valutazione delle domande suggestive, la sufficiente capacità mnemonica in ordine a fatti specifici oggetto della deposizione e la piena coscienza dell’impegno di riferire con verità e completezza i fatti a sua conoscenza. Pertanto, l’obbligo di accertamento della capacità di intendere e di volere non deriva da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore del testimone, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme mancanza, nel testimone, di ogni elemento sintomatico della sua assunzione di responsabilità comportamentale in relazione all’ufficio ricoperto (Cass., I, 28-3-1998).

In ogni caso, possono essere disposti accertamenti per verificare le condizioni fisiche e mentali del testimone, i quali però non incidono sull’ammissibilità della testimonianza bensì sulla credibilità del contenuto delle dichiarazioni rese.

Non possono essere sentiti come testimoni il responsabile civile e il civil-mente obbligato per la pena pecuniaria.

In questi casi il soggetto, che è comunque a conoscenza dei fatti, non può essere chiamato a prestare giuramento, ma deve essere esaminato come le

Page 137

altre parti (par. 2), potendo avvalersi della facoltà di non rispondere, al pari dell’imputato, in quanto non può essere costretto ad indicare elementi a proprio carico.

Ai sensi dell’art. 197 c.p.p. non possono essere chiamati a testimoniare:

-i coimputati nel medesimo reato e nel medesimo procedimento: si pensi al caso di giudizio direttissimo a carico di più imputati arrestati per una rapina commessa in concorso tra loro;

-gli imputati di procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 lett. a): si pensi al caso di soggetti imputati di appartenere alla medesima associazione a delinquere, giudicati in diversi procedimenti. Se però alcuni di questi soggetti vengono giudicati prima degli altri con sentenza passata in giudicato, nei loro confronti non sussiste più l’esigenza di una maggiore tutela e possono quindi essere chiamati a prestare giuramento come testimoni nei confronti degli altri associati (art. 197 bis c.p.p.);

-gli imputati di procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 lett. c): si pensi al soggetto che, fuori dai casi di concorso, sia accusato di aver aiutato l’omicida ad occultare il cadavere. In questo caso, vale la considerazione sopra svolta sulla mancanza delle ragioni di incompatibilità qualora il soggetto sia stato già giudicato con sentenza passata in giudicato;

-gli imputati di reato collegato: si pensi al caso di un imputato di ricettazione per aver acquistato da altro soggetto, accusato di furto, la refurtiva. In questa ipotesi, come nelle due precedenti valgono le medesime considerazioni sul venir meno della incompatibilità a seguito di sentenza passata in giudicato;

-i soggetti che hanno svolto altro ufficio nel medesimo procedimento: magistrato, ausiliario del giudice o del p.m., difensore che ha svolto attività investigativa e soggetti che hanno collaborato con lui nella verbalizzazione.

Con la L. n.63/2001 il legislatore ha introdotto nel giusto processo l’istituto della testimonianza assistita, in virtù del quale, in determinati casi (indicati nei commi 1 e 2 dell’art. 197 c.p.p.), le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che vengono assunte come testimoni devono essere sentite con l’assistenza del difensore e le loro dichiarazioni devono essere riscontrate da elementi che ne confermino l’attendibilità.

La norma intende perseguire due obiettivi:

-garantire la presenza del difensore per soggetti che sono stati comunque sottoposti a procedimento penale per reati connessi o collegati, a tutela dei soggetti medesimi;

-garantire un maggior rigore nella verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese da testi che non possono essere più considerati indifferenti, in quanto coindagati con le persone raggiunte dalle loro accuse.

Page 138

Il legislatore non ha previsto, quale motivo di incompatibilità, il rapporto di parentela o di affinità tra imputato e testimone.

Invero, il legame non incide necessariamente sulla volontà e sulla possibilità del congiunto dell’imputato di riferire le circostanze a lui note, rilevanti per il giudizio. Difatti, vi può essere interesse ad accusare l’imputato (si pensi alla moglie maltrattata dal marito) ovvero vi può essere l’interesse opposto a far valere l’estraneità al fatto del proprio congiunto (si pensi all’alibi fornito dal coniuge dell’imputato), ma si comprende bene che tali interessi influiscono sull’attendibilità del teste e non sulla volontà di testimoniare.

Tuttavia, vi può essere anche il caso del congiunto che sia a conoscenza di elementi a carico dell’imputato e sia combattuto dalla volontà di salvarlo da un "male inevitabile", qual è la condanna penale, che peraltro si riverserebbe anche sul buon nome della famiglia.

Da tutte queste considerazioni nasce la disciplina dettata dall’art. 199 c.p.p., che consente al congiunto dell’imputato di effettuare le proprie valutazioni, offrendogli la facoltà di astenersi dal testimoniare: il giudice deve, a pena di nullità, avvisare di tale facoltà il testimone che sia parente...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT