I Limiti costituzionali della libertà religiosa

AutoreCarlo Ludovico Favino
Pagine99-101

Page 99

@1. Il limite dei riti contrari al buon costume.

L'art. 19 della Costituzione garantisce l'esercizio del culto in pubblico e in privato, indipendentemente dal tipo di confessione religiosa o dalla posizione della coscienza del singolo, con l'unica eccezione dei «riti contrari al buon costume», che non sono da considerarsi legittimi. Nei confronti dell'esercizio del diritto di libertà religiosa e nelle manifestazioni che da esso derivano, riunioni in luogo pubblico e privato, non operano i limiti generici dell'ordine pubblico; diverso rimane il discorso, invece, per i «comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica» 1, che sono suscettibili di rappresentare motivo sufficiente per l'Autorità a negare il nullaosta richiesto. La stessa Corte costituzionale, con la sentenza 18 marzo 1957, n. 45, ha stabilito del resto l'illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 25 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 18 giugno 1931, n. 773, che obbligava a dare «preavviso per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose in luoghi aperti al pubblico, in riferimento all'art. 17 della Costituzione» 2, facendo rientrare la disciplina delle riunioni a carattere religioso nella disciplina generale di tutte le riunioni, sia per quanto riguarda la libertà delle riunioni religiose, sia per i limiti cui essa deve sottoporsi. In effetti, a ben guardare, l'obbligo del preavviso non ha senso se attraverso di esso si cerca di agire in via preventiva, perché al di fuori di quei casi di «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica», una restrizione della sfera delle libertà del singolo è eccessiva. Chi può dire quale sarà il comportamento di un individuo in una determinata situazione, prima che lo stesso lo renda manifesto? Inoltre, il comportamento dell'individuo, qualora travalichi i limiti fissati dalla legge, diventa un illecito giuridico, eventualmente anche di natura penale, ma solo nel momento della concretizzazione della sua condotta, non già in via preventiva, né mai nell'ampio campo delle possibilità umane; l'eventuale trasgressione sarà accompagnata da una sanzione posta a garanzia del divieto. Rebus sic stantibus, il limite dei riti contrari al buon costume, «in verità sembra più teorico che pratico, poiché l'esperienza religiosa del nostro Paese - comune a quella di tutti i popoli che praticano le religioni sorte nel bacino del Mediterraneo o proliferate dal ceppo di esse, come, del resto, a quella delle grandi religioni dell'oriente - non conosce formazioni confessionali che compiano riti contrari al buon costume» 3; e pure, per assurdo, esistessero delle associazioni confessionali che predicassero e celebrassero riti «che offendano la libertà sessuale, il pudore, e l'onore sessuale» 4, ciò che è penalmente escluso per garantire il rispetto del buon costume, il limite anzidetto agirebbe come già rilevato, solamente a posteriori, e non in via preventiva. Il limite troverebbe ambito operativo solo di fronte all'effettiva celebrazione di questi riti, rimanendo «inoperante nei confronti di quelle confessioni religiose le quali contemplassero nel loro patrimonio liturgico riti del genere, ma non li esercitassero concretamente» 5. La prevenzione trova riscontro e fondamento nella Costituzione per ciò che attiene ad altre situazioni diverse da quelle a sfondo religioso; ciò che viene offerto al pubblico, attraverso la carta stampata o l'organizzazione di uno spettacolo, o altre manifestazioni, può essere soggetto ad un controllo preventivo da parte dello Stato, ma ciò non vale per le riunioni religiose, che in virtù della loro natura associativa non possono essere considerate alla stregua di meri spettacoli. Interpretando ancora più chiaramente la pronunzia del 18 marzo 1957, n. 45, l'ordinamento non prevede che «ad ogni limitazione posta ad una libertà costituzionale debba implicitamente corrispondere il potere di un controllo preventivo dell'autorità di pubblica sicurezza», ed in questo assunto va ricercata l'esclusione della possibilità, da parte dell'Autorità, di vietare preventivamente quelle funzioni e celebrazioni religiose che contemplino l'esecuzione di riti contrari al buon costume. Se ammettessimo questo, d'altra parte, e cioè che l'unico limite costituzionale all'esercizio del diritto di libertà religiosa risiede nel divieto di celebrazione di riti contrari al buon costume, commetteremmo un imperdonabile errore. Non tutto può essere lecito, e dei limiti ulteriori rispetto a quello sancito dall'art. 19 della Costituzione si sono imposti all'esercizio del diritto di libertà religiosa.

Limite invalicabile appare il diritto alla vita, così come sancito dall'art. 2 della Costituzione, in tutti quei casi eventuali in cui l'esercizio del diritto di libertà religiosa venisse a scontrarsi con questo diritto indisponibile e fondamentale; nel caso estremo in cui l'appartenenza ad un gruppo imponesse pratiche religiose incentrate sul sacrificio umano. Limite ulteriore può ancora riscontrarsi nel diritto alla libertà personale, che discende dall'art. 13 della Costituzione, e che verrebbe chiamato ad operare nel caso in cui l'esercizio del diritto di libertà religiosa si configurasse per l'appartenente al movimento religioso nella sua riduzione in schiavitù fisica o mentale.

Altri limiti all'esercizio del diritto di libertà religiosa sono costituiti dal diritto alla salute e dal principio del consenso ai trattamenti sanitari, dal divieto di riunioni armate e di associazioni segrete e anche dai limiti propri della libertà di propaganda, le cui tecniche, al pari di quelle di proselitismo, non sono tutte legali e vanno considerate anche in relazione al diritto di libertà religiosa.

@2. La tutela penale del sentimento religioso.

Per meglio comprendere il discorso bisogna pensare al diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, costituzionalmente garantito dall'art. 21 della Carta. Questo diritto è riconosciuto...

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