I diritti televisivi

AutoreAlessandro Maionchi
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@1. Introduzione

Nell’attuale contesto sportivo, si nota un interesse sempre crescente nei confronti dei diritti televisivi. Quando si parla di contesto sportivo, ci raffiguriamo tutti gli sport che vengono praticati, o almeno, quelli riconosciuti a livello olimpico. In tema di diritti televisivi, però, lo sport che più di ogni altro viene interessato, è il calcio. Al di là delle declamazioni teoriche è innegabile che quando si parla di trasmissioni in chiaro di competizioni sportive, in Italia e non solo, si pensa immediatamente al calcio, in quanto sport più seguito. Della scomparsa degli altri sport meno seguiti dall’emittenza in chiaro, infatti, pochi si sono accorti, ma gli effetti di un travaso delle competizioni calcistiche verso le emittenti ad accesso condizionato sono subito apparsi da scongiu- rare per le intuitive reazioni del pubblico, tant’è che, in dottrina, riguardo alla ormai passata scelta comunitaria si parlò di una novella versione di panem et circenses1.

Ciò ha determinato un forte interessamento degli operatori pubblicitari i quali investono ingenti quantità di denaro nella pubblicità durante le partite di calcio, innescando così un circolo vizioso che lo ha portato ad essere lo sport più conteso dai diritti televisivi e allo stesso tempo lo sport più dipendente dai diritti televisivi stessi. I diritti televisivi nel settore degli avvenimenti sportivi sono, infatti, diventati una delle maggiori fonti di entrata per le società calcistiche e per le emittenti televisive a pagamento. Al riguardo, in dottrina, in materia di sfruttamento radiotelevisivo degli eventi sportivi, si è sottolineato come tale argomento si incentra sulla bipartizione tra cronaca sportiva (ammissibile entro i limiti contrattualmente stabiliti dalle parti, salve le garanzie di matrice legislativa) e spettacolo, nella piena disponibilità dell’organizzatore2. A questi due elementi deve aggiungersene un terzo che ultimamente ha preso piede in particolare nel settore dell’emittenza radiotelevisiva: si allude al c.d. diritto all’informazione degli utenti cui si informa la disciplina dell’attività radiotelevisiva, di cui tratteremo più diffusamente nell’ultima parte di questo scritto (infra par. 7).

Una svolta importante in questo senso la si è avuta nel momento in cui i clubs sportivi si sono trasformati in società di capitali con scopo di lucro. Ciò è avvenuto a seguito dell’approvazione del d.l. 20 settembre 1996, n. 485, convertito con modifica-Page 288zioni, dalla l. 18 novembre 1996, n. 586 e, grazie alla vendita dei diritti televisivi, sono approdati sui mercati finanziari, diventando vere e proprie società per azioni quotate in borsa.

I diritti tv sono visti attualmente come la panacea per la crisi del calcio, la possibilità di gestirli a seconda del media e del protocollo usato permette, infatti, di aumentare notevolmente i guadagni. Al riguardo, pare importante sottolineare come il business della vendita dei diritti televisivi non è assolutamente solo un fenomeno italiano, ma anzi è un mercato che ha investito tutto il mondo. Solo per fare un esempio, qualche anno fa il Bayern Monaco, uno dei più importanti club tedeschi minacciò di lasciare la Bundesliga3 se la Federcalcio tedesca gli avesse inflitto dei punti di penalizzazione per aver stipulato un accordo di marketing che gli aveva fruttato l’ingente cifra di 21 milioni e mezzo di euro.

In Italia, come nel resto del mondo, nel bilancio delle società di calcio la voce del conto economico dei diritti televisivi può rappresentare la voce di maggior peso. Questo è il paradosso più evidente del mondo dello sport professionistico e del calcio in particolare: esso viene utilizzato dalle aziende sponsor esclusivamente come un veicolo per ottenere visibilità, ovviamente prediligendo il canale televisivo; tuttavia il ritorno che le aziende possono garantire è minimo, se confrontato con l’attuale esposizione mediatica delle squadre di calcio.

Tutto ciò è conseguenza del fatto che le società sono influenzate dalle imprese televisive e dalla loro strategie commerciali dovendosi in ogni caso confrontare con esse. Di contro, non si deve dimenticare che le stesse società calcistiche, pur essendo molto interessate agli introiti televisivi, vogliono tutelare anche l’affluenza agli stadi per mantenere la relativa atmosfera, una sorta di controbilanciamento rispetto agli interessi meramente economici che queste nutrono nei confronti dei diritti televisivi.

@2. Breve storia dei diritti televisivi in Italia

Prima di passare ad esaminare alcuni punti di diritto riteniamo necessaria una premessa che consenta l’esposizione dei fatti.

Fino alla stagione 1992-93 la trasmissione in diretta TV di partite dei campionati italiani di Serie A e Serie B era limitata a casi eccezionali (recuperi infrasettimanali di partite precedentemente rinviate, anticipi dettati da impegni delle squadre nelle competizioni internazionali, spareggi di fine campionato, ecc.). Queste partite venivano trasmesse dalle reti Rai, spesso con l’esclusione della provincia della squadra di casa a tutela, come già detto, dell’affluenza dei tifosi allo stadio. Per quel che riguarda gli “highlights” delle partite, ovvero i goal e le immagini salienti, la prima emittente autorizzata a mostrare le immagini era sempre la Rai, all’interno della trasmissione “90° minuto”, nella fascia oraria tra le 18 e le 19 della domenica.

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Dal 1993-94 al 1995-96 il gruppo Telepiù, prima pay tv italiana, acquisisce dalla Lega Nazionale Professionisti un pacchetto comprendente, ogni anno, 28 partite di Serie A – in genere posticipate la domenica alle 20.30 – e 32 di Serie B – in genere anticipate al sabato alle 20:30 –. Queste partite venivano trasmesse a pagamento sul canale analogico terrestre Telepiù 2, visibile tramite un decoder solo ai sottoscrittori dell’abbonamento (semestrale o annuale). Da notare che in queste tre stagioni tutte le rimanenti partite non venivano teletrasmesse, con l’eccezione dei recuperi infrasettimanali di partite precedentemente rinviate, degli anticipi dettati da impegni delle squadre nelle competizioni internazionali e degli spareggi di fine campionato. Questi ultimi, dal canto loro, continuavano ad essere trasmessi gratuitamente dalla Rai, la quale mantenne anche l’esclusiva degli highlights delle partite.

Dal 1996-97 al 1998-99, grazie all’avvento della TV digitale, Telepiù inaugurò l’offerta digitale satellitare D+, offrendo un numero sempre più vasto di nuovi canali.

Anche l’offerta calcistica si allargò e, per tre stagioni consecutive, la piattaforma D+ offrì tutte le partite dei campionati di Serie A e B, non più limitandosi ai soli anticipi e posticipi. Per ciò che riguarda gli highlights, si registrò una novità: nelle stagioni 1997-98 e 1998-99 la Rai, pur mantenendo l’esclusiva nella fascia oraria tra le 18 e le 19 della domenica, la perse nella fascia oraria successiva, tra le 19 e le 20 e ad essa subentrò Telemontecarlo la quale acquisì anche il diritto a trasmettere, dopo la mezzanotte, l’ampia sintesi di una partita di serie A, diritto che, fino al 1996-97, era della Rai.

Tutte queste novità richiedevano una nuova disciplina dei diritti televisivi in quanto sia il quadro economico, sia quello sportivo erano radicalmente stati rivoluzionati, tant’è che da più parti era stata ventilata la richiesta di un intervento legislativo efficace, che, in qualche modo, riuscisse ad amalgamare in una normativa unica tutti i cambiamenti che si erano succeduti.

@3. Il decreto legge n. 15 del 30 gennaio 1999 ed il successivo decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, “testo unico della radiotelevisione”

Il legislatore italiano si trovò effettivamente di fronte ad una situazione molto complessa che richiedeva una nuova disciplina che potesse, in qualche modo, regolamentare una volta per tutte i rapporti tra mondo sportivo e diritti televisivi.

La domanda che si pose e che tutt’oggi è doveroso porsi fu la seguente: esiste un diritto all’informazione in ordine agli avvenimenti sportivi di maggiore rilevanza, costituenti, come prospettato da autorevolissima dottrina, un “patrimonio informativo minimo”, del quale i cittadini non possono essere espropriati?4.

La constatazione dell’esistenza di un siffatto “patrimonio informativo”, nonché il persistente problema della forte concentrazione sul versante dell’offerta televisiva e la discesa in campo di potenti operatori economici in grado di accaparrarsi l’intera fettaPage 290dei diritti calcistici spinsero il Governo a varare nel 1999 un decreto legge volto ad impedire, come indicato nella rubrica, “la costituzione ed il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo”5, sebbene all’epoca, a livello nazionale, mancasse una normativa atta ad impedire il passaggio da parte delle emittenti in chiaro all’accesso condizionato, a causa del lungo travaglio parlamentare della nuova disciplina del sistema radiotelevisivo; questione oggi disciplinata dal d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (T.U. della Radiotelevisione).

Nel dettaglio, l’art. 2 del decreto legge faceva divieto ai titolari di concessione o autorizzazione per trasmissioni radiotelevisive sia via satellite che vai cavo, con sede o impianti in territorio nazionale o anche in Stati membri dell’UE, di acquisire, sotto qualsiasi forma o...

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