Le guarentigie diplomatiche
Autore | Stelio Campanale |
Pagine | 119-148 |
Sommario: 1. L’affermarsi del principio dell’inviolabilità degli agenti diplomati-
ci. – 2. L’evoluzione verso l’immunità. – 3. La ratio dell’immunità accordata
ai rappresentanti diplomatici. – 4. I privilegi. – 5. Le immunità diplomatiche
dei cittadini stranieri e la dottrina Calvo. – 6. L’immunità penale degli agenti
diplomatici – 7. Le misure di salvaguardia contro l’abuso di immunità. – 8.
L’immunità dalla giurisdizione civile degli agenti diplomatici. – 9. Limiti alle
immunità diplomatiche della giurisdizione civile.
1. L’affermarsi del principio dell’inviolabilità degli agenti
diplomatici
Le fonti riguardanti i trattamenti speciali di cui godono gli agenti
diplomatici ed in particolare il tipico aspetto delle immunità, fanno
parte del patrimonio storico del diritto internazionale generale.
La dottrina consolidatasi, a partire dal XIX secolo, in proposito
si è fondata sul presupposto che gli agenti diplomatici fossero i
mandatari del proprio Stato di appartenenza. Soggetti incaricati di
agire secondo la volontà e l’interesse del loro mandante; essere
mandatario di una nazione presso il governo di un’altra vuol dire,
quindi, rappresentare la prima dinanzi alla seconda.
I diplomatici sono soggetti del diritto internazionale solo in
quanto rappresentanti di uno Stato sovrano ed è per quest’ultimo
aspetto che a loro devono essere accordati diritti e privilegi.
Il primo ed il più importante di siffatti privilegi è quello dell’in-
violabilità della persona dell’agente diplomatico. Tale privilegio,
oggi riconosciuto in virtù dell’art. 29 della Convenzione di Vienna
CAPITOLO VII
LE GUARENTIGIE DIPLOMATICHE
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del 1961 sulle relazioni diplomatiche, era in passato ancora mag-
giormente enfatizzato, giacché la persona del legato di uno Stato
estero era ritenuta “sacra ed inviolabile”.
Ma anche la dottrina di ne ’800 già ritenne che l’epiteto “sa-
cra”, lungi dal voler richiamare il diritto divino a tutela degli agenti
diplomatici, serviva solo a sottolineare che l’inviolabilità del rap-
presentante di un altro Stato era più importante di quella di qualsi-
asi altro individuo; e che, conseguentemente, un delitto commesso
in danno di un agente diplomatico avrebbe prodotto conseguenze
ben peggiori di quello perpetrato contro quello stesso individuo lad-
dove egli non fosse rivestito del ruolo per il quale è stato autoriz-
zato ad operare in un determinato Stato.
Chiunque usi violenza contro un ambasciatore o altro membro
del personale diplomatico della missione non offende soltanto la
sovranità che questi rappresenta ma attenta alla sicurezza comune
delle nazioni.
Per anni nel mondo della diplomazia si è tramandato come
esempio di delitto, a tal proposito, l’assassinio dei plenipotenziari
francesi al Congresso di Rastadt, commesso la notte del 28 aprile
1799 in danno dei diplomatici Bonnier, Debry e Roberjot. La storia
a noi più recente ci ricorda, invece, l’assassinio commesso a Ben-
gasi, in Libia, e di cui è stata vittima l’ambasciatore statunitense
Stevens, la notte del 12 settembre 2012.
La estrema rilevanza di questo privilegio trova ulteriore riscontro
nel fatto che l’inviolabilità è accordata anche prima che l’agente
diplomatico abbia ottenuto il proprio accreditamento, giacché essa
opera dal momento in cui il rappresentante diplomatico arriva nel
paese estero dove svolgerà il proprio ufcio.
L’inviolabilità perdura nel caso di attriti tra lo Stato di invio e
quello di missione ed addirittura anche nel caso di scoppio di osti-
lità e sino a quando il personale diplomatico della missione avrà
abbandonato la propria sede locale.
Nei secoli scorsi e prima della rma della Convenzione di Vienna
del 1961, l’unico limite al privilegio dell’inviolabilità era posto
dall’accusa di aver cospirato in danno del paese accreditatario e
che, laddove dimostrata, avrebbe potuto portare all’arresto del le-
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