Delega al governo per la riforma del diritto societario: le nuove ipotesi di infedeltà patrimoniale e comportamento infedele

AutoreMaurizio Parisi
Pagine187-190

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@1. Esigenze di tutela degli interessi societari.

Il gigantismo delle realtà economiche contemporanee e la difficoltà dell'esercizio dei poteri - spesso a causa di sistemi collusivi interni alle strutture societarie - hanno da tempo richiamato l'attenzione verso la pericolosa sindrome dell'abuso gestorio degli amministratori, che si manifesta nella violazione del rapporto di fedeltà mediante l'impiego dei beni e delle risorse in maniera distorta ed antisociale, in presenza di una situazione di conflitto o contrapposizione di interessi propri o di terzi 1.

Già negli anni '40, il NUVOLONE 2 indicò la necessità di fornire una adeguata protezione agli interessi economici delle società commerciali, mediante l'impiego di strumenti sanzionatori idonei a contrastare gli abusi degli amministratori. Tale situazione, a distanza di sessant'anni, non appare significativamente mutata, rilevandosi l'assenza di una unitaria figura criminosa assimilabile all'Untreue 3 nell'esperienza giuridica tedesca. È comprensibile che l'infedeltà patrimoniale degli amministratori abbia assunto una singolare importanza sotto il profilo punitivo, per la dimostrata assenza nell'ordinamento italiano di una fattispecie ad hoc in materia societaria 4.

Gli interessi individuali trovano una parziale difesa nell'ambito delle figure generali dell'appropriazione indebita e della truffa, nonché di altri reati del codice penale (es. malversazione o dilapidazione di beni del figlio, infedeltà del patrocinatore). Si tratta di norme destinate a reprimere specifiche condotte antigiuridiche di appropriazione o di frode, ma inadatte a risolvere complessivamente il fenomeno dell'infedele gestione a causa di un oggettivo deficit descrittivo, insuperabile anche ricorrendo alla maggior dilatazione possibile in chiave estensiva.

Gli interessi superindividuali non appaiono sforniti di protezione, come dimostra il catalogo sanzionatorio dei reati contro la pubblica amministrazione: peculato, malversazione a danno dello Stato, corruzione, abuso d'ufficio. Una abbondanza sanzionatoria che spesso ha funzionato da stimolo all'"attività di supplenza" della Magistratura 5, in vista del perseguimento di quegli obiettivi di tutela allargata degli interessi collettivi, non sempre ottenibile dalle norme penali societarie. Tuttavia, la esponenziale fuoriuscita dall'orbita pubblica dei vecchi settori d'intervento statale nell'economia 6 - a cagione di un'intensa stagione di privatizzazioni - determina il ridimensionamento dell'importanza di simile controllo avverso i fenomeni di infedeltà dei pubblici amministratori, con la conseguente riespansione della dimensione privatistica dell'illecito. Ma la rinuncia totale ai formidabili strumenti di controllo dell'abuso d'ufficio, del peculato e della corruzione, in favore di un diritto penale societario sguarnito contro le forme più insidiose di infedeltà dei propri organi, porta alla tentazione giurisprudenziale di ritrovare nello statuto penale della P.A. un ottimo fattore di repressione 7.

Sul piano degli assetti societari, il principale baluardo contro gli abusi commessi dagli amministratori è l'art. 2631 c.c. 8, illecito che affonda la propria ratio punitiva nell'esigenza di salvaguardare l'attività deliberativa del consiglio d'amministrazione o del comitato esecutivo. È sanzionato l'amministratore che, trovandosi in una determinata operazione in conflitto d'interessi con la società, omette di astenersi dalla deliberazione del consiglio o del comitato esecutivo relativa all'operazione da compiere.

Il delitto risulta però inapplicabile a tutti quei comportamenti abusivi che non si realizzano per il tramite di una deliberazione consiliare: quindi dal fatto tipico indicato nell'art. 2631 c.c. esulano proprio i casi in cui l'amministratore delegato o l'amministratore unico agiscano in contrasto con gli interessi societari 9. Una situazione paradossale, dal momento che le condotte maggiormente pericolose per il patrimonio sociale sfuggono dalla portata incriminatrice della norma.

L'inadeguatezza dell'art. 2631 c.c. si misura anche nel raffronto con altri settori d'intervento, i quali ammettono (in diversa maniera e misura) forme di responsabilizzazione nella gestione dei patrimoni ed i cui tipici esempi sono costituiti dalle ipotesi ex artt. 223 l. fallimentare 10; 136-137 11 del T.U. in materia bancaria 12; 167 (Gestione infedele) 13 - 168 (Confusione di patrimoni) 14 del T.U. dei mercati finanziari 15 (D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58). In particolare, queste due ultime figure rappresentano, allo stato attuale, il più recente esempio di un graduale tentativo del sistema criminale di "chiudere il cerchio" sul problema degli abusi nella gestione dei patrimoni privati nel settore dell'investimento e del risparmio, anche se la scelta del modello contravvenzionale lasci più di una perplessità sulla reale efficacia dissuasiva dell'illecito penalmente sanzionato, tenuto conto dell'alto potenziale di lesività patrimoniale derivante dalle operazioni pregiudizievoli.

@2. L'infedeltà patrimoniale nella legge delega per la riforma societaria.

Il tentativo concreto di porre mano ad una improcrastinabile riforma societaria si è finalmente concretizzato nel c.d. Progetto Mirone 16, già presentato in Parlamento sul finire della XIII Legislatura ed ora ripreso nella XIV Legislatura nel disegno di legge-delega al Governo per la riforma del diritto societario 17, definitivamente approvato dal Senato il 28 settembre 2001. Il Governo è stato delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi "... recanti la riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative, la disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, nonché nuove norme sulla procedura per la definizione dei procedimenti nelle materia di cui all'articolo 12" (art. 1). Nella Delega al Governo per la riforma del diritto societario un notevole spazio è stato riservato ai principi e criteri direttivi in materia penale che debbono ispirare la produzione normativa (art. 11: Disciplina degli illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali). Tra gli illeciti penali oggetto della delega vengono inclusi anche i nuovi delitti di infedeltà patrimoniale e comportamento infedele (art. 11, 1° comma, lett. a), nn. 12 e 13).

Il reato di infedeltà patrimoniale è descritto come il "... fatto degli amministratori, direttori generali e liquidatori, iPage 188 quali, in una situazione di conflitto d'interessi, compiendo o concorrendo a deliberare atti di disposizione dei beni sociali al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profilo, ovvero altro vantaggio, intenzionalmente cagionano un danno patrimoniale alla società".

L'ipotesi delittuosa prevede come soggetti attivi, oltre chè gli amministratori e i liquidatori, anche i direttori generali 18, potendo in effetti residuare a questi ultimi spazi decisori e di manovra particolarmente incisivi 19. A questi potenziali autori del delitto di infedeltà si aggiungono i c.d. soggetti di fatto, in virtù dell'espressa indicazione di cui alla lett. e), prima parte, art. cit.: "qualora l'autore della condotta punita sia individuato mediante una qualifica o la titolarità di una funzione prevista dalla legge civile, al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione è equiparato, oltre a chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, anche chi, in assenza di formale investitura, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione". Dunque l'esercizio di fatto delle funzioni diviene rilevante innanzi al giudice penale soltanto laddove esso sia continuativo nel tempo (richiedendosi che l'amministrazione non riguardi atti isolati e saltuari) nonché significativo, evidentemente in relazione ad atti di gestione caratterizzati da una pur minima rilevanza economica. Una disposizione, quest'ultima, che ottiene l'obiettivo di superare i problemi legati alla attività di supplenza offerta dalla giurisprudenza, la quale considera penalmente responsabile l'amministratore di fatto, non in forza del concorso con gli altri organi dell'ente, bensì come diretto destinatario della norma 20 e ciò in apparente contrasto col divieto di analogia in materia penale.

Occorre segnalare che gli estensori della riforma, fuori dei casi di applicazione dei reati dei P.U. contro la P.A., abbiano disposto l'applicazione delle norme incriminatrici relative agli amministratori "... anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi" (art. 11, 1° comma, lett. e)): tale statuizione appare in linea con la programmata abolizione dei reati commessi dagli amministratori giudiziari e dagli amministratori governativi.

Si è adottata la soluzione di incentrare la fattispecie sulla situazione di conflitto di interessi, che costituisce una pietra angolare nell'infedeltà gestoria. In effetti, il ricorso al concetto del conflitto di interessi si dimostra l'unica via percorribile, evitando l'accidentato sentiero del rischio anormale o del rischio non consentito quale criterio guida per l'accertamento dei fatti-reato rilevanti, che però genererebbe notevoli problemi in tema di rispetto del principio di determinatezza. Sul piano definitorio, il conflitto di interessi 21 si traduce nell'esistenza di un interesse antagonistico dell'amministratore o di terzi 22, avente contenuto economico oggettivamente valutabile, attuale, effettivo e reale 23 (e non virtuale od ipotetico), suscettibile di ripercuotersi in una prospettiva di vantaggio patrimoniale.

Esemplificazioni andrebbero ricercate nelle ipotesi in cui l'organo rivesta la posizione di controparte contrattuale 24 della società ovvero eserciti un'impresa economica...

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