Gli enti del terzo settore

AutoreGiuseppe Chiaia Noya
Pagine29-48

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Giuseppe Chiaia Noya

Gli enti del terzo settore *

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le organizzazioni non governative. – 3. Le organizzazioni di volontariato. – 4.

Le associazioni di promozione sociale. – 5. Le cooperative sociali. – 6. Le imprese sociali. – 7. Le società sportive. – 8. Conclusioni.

1. Sin dalle prime rudimentali forme sociali l’uomo ha avvertito la necessità di unirsi ad altri suoi simili al ine di ottenere risultati che, da solo, non avrebbe ottenuto. Tale necessità è stata, nel tempo avvertita non solo per il raggiungimento di vantaggi personali, ma anche per inalità più nobili, quali l’aiuto di soggetti più deboli.

Sono così proliferate, nel corso dei secoli, accanto alle intraprese prettamente commerciali, altre istituzioni aventi inalità mutualistica o assistenziale, come ad esempio gli istituti culturali o di assistenza, le istituzioni cristiane e gli enti ospedalieri.

Trattasi di enti “senza ine di lucro” comunemente deiniti anche organizzazioni “non proit1che trovano le loro prime regolamentazioni positive in Italia già in tempo assai remoto. Basti pensare alla c.d. legge Crispi sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneicenza del 18902o alle norme contenute nel Libro I del codice civile del 1942 in materia di associazioni e fondazioni.

Ma è certamente nel XX secolo che il fenomeno ha cominciato a svilupparsi, soprattutto in relazione al difondersi del volontariato, anche grazie al crescente ausilio dei mezzi di informazione, consentendo l’aumento esponenziale di iniziative volte al perseguimento di inalità che, trascendendo l’aspetto meramente lucrativo, hanno ad oggetto bisogni della persona.

Trattasi di bisogni che possono variare da quelli primari, quali l’alimentazione, la salute, la libertà sessuale o isica, a quelli connessi con lo sviluppo della personalità (sportivi, religiosi, culturali, ecc.).

Gli enti non proit, quindi, operano sia in settori loro riservati (quali assistenza, beneicenza, tutela beni culturali, ecc.), sia in settori di competenza di enti for proit (quali, ad esempio: medicina, arte, cultura, ecc.).

Per far fronte alle “missioni” connaturate da interesse sociale, ciascun individuo, salvo rare eccezioni, non può agire individualmente, con le sole proprie forze economiche e isiche, ma ha bisogno di unirsi con altre persone onde ottenere risultati concretamente apprezzabili.

La conseguenza di tale spirito è la nascita di organizzazioni che, pur essendo prive, come detto, di inalità direttamente lucrative, svolgono, per il perseguimento dei loro

* Il presente articolo sarà pubblicato anche in Le Corti Salernitane, E.S.I., 2010.

1Termine che comunemente si ritiene derivato dall’inglese ma che, in realtà è l’adattamento, in quest’ultima lingua, del termine francese “pruit” a sua volta derivato dal latino “proicere”.

2Legge 17 luglio 1890, n. 6972 (in G.U., 22 luglio, n. 171), abrogata dall’articolo 21 del D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207 e dall’articolo 30 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

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obiettivi, attività di produzione di beni e servizi3, partecipando in tal modo al principio di sussidiarietà introdotto nella Carta Costituzionale con la riforma del Titolo V4.

Dette organizzazioni hanno ricevuto varie regolamentazioni normative, per il vero in maniera frammentaria e talvolta contraddittoria e, in base alle categorie di attività ed alle norme di riferimento possono essere distinte in sei diferenti tipologie e, precisamente: organizzazioni non governative5, organizzazioni di volontariato6, associazioni di promozione sociale7, cooperative sociali8, imprese sociali9e società sportive10, potendosi senz’altro escludere da tale elenco le fondazioni ex bancarie11, ormai costituente una categoria superata.

Si tratta di quello che è stato deinito “Terzo Settore”, costituente quell’insieme di soggetti che, organizzandosi in regime di diritto privato all’interno di un sistema economico, rimane concettualmente ed operativamente separato dallo “Stato” (inteso in senso generale) e dal “Mercato”.

In questo settore rientrano non solo tutte le igure previste dal codice civile nel Libro I, Titolo II ed alcuni soggetti disciplinati dal Libro V del codice civile, ma anche le altre forme di associazionismo che trovano una regolamentazione espressa solo nella legislazione speciale (come ad esempio le coop. Sociali ed i consorzi con attività interna)12.

Se sino alla metà del XX secolo dette organizzazioni sono state, prima destinatarie di diidenze connesse allo stampo liberistico dello Stato e, poi, sostanzialmente bloccate dall’assolutismo della dittatura fascista, oggi gli enti in esame sono diventati il veicolo preferenziale per la promozione di interessi collettivi o di gruppo.

Del resto, l’art. 2 Cost. prevede che la Repubblica debba riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo anche nelle formazioni sociali, richiedendo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale13.

3Si pensi al commercio di prodotti dell’artigianato e della piccola industria di paesi del cd. Terzo Mondo, inalizzato al trasferimento, in favore delle relative popolazioni, dei proventi, o di parte dei proventi, delle attività di vendita (commercio “equo e solidale”), oppure allo sviluppo di servizi di comunità e al recupero dall’emarginazione sociale, o ancora a servizi di assistenza sanitaria che operino parallelamente o di concerto con gli enti dei SSR.

4Si veda al riguardo il “Primo rapporto CNEL/ISTAT sull’economia sociale – Dimensioni e caratteristiche strutturali delle istrituzioni non proit in Italia”, Roma, giugno 2008.

5Disciplinate dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49 (in Suppl. ord. alla G.U. 28 febbraio, n. 49).

6Legge 11 agosto 1991, n. 266 (in G.U., 22 agosto, n. 196).

7Legge 7 dicembre 2000, n. 383 (in G.U., 27 dicembre, n. 300).

8Disciplinate dalla legge 8 novembre 1991, n. 381 (in G.U., 3 dicembre, n. 283) e dalle norme di attuazione emanate in ciascuna regione.

9Regolamentate con D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 155 (in G.U. 27 aprile, n. 97) attuativo della legge delega 13 giugno 2005, n. 118 (in G.U, 4 luglio, n. 153).

10Legge 23 marzo 1981, n. 91 (in G.U., 27 marzo, n. 86) e Decreto legge 20 settembre 1996, n. 485 (in G.U., 21 settembre, n. 222), conv. con mod. in Legge 18 novembre 1996, n. 586 (in G.U., 20 novembre 1996, n. 272).

11Regolamentate dal D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 (in G.U., 31 maggio, n. 125), attuativo della legge delega 23 dicembre 1998, n. 461 (in G.U., 7 gennaio, n. 4).

12Per una visione di insieme del Terzo Settore in Italia, cfr. G. Visconti, “Il quadro attuale della legislazione italiana sulle organizzazioni non proit”, in Entoi non proit, 2008, 12, 775 e ss.

13Lo stato, quindi, deve sostenere il volontariato senza prevaricarlo; in questo senso illuminanti sono le parole di Giovanni Paolo II: “Una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, ma deve sostenerla”.

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A tal riguardo, benché la Costituzione repubblicana sembri prevedere un modello pluralistico “aperto”, si assiste sempre più a fenomeni associativi “assistiti” a causa soprattutto di contributi pubblici di cui tali enti spesso sono destinatari. Così, accanto ad associazioni o società private, è sempre più frequente annoverare tra i soggetti svolgenti attività classiicata come “non proit”, anche soggetti di diritto pubblico pubblico (croce rossa, Italia nostra, ecc.) o Enti pubblici associativi (ad es. il CONI).

Il Terzo Settore, che tanto frastagliatamente è normativamente collocato nel nostro ordinamento e che indiscutibili riconoscimenti aveva già ricevuto nella società civile, si ritiene che sia stato istituzionalmente riconosciuto solo nel XXI secolo e, in particolare, con la previsione, ad opera dell’art. 17 della legge 7 dicembre 2000, n. 38314, dell’inserimento tra i componenti del CNEL, oltre che di rappresentanti delle categorie produttive, anche di rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato15.

Se, quindi, il legislatore ordinario ha istituzionalizzato il Terzo Settore ed è intervenuto unitariamente per regolare gli enti non proit sotto il proilo iscale, mediante l’istituzione della nuova igura delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)16, non può non avvertirsi la necessità che l’intero settore sia inalmente regolamentato in maniera unitaria, di modo da consentire una equiparazione di disciplina tra le varie tipologie di enti non proit.

La disamina che segue consentirà di appurare le caratteristiche fondamentali delle varie categorie degli enti costituenti il Terzo Settore e, quindi, le strutturali diferenze tra gli stessi pur ove svolgenti attività miranti a perseguire inalità identiche.

2. Per Organizzazioni Non Governative (O.N.G.) si intendono tutti quegli enti privati o gruppi locali, nazionali o internazionali di cittadini che non trovino origine in un Governo e, cioè, che non facciano parte di strutture governative, e che siano impegnati, senza alcuno scopo di lucro, nel settore della solidarietà sociale e della cooperazione allo sviluppo17.

Come già accennato le ONG trovano la loro origine legislativa nella legge n. 49/87 che, nel dettare la disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo, ha previsto che nell’attività di cooperazione rientri anche (art. 2, comma 3, lett. e) il sostegno alla realizzazione di progetti e interventi ad opera di organizzazioni non governative idonee, anche tramite l’invio di volontari e di proprio personale nei paesi in via di sviluppo.

14(in G.U., 27 dicembre, n. 300), portante la modiicazione dell’art. 2 della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (in G.U., 5 gennaio, n. 3).

15In realtà il Terzo Settore è stato riconosciuto ed inserito nell’apparato istituzionale, per la prima volta...

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