Giurisprudenza processuale penale europea

AutoreStefano Maffei
Pagine365-368

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@1. Annullamento di una sentenza di condanna fondata su ammissioni ottenute contro la volontà dell'imputato.

REGNO UNITO - CORTE D'APPELLO Sezione Penale, 15 gennaio 2002 Regina v. Downing

Procedimento penale - Omicidio volontario - Reato compiuto da soggetto minorenne - Confessione ottenuta illegalmente dalle autorità di polizia - Utilizzo probatorio di tali dichiarazioni - Giudizio d'appello - Inaffidabilità della condanna.

In data 15 febbraio 1974, la Crown Court di Nottingham condannò il sig. Downing, allora diciassettenne ed incensurato, ad una pena di durata indefinita per l'omicidio di Wendy Sewell, colpita alla testa con sette colpi di arma da taglio, mentre si trovava nel cimitero della cittadina di Bakewell, il giorno 12 settembre 1973. All'epoca dei fatti, il ricorrente lavorava presso il cimitero, alle dipendenze delle autorità locali. Fu proprio quest'ultimo a dare notizia dell'aggressione al responsabile dell'amministrazione del cimitero, alle ore 13,20 di quel pomeriggio. Mentre i due uomini prestavano i primi soccorsi alla vittima, numerosi altri impiegati sopraggiunsero sulla scena del delitto. Wendy Sewell era parzialmente svestita e aveva il viso, i capelli e il corpo coperti di sangue. Durante le operazioni di soccorso, la donna tentò di alzarsi senza successo. Un piccone macchiato con il sangue della vittima fu rinvenuto a poca distanza. La donna morì due giorni dopo in ospedale, a seguito delle ferite riportate.

Al momento dell'allarme, i vestiti del ricorrente erano macchiati con il sangue della vittima, specialmente i pantaloni e le scarpe. Naturalmente l'accusa si fondò fin dalle prime battute su tale elemento, così come sul fatto che il piccone era conservato nella cappella sconsacrata del cimitero, a cui il ricorrente aveva libero accesso per ragioni di lavoro. La prova principale a carico del ricorrente, tuttavia, fu costituita dalle ammissioni rese in forma orale e scritta nella serata dello stesso 12 settembre 1973.

L'ispettore Younger, titolare delle indagini, giunse sul luogo del delitto alle ore 14,30. Interrogò il ricorrente conducendolo subito dopo presso la locale stazione di polizia. Inizialmente, il ricorrente non potè avvalersi dell'assistenza di un difensore né fu informato della sua sottoposizione ad indagini. Tale avvertimento gli fu rivolto solo in tarda serata, alle ore 22,45. Poco dopo il ricorrente disse all'agente Charlesworth: «L'ho fatto ma non so perché». Il ricorrente confermò tali ammissioni all'ispettore Younger, in forma orale e, successivamente, per iscritto.

Di contro, nel corso del giudizio a suo carico il ricorrente si è sempre proclamato innocente. A proposito degli interrogatori a cui venne sottoposto, sostenne di essere stato trattato inizialmente con cortesia. Disse di aver ammesso la commissione del reato nonostante ciò non corrispondesse a verità perché era debilitato, affamato e dolorante alla schiena. Ricordò di essere stato preso per le spalle e scosso energicamente dall'ispettore Younger in due momenti successivi. Il ricorrente aveva gravi problemi di schiena da due anni, a seguito di una caduta avvenuta a scuola. Sottoscrisse quindi le ammissioni di colpa nonostante la loro falsità. Lo fece, a suo dire, per paura che la polizia continuasse ad interrogarlo per tutta la notte e, inoltre, perché non si era reso conto della gravità delle ferite riportate da Wendy Sewell.

Il problema relativo all'ammissibilità e all'attendibilità di tali ammissioni è stato analizzato compiutamente solo a partire dal 1997, grazie alle indagini promosse dalla Criminal Cases Review Commission. Nel processo di primo grado, l'argomento non sollevò controversia alcuna tra le parti. Nel summing-up alla giuria, il giudice ricordò come il difensore del ricorrente avesse esplicitamente sostenuto di non poter rimproverare alcunché agli organi inquirenti. Inspiegabilmente, il tema non fu sollevato nemmeno nel primo giudizio d'appello, svoltosi nel 1974.

Nel presente processo, al contrario, la difesa del ricorrente ha ricostruito con esattezza quanto avvenne nella stazione di polizia il giorno 12 settembre 1974. Secondo la difesa, il ricorrente aeva diritto ad essere avvertito della sua sottoposizione ad indagini già a partire dalle ore 15,15. Tenuto conto della giovane età del ricorrente e del suo quoziente intellettivo inferiore alla media, la mancata informativa circa il diritto all'assistenza legale avrebbe dovuto condurre, in sede di giudizio, all'esclusione delle sue ammissioni di colpevolezza, rilasciate dopo un interrogatorio di 8 ore in stato di sostanziale privazione della libertà personale.

A ben vedere, manca un resoconto dettagliato di quanto accadde tra le 14,30 e le 22,30 di quel giorno. Le dichiarazioni dell'agente Charlesworth prendono inizio solamente dall'audizione serale. Agli atti risultano solo cenni brevissimi alle conversazioni pomeridiane tra inquirenti e ricorrente. La pratica del tempo, peraltro, non era quella di stilare un resoconto continuo degli eventi, come attualmente la legge impone.

Nel corso delle sue recenti indagini, la Criminal Cases Review Commission ha raccolto le dichiarazioni di due ufficiali impegnati in quell'indagine, l'ispettore Younger e il detective Johnson. L'agente Charlesworth non è stato ascoltato perché deceduto. Nella dichiarazione resa il 1° agosto 2000, il detective Johnson sostenne: «Sono sicuro che nel momento in cui il ricorrente fu condotto dal cimitero alla stazione di polizia il suo status era quello di "persona informata" che collabora con la polizia. Chiaramente ad un certo punto il suo status mutò, ma non saprei dire esattamente quando...

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